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Il mondo che mi circonda (che circonda il mio esserci) io lo colgo nella sua assoluta esteriorità ed estraneità (io sono gettato nel mondo senza sapere perché), e questo senso dell’estraneità delle cose è lo strumento mediante cui le nullifico: io avverto il mondo come l’assoluta estraneità, come l’assoluto nulla. Grazie a questa nullificazione e nientificazione del mondo, io mi svincolo dalla “cura” delle cose in cui ero immerso nella vita banale e riacquisto tutta intera la mia libertà. In tal modo, la disalienazione, per Heidegger,consiste nella semplice negazione del mondo e non in una sua trasformazione, come in Marx, proprio perché l’alienazione, pur ponendosi anche dal suo punto di vista come esito storico, non è intesa da Heidegger come risultante di precise condizioni economico-sociali, bensì come travisamento e “tradimento” operato dal pensiero a partire da un certo punto della storia. Si può intendere questo esistere nel mondo come una “caduta”, riprendendo questo concetto dalla tradizione Ora, questo vivere nell’esistenza quotidiana, questo esserci si presenta come inautenticità, come mondo dove dominano la chiacchiera, la curiosità e l’equivoco. Tale inautenticità si prospetta come opposta a quella vita autentica che dovrebbe costituire il vero essere dell’uomo che sarebbe dato dal vivere per la morte. Il vivere, dice Heidegger, mentre sul piano della banalità è un “fuggire di fronte alla morte”, sul piano dell’autenticità è un “essere-per-la.morte”, una decisione anticipatrice che progetta l’esistenza come un vivere per la morte e che mostra la possibilità dell’impossibilità dell’esistenza. Heidegger vuole dire che, finché l’uomo vive la sua esistenza si rapporta sempre al suo poter essere, quindi al suo futuro, e questo significa che c’é sempre qualcosa che manca. Solo con la morte non manca più nulla. “La morte è la possibilità di non poter più esserci”. Essa dilegua tutti i rapporti con gli altri esserci. Ma attraverso quale via possiamo tornare dalla vita attuale caratterizzata dall’inautenticità ad una vita autentica, a quell’esistere autentico che la civiltà occidentale ha smarrito con il tradimento della prima filosofia greca? Insomma, relativamente al discorso che stiamo affrontando oggi, qual è il ritorno dall’alienazione, come si attua la disalienazione? La risposta heideggeriana a questa domanda è riscontrabile in alcune pagine di una sua opera intitolata Introduzione alla metafisica (Mursia, Milano 1997), che sono pagine una volta tanto chiarissime e piene di fascino filosofico: (10a) “Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla? Ecco la domanda. Non si tratta, presumibilmente, di una domanda qualsiasi. E’ chiaro che la domanda: ‘Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla?’ è la prima di tutte le domande. Non certo la prima per quanto riguarda l’ordine temporale. I singoli, e anche i popoli, si pongono una quantità di domande nel corso del loro sviluppo storico attraverso i tempi; affrontano, esplorano, indagano ogni sorta di cose prima d’imbattersi nella domanda: ‘Perché esiste, in generale, l’essente e non il nulla?’. Capita a molti di non imbattersi addirittura mai in una simile domanda, né di chiedersene il significato: dato che non si tratta di fermarsi alla pura e semplice enunciazione, sentita o letta, della frase interrogativa, ma di formulare la domanda, di farla sorgere, d’immettersi nella necessità di questo domandare. Eppure, capita a ciascuno di noi di essere, almeno una volta e magari più d’una, sfiorato dalla forza nascosta di questa domanda, senza tuttavia ben rendersene conto. In certi momenti di profonda disperazione, ad esempio, quando ogni consistenza delle cose sembra venir meno e ogni significato oscurarsi, la domanda risorge. Può darsi che una sola volta essa ci abbia colpito, come il suono cupo di una campana echeggiante nell’intimo e che vada via via smorendo. Oppure la domanda si presenta in un’esposione giubilante del cuore, allorché repentinamente tutte le cose si trasformano e ci attorniano come per la prima volta, tanto che riuscirebbe più facile concepire che esse non siano piuttosto che siano proprio così come sono. La domanda si presenta anche in certi momenti di noia, quando ci sentiamo ugualmente distanti dalla disperazione come dalla gioia; ma in modo tale che l’incombente normalità di ciò che è induce a una desolazione nella quale appare indifferente che ciò che è sia o non sia. Allora, in guisa ancor più pertinente, risuona ancora la domanda: ‘Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla?’ ”. (pp. 13-14). E ancora: “Abbiamo posto all’inizio la domanda: ‘Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla?’. Abbiamo detto che porre questa domanda è il filosofare. Se infatti, con uno sguardo penetrato di pensiero, ci apriamo nella direzione di tale domanda, questo significa che, in primo luogo, rinunciamo a soffermarci in una qualunque delle solite sfere dell’esistente. Ci poniamo al di là di ciò è all’ordine del giorno. Il nostro interrogare ci spinge al di là dell’usuale e di ciò che rientra nell’ordine quotidiano. Nietzsche ha detto una volta: ‘Un filosofo è un uomo che vive, vede, ascolta, sospetta, spera, e costantemente sogna cose straordinarie’. Filosofare significa interrogarsi su ciò che è fuori dell’ordinario … fuori dell’ordinario non è solo ciò su cui verte la domanda, ma il domandare stesso. Questo significa che tale domandare non è qualcosa a portata di mano, che ci possa capitare di incontrare un giorno per caso. Nemmeno è da credere che rientri nel consueto ordine della vita quotidiana, quasi che vi fossimo indotti da una qualche esigenza o prescrizione. Questo domandare non lo si rinviene neppure nell’ambito delle cose urgenti, dei bisogni impellenti da soddisfare. E’ lo stesso domandare che è al di fuori dell’ordine. Esso è interamente libero e volontario, pienamente ed espressamente fondato su di una segreta base di libertà, su ciò che abbiamo denominato il salto. Lo stesso Nietzsche aggiunge: ‘La filosofia … è la scelta di vivere fra i ghiacci e le alte cime’. Filosofare, possiamo ben dirlo ora, è uno stra-ordinario porre domande su quello che è fuori-dell’ordinario” (p. 24). La disalienazione è dunque, per Heidegger, la fuoriuscita dall’attenzione per gli enti particolari, dalla chiacchiera quotidiana, e l’interrogarsi sul senso dell’essere in generale.