Moriremo tutti. Di burocrazia.

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Perché “Sacchi Rossi”?

Due mesi fa sono risultata positiva alla malattia del secolo...eh sì, proprio il covid 19 che ormai ha fatto l'upgrade alle versioni 20 e 21. Niente panico, pochi sintomi, solo un po' di anosmia (e qui si potrebbe aprire una lunga parentesi su quanta gente, prima del 2019, utilizzasse correntemente le parole “anosmia”, “agusia”, per non parlare del vagamente fascista “assembramento”)...quindi, tutto tranquillo, no? No. Perché, punto uno: il bombardamento allarmistico di internet, tv, amici e conoscenti per quanto uno possa avere la spalla tonda un pochino pesano, e così anche chi, come me, è sopravvissuta a ben altro che una perdita di olfatto, finisce col procurarsi un pulsossimetro (altra parola nel pieno del suo revival) e farselo recapitare da un coraggioso farmacista che è disposto a lasciarlo sulla soglia della casa infetta. Punto due: nel momento in cui la ASL accerta la positività al virus, si mette in funzione la ciclopica macchina burocratica e... e beh, eccoci al nostro titolo. Nel giro di un'ora mi chiamano – separatamente – asl, asl-ufficio-scuola e comune: lista dei contatti (e chi se li ricorda?), provvedimento di isolamento, numeri di emergenza, e poi questo imbarazzante scambio di battute: “Lei che lavoro fa?” “Insegnante” “E suo marito?” “Disoccupato”. Bene. Procediamo. “Avete bagni separati?”. No. Viviamo in un MONOLOCALE. Che razza di domande fai? Chiedimi invece se c'è qualcuno che può portarmi cibo e altro, chiedimi se sono in grado di provvedere a me stessa, chiedimi se sto bene (no: puoi pure morire; in quei giorni, che tu sia lucido o rantolante, dieci telefonate al dì non te le leva nessuno). Infine la perla delle perle: mi annunciano che il mattino successivo quelli che chiamerò “task force sacchi-rossi” verrà a consegnarmi dei sacchi speciali, perché i rifiuti pericolosamente infetti non possono essere differenziati, ma vanno sigillati in sacchetti appositi, da riempire e poi chiudere (parole testuali) usando i guanti e le fascette di plastica fornite di corredo, per esporli sulla porta di casa più o meno tra le 22.00 e...le 22.00! Ora in cui verranno ritirati prima che qualche sventurato essere umano possa entrarvi in contatto. Precisazione importante: “se al mattino vi accorgete che i sacchi non sono stati ritirati, avvertite subito il numero di emergenza!” Ok. E tu, sfortunato operatore telefonico che stai solo facendo un ingrato mestiere, ringrazia che sto benone, perché se avessi la febbre a 40 come molti hanno avuto, col cavolo che mi prenderi la briga di controllare pure che qualcuno abbia ritirato i sacchi! Anzi, non ma la prendo, punto. Ci penserà qualcuno che non è in malattia. In ogni caso, i sacchi arrivano, e son proprio bellini, eh! Rossi rossi, come gli insetti pericolosi, per ricordare che i miei son rifiuti potenzialmente mortali! A prescindere da tutte le polemiche (per me, si badi, anche poco costruttive in un momento di emergenza) sul fatto che il colore dei sacchi violi la privacy dei malati, vi assicuro che i sacchi rossi sono resistenti e comodi, quasi quasi chiedo dove li hanno comprati: sono ottimi per le lettiere del gatto! Da brava cittadina, seguo pure le istruzioni per bene: do anche una disinfettata ai sacchi prima di metterli fuori, così, tanto per... (anche se immagino che gli addetti ai rifiuti i guanti li usino a prescindere, anche quando ritirano spazzatura ordinaria). Insomma, gli do credito. Ohimè. Perché questo è ciò che accade venti giorni dopo. Ora voi saprete (e per chi non lo sa, lo spiego) che quando prendi il covid sei in quarantena d'ufficio per 14 giorni dal primo sintomo (o dall'esito del tampone positivo per chi i sintomi non li ha avuti). Al quattordicesimo giorno puoi rifare il tampone, e, se negativo, sei a posto. Molti, però, restano positivi a lungo, anche dopo la cessazione di qualsiasi manifestazione del virus: in tal caso, al ventunesimo giorno di isolamento, puoi scrivere alla ASL, auto-certificando che sono passate tre settimane dall'inizio della malattia e che l'ultima settimana sei stato senza sintomi: e loro ti “liberano”. È il mio caso. Ricevo la lettera di fine isolamento, ma mio marito, che si è ammalato qualche giorno dopo di me, è ancora in quarantena (anche sulla riscoperta di questa parola si potrebbero fare due chiacchiere, però!). Il mattino successivo ci telefonano dal Comune. Non per sapere se siamo vivi (domanda legittima visto che nessuno ci ha dato la minima indicazione su come procurarci cibo e altri generi di prima necessità, tanto che, se, invece che due giovani sgaggi, fossimo stati due anziani soli e poco intraprendenti credo ci avrebbero ritrovati mummificati) bensì per sapere se...avevamo ancora sacchi rossi! Gli spieghiamo che ne abbiamo a sufficienza e che uno di noi ha ricevuto il provvedimento di fine isolamento dalla ASL. “Bene!” esclama giulivo l'impiegato comunale “Allora lei può ricominciare a fare la raccolta differenziata, mentre suo marito continua a usare i sacchi rossi!”. Wait. What??? Siamo in due. In un monolocale. Siamo marito e moglie. Pranziamo insieme. Ceniamo insieme. Dormiamo insieme. Usiamo lo stesso bagno, gli stessi piatti, le stesse stoviglie. Come è possibile che i suoi rifiuti siano gravemente pericolosi ed i miei siano magicamente tornati ad essere innocui? Ma siamo pazzi? Ed io che mi ero pure preoccupata di disinfettare il sacco! Insomma, questo per dire che: no, non servono a un accidente i sacchi rossi. Ma viviamo in un mondo di sacchi rossi. In un mondo dove poter scrivere che a tizio sono stati consegnati i sacchi rossi è sufficiente a dire che stiamo facendo qualcosa per combattere il virus. In un mondo dove puoi auto certificare di essere guarito e la Asl ti firma un provvedimento di fine quarantena ma...udite udite...quel provvedimento non è valido per rientrare a lavoro. Dunque, per la comunità sei sano, ma per il datore di lavoro sei malato. Dunque puoi teoricamente uscire, ma può teoricamente arrivarti una visita fiscale. Viviamo in un mondo dove la vita procede (lentamente e male) a suon di moduli. E dove la gente conta quanto un modulo. O – sob – pure di meno.