Nick Srnicek e Alex Williams, Inventare il Futuro, NERO ed, Roma 2018.
Le proposte contenute del libro Inventare il Futuro, scritto da Nick Srnicek e Alex Williams, risultano evidenti fin dalla copertina. Questa presenta, su sfondo rosso, tre rivendicazioni chiare, esplicite, a caratteri cubitali: pretendi la piena automazione! Pretendi il reddito universale! Pretendi il futuro! Risulta davvero secondaria la trascrizione del titolo e del sottotitolo (Per un mondo senza lavoro, giusto per rincarare la dose già ricevuta dal lettore). Tuttavia, queste rivendicazioni, seppure ci proiettano verso il futuro, non rappresentano che il risultato di un’operazione concettuale che ha radici in situazioni presenti, concrete e tangibili. In questa recensione affronteremo sia i presupposti della proposta di Srnicek e Williams (l’opera infatti non è decontestualizzabile dalle considerazioni espresse in merito allo sviluppo tecnologico in generale ed alla situazione della sinistra occidentale) che il piano delle proposte politiche, economiche e sociali. È chiaro fin dai primi capitoli che il cardine intorno al quale ruota l’opera in esame è lo sviluppo tecnologico. Gli autori tuttavia affermano quanto questo non possa essere considerato positivo in sé e per sé. Anzi, vi sono più paragrafi del libro che puntano il dito sulla pericolosità di uno sviluppo tecnologico accettato acriticamente e considerato neutrale. La premessa alle forti pretese della copertina è quella infatti che il cosiddetto progresso tecnologico non è vero progresso se non accompagnato da prerequisiti, condizioni e scelte che ne incanalino lo sviluppo verso scopi di emancipazione (non c’è bisogno di ripetere nuovamente le rivendicazioni della copertina, vero?). Un soggetto politico progressista dovrebbe quindi porsi la questione della tecnologia per carpire i possibili sviluppi e le susseguenti pieghe socio-economiche che tali avanzamenti potrebbero comportare. Torneremo in seguito su tali questioni. Altro presupposto per comprendere la proposta politica di Srnicek e Williams è la considerazione dello stato di salute della sinistra occidentale. Questa condizione è per i due autori assai problematica. I due fanno derivare la debolezza della sinistra contemporanea da problemi che sono interni ad essa e che dipendono più dal matrimonio con certe idee e pratiche piuttosto che dalla forza dell’avversario neoliberale e capitalista. Per gli autori il problema principale della sinistra occidentale contemporanea è l’accettazione di quella che loro chiamano folk politics (1). La parola indica una serie di idee e pratiche che caratterizzano le scelte politiche, sia dal punto di vista ideologico che organizzativo/pratico, della sinistra contemporanea. I due autori individuano nella folk politics un atteggiamento che tende al localismo, all’autenticità, al tradizionale e al naturale che si può definire politica dell’immediatezza. La categoria dell’immediato viene declinata in tre ambiti nella sinistra contemporanea: temporale, spaziale e concettuale. Per immediatezza temporale, Srnicek e Williams intendono l’elaborazione di tattiche a stretto giro che ignorano gli obiettivi a lungo termine, mobilizzandosi per singoli risultati minimi piuttosto che per creare una connessione delle lotte tale da mettere in discussione l’ordine neoliberale. In questo senso l’immediatezza, nella sua dimensione temporale, predilige la familiarità del passato alle incognite del futuro (vedi le ricette socialdemocratiche o veterocomuniste proposte sia dai partiti del centro-sinistra che dai soggetti più radicali ed oltranzisti) e lo spontaneismo rispetto ad ogni possibile struttura organizzativa o istituzionalizzazione. L’immediatezza spaziale, invece, favorisce il locale (cui vengono affibbiate le caratteristiche dell’autenticità) rispetto alla prospettiva globale, e quindi piuttosto che concentrarsi in una critica di ampio respiro riguardo al sistema di sfruttamento capitalistico in senso globale si concentra sulla comunità su piccola scala, vestita di aprioristico orizzontalismo e di scelte etiche individuali. L’immediatezza concettuale predilige il quotidiano rispetto allo strutturale, il sentire rispetto al pensare, il particolare rispetto all’universale e l’etico contro il politico: qualsiasi progetto politico di scala globale e strutturale è quindi tacciato di dover scendere a compromesso con qualcosa pur di superare l’ambito dell’immediato. Il risultato dell’adozione di questo approccio che predilige le immediatezze è che la sinistra contemporanea, invece che mettersi in discussione per mirare all’abbattimento ed al superamento del capitalismo, costruisce i proprio luoghi entro i quali praticare le proprie pratiche di resistenza in attesa di un fatidico momento nel quale le condizioni rivoluzionarie si saranno concretizzate e si potrà uscire allo scoperto andando all’assalto del capitale. Quello che questo approccio non prevede è che il nemico si organizza, si struttura, si fortifica, e nel mentre noi rimaniamo legati ad una pratica politica assolutamente particolaristica e non in grado di poter proporre un modello alternativo anche nel momento nel quale una crisi potrà mettere in discussione l’ordine vigente. Gli autori pongono quindi la questione dell’inventare il futuro, appunto. Nel rivendicare l’esistenza di ‘visioni del futuro’, come supplemento fondamentale di qualsiasi progetto politico trasformativo, gli autori enfatizzano su quanto sia importante immaginare la società che la lotta politica aspira a realizzare. Questa visione indirizza il processo politico e crea un criterio secondo cui decidere quali lotte supportare e a quali movimenti resistere, in assenza di un’immagine del futuro esistono solo resistenza e autodifesa, aspetti fondamentali, ma tipici di quella politica folk che gli autori criticano. Viene così introdotto il concetto di “iperstizione”, uno degli strumenti fondamentali suggeriti da Snricek e Williams per inventare il futuro. Secondo gli autori “l’iperstizione” opera catalizzando un sentimento diffuso in una forza della storia che porta il futuro a esistere”, trattasi ovvero di un pensiero che realizza se stesso in virtù della sua stessa esistenza, una cosiddetta “profezia auto realizzante”, ed é in chiave iperstizionale che deve essere concepito il progresso: “una specie di fantasia, ma che aspira a trasformarsi in realtà”. Mentre la narrativa corrente del sistema capitalista considera il progresso come un sentiero già lastricato che l’umanità percorre verso un futuro già scritto, l’iperstizione permette di costruire il sentiero verso qualsiasi futuro possibile. Ad esempio di ciò gli autori chiamano il “cosmismo russo”, una corrente filosofica sviluppatasi in Russia nel tardo ‘800, che mescolando etica e scienza con elementi derivati da diverse tradizioni filosofiche, teorizzò il progresso dell’umanità e dell’universo dalla colonizzazione dello spazio tramite veicoli a reazione, fino a culminare nella sconfitta definitiva della morte da parte dell’umanità. Si deve a questi pensatori l’iperstizione che si é poi realizzata, dopo la rivoluzione di ottobre, nella ricerca e nell’esplorazione spaziale mandata avanti in Unione Sovietica. L’incarnazione dell’iperstizione del progresso é l’utopia. Una sinistra che rivendichi la propria utopia é dunque essenziale per qualsiasi progetto post-lavorista. Essa é infatti uno strumento fondamentale alla lotta politica, che permette visualizzare gli obiettivi a lungo termine da raggiungere tramite la lotta, ed é fondamentale per qualsiasi percorso che voglia realizzare un cambiamento. Il pensiero utopista analizza accuratamente la congiuntura presente, e la proietta nel futuro. Piuttosto che rinchiudere la discussione sul futuro dentro una cornice probabilistica, tramite l’utopia si riconosce che il futuro é radicalmente aperto. Nel caso, l’utopia stessa contiene al suo interno la tensione e il dinamismo necessari per rinnovarsi continuamente man mano che viene perseguita. Non é un caso che la rivoluzione neoliberale, figlia anche essa di un’utopia, sia riuscita ad imporre le proprie pratiche antisociali convincendo le masse che non esistessero alternative ad esse. Se vogliamo scappare da questo presente, dobbiamo rifiutare i parametri prestabiliti del futuro e aprirci con la forza dell’immaginazione un futuro ideale a cui aspirare. La sinistra deve dunque, secondo Snricek e Williams, liberare l’impulso utopista dalle catene neoliberali per espandere lo spazio del possibile, mobilizare una prospettiva critica del presente e coltivare nuove ambizioni. Questa é una differenza fondamentale con la sinistra cosiddetta folk, in quanto una sinistra utopista evade da qualsiasi forma sia attualmente considerata probabile o prevedibile e rivendica il proprio carattere trasformativo a tutti i livelli della società, e ancora più profondamente di cosa significhi essere umani. Srnicek e Williams oppongono quindi, contro le pratiche della politica folk, la costruzione di una contro egemonia. Al lettore che conosce i classici del pensiero marxista questo riferimento non può che ricordare le opere di Antonio Gramsci. Il pensatore italiano, nei suoi scritti del periodo carcerario, espone la sua teoria della pratica politica come pratica di egemonia. Nei Quaderni del Carcere, tuttavia, non vi è una definizione univoca del lemma egemonia, e il concetto oscilla infatti fra la questione delle alleanze di classe, l’importanza della costruzione del consenso in una situazione prerivoluzionaria e la combinazione di forza e consenso nell’esercizio del potere. Inoltre nei testi gramsciani, ad egemonia vengono connesse diverse aggettivazioni: si parla di egemonia culturale, di egemonia politica, di egemonia economica etc. L’utilizzo del termine Egemonia nel testo Inventare il Futuro contribuisce quindi ad una ridefinizione in chiave contemporanea del concetto di egemonia andando ad integrare nuove prospettive nella nozione che Gramsci, probabilmente più per la morte nelle carceri fasciste che per una deliberata scelta, ha lasciato aperta. Srnicek e Williams interpretano l’egemonia come la capacità di incorporare diversi gruppi sociali in un consenso condiviso tale per cui venga a crearsi una nuova soggettività che fa riferimento ad un nuovo senso comune riuscendo a diffonderlo. La costruzione di una contro egemonia è quindi dichiaratamente in opposizione alla politica dell’immediatezza: non più resistenza difensiva contro i tentacoli del capitale, ma rilancio della lotta in termini inclusivi ed universalistici, tali da poter creare un blocco sociale e politico il più ampio possibile per rispondere a contraddizioni che non sono di tipo locale e circoscritto ma sono globali e strutturali. Inventare il Futuro si propone quindi di rilanciare la lotta su un nuovo piano, superando le rivendicazioni difensive della folk politics (che devono essere un punto di partenza, non un fine, esplicitano gli autori) verso l’elaborazione di un nuovo senso comune e di un nuovo progetto egemonico. Su quali principi sviluppare questa nuova proposta? Il progetto controegemonico di Snricek e Williams é caratterizzato da quattro rivendicazioni fondamentali. Ognuna di per sé potrebbe rappresentare un obiettivo a cui aspirare, ma é tramite la realizzazione di un programma che le preveda tutte e quattro che queste realizzano a pieno il proprio potenziale rivoluzionario. Esse sono: 1. La piena automazione; 2. La riduzione dell’orario settimanale di lavoro; 3. Il reddito universale di base2; 4. La riduzione dell’etica lavorista. La prospettiva della piena automazione giustifica la riduzione della settimana di lavoro, e rende necessaria l’istituzione di un reddito universale. La riduzione dell’etica lavorista scardina le resistenze culturali tipiche del capitalismo nei confronti del reddito universale, rivendicando il “diritto al #tempo”. Il reddito universale aumenta il potere politico dei lavoratori, permettendogli di contrattare una settimana di lavoro più breve o addirittura di agevolare la piena automazione, nel momento in cui l’acquisto di nuove macchine diventasse più conveniente di assumere nuovi lavoratori. Secondo gli autori “Questi obiettivi risuonano uno con l’altro incrementando la propria potenza combinata”. La lotta politica deve dunque trasformare il futuro in una forza attiva nella trasformazione del presente. Solo così l’egemonia post-lavorista potrà essere realizzata e la collettivizzazione dei mezzi di produzione ricontestualizzata in un futuro da inventare e conquistare.
note- 1- I traduttori, non trovando un corrispettivo italiano, hanno preferito mantenere la dicitura in inglese. 2- L’idea di un reddito di base ha affascinato la fantasia di chi immagina la società ai tempi dell’automazione non solo da sinistra. Per questo motivo gli autori ci tengono a sottolineare la differenze tra un reddito che sia davvero universale e di base, e la degenerazione neoliberista, di un reddito di cittadinanza che sollevi lo stato dalla responsabilità di investire nei servizi essenziali. Appare chiara dunque la differenza tra l’idea di reddito che hanno Snricek e Williams, e quella che sta venendo proposta o applicata in alcuni stati dell’Europa occidentale. Un cittadino che non lavora, e che é costretto a scegliere se investire il proprio reddito ad esempio nell’istruzione dei propri figli, in cure mediche, sarà comunque costretto a lavorare per sopravvivere, mettendo dunque il proprio tempo a disposizione dello sfruttamento da parte del capitale. Questa forma di reddito, simile a quella sbandierata in Italia da uno dei due partiti attualmente al governo, non fa altro che scambiare l’investimento pubblico in servizi di prima necessità, in un ricatto, che costringe l’individuo ad accettare di lavorare in condizioni via via peggiori pur di continuare a recepire il reddito tra un impiego a termine e l’altro.