Recensione: Mayer-Schonberg – Ramge, Reinventare il capitalismo nell'era dei Big Data, Egea, 2018.

Di: M. Minetti

Questo non è un libro contro il capitalismo ma ci dice che il capitalismo sta morendo. Gli autori, un professore di Oxford di e-governance e network economy e un giornalista dell'Economist, entrambi europei, non nascondono le loro simpatie liberiste e la loro cultura aziendale (la casa editrice è dell'Università Bocconi di Milano). Per loro il capitalismo odierno deve essere superato ma soltanto per far posto ad un sistema economico più efficiente, pervasivo, e comunque redditizio.

Il mercato, ci dicono (p.11), «è un meccanismo che ci aiuta a spartire risorse limitate in maniera efficiente». La paura che vogliono esorcizzare sembra essere proprio quella maledizione della caduta tendenziale del saggio di profitto che, all'aumento dell'efficienza tecnologica e della concorrenza, sottrae sempre di più la possibilità di guadagno per gli imprenditori. Non è detto che il paradigma valga ancora, ma gli autori sembrano nascondere questa legge cardine del pensiero di Marx dietro le lusinghe dorate dei mercati data-driven. Riconoscono che, talvolta, la maggiore efficienza dei mercati può portare ad una «riduzione del benessere»(p.73)[Nota – un facile incontro fra domanda e offerta sovrabbondante (concorrenza) può abbassare i prezzi, quindi i profitti degli imprenditori, i salari dei lavoratori, i margini dei venditori, facendo spendere meno chi non ne ha bisogno ovvero i ricchi, che immobilizzano le ricchezze, la famigerata e molto attuale deflazione] e si rendono conto che il dominio del capitale è ormai finito. Si veda il capitolo «Il declino del capitale» (p.128), ma hanno fiducia nella capacità evolutiva delle aziende maggiormente all'avanguardia. Nessun accenno ad un possibile ruolo regolatore delle istituzioni politiche. La tesi centrale degli autori è la seguente. Grazie all'importanza assunta dai meta-dati e dalla capacità di elaborarli, il mercato, con la sua struttura decentrata, orizzontale, autoregolata; sopravanzerà, e plasmerà a sua immagine, le imprese , da sempre in conflitto con il mercato, con la loro struttura fino ad oggi verticale di decisionalità accentrata, governata con flussi di informazioni centralizzati. Vengono prima descritte numerose realtà aziendali che hanno dato vita a mercati, il cosiddetto capitalismo delle piattaforme, Amazon, Ebay, AliBaba, Youtube, Google, BlaBla Car, Facebook. Le piattaforme social, di condivisione o di ricerca possono esse assimilate a mercati in quanto più che fornire un servizio, offrono una infrastruttura in cui il servizio può essere offerto e fruito dagli stessi utenti (offerta e visione di contenuti video, richiesta di informazioni e visibilità dei siti, offerta e acquisto di merci, vetrina personale e curiosità delle altrui..).

Allora perchè leggere questo saggio?

Perchè gli autori sanno di cosa parlano e descrivono realtà esistenti. Se dal nostro punto di vista dialettico-materialista, la società civile si plasma grazie a norme complementari ai metodi produttivi e in base agli interessi materiali della classe che quegli strumenti produttivi detiene e controlla, esprimendosi quindi nella forma delloStato e oggi degli organismi sovranazionali, la lettura di questo libro può essere molto interessante. Le strutture politiche, lo Stato e i suoi corpi intermedi (Partiti, Sindacati, Associazioni, Fondazioni...) non sono esenti da questa influenza della «struttura». Per costruire un soggetto politico che abbia delle caratteristiche contemporanee, quindi in grado di esprimere egemonia, ma non rappresenti soltanto una applicazione ulteriore di un modello neo-capitalistico, bisogna sovvertire gli aspetti delle attuali organizzazioni mercatistico-aziendali che le connotano ancora come eredi del capitalismo. Quindi come ulteriori strumenti in mano ad una classe per sfruttarne un'altra. Questi aspetti possono essere fondamentalmente ridotti a due, la proprietà (il potere) e il governo (la decisionalità) delle strutture produttive-riproduttive della società. A mio parere bisogna osservare la struttura del capitalismo di piattaforma, descritto nel testo, e sovvertirne gli aspetti quali la proprietà (della struttura, dei dati prodotti, del valore prodotto, della conoscenza prodotta) e la partecipazione alla decisionalità (accesso alle informazioni, ai dati elaborati, alle decisioni, alla conoscenza e al valore prodotto) da parte degli «utenti».

La decisionalità.

Secondo gli autori, le decisioni vengono sempre più delegate con successo ad algoritmi che analizzano enormi quantità di dati corrisponenti a molteplici variabili. Finora i mercati si basavano solo sui prezzi per semplificare le operazioni di scelta, ma non era il metodo più efficace, era soltanto quello più alla nostra portata. Il cervello umano non è in grado di trattenere e analizzare enormi quantità di dati come possono fare oggi i computer (p.47) per questo i mercati data-driven sono incomparabilmente più efficaci nel far incontrare domanda e offerta dei semplici confronti fra i prezzi. I decisori umani serviranno soltanto a indicare i principi generali e le priorità incorporate negli algoritmi (p.80)(Anche se spesso vengono così prodotti errori sistematici madornali nelle decisioni, come testimonia il saggio di Cathy O'Neil, Armi di distruzione matematica, del 2016). Nel capitolo 5, Imprese e controllo (p.85), si analizzano alcuni studi di caso. Attualmente le piattaforme-mercato (market-place) funzionano come aziende tradizionali, con un capo carismatico, di solito il fondatore, e una piramide grarchica a volte molto rigida ( Amazon, Ebay, Facebook..) a volte più schiacciata (Google), ovvero con meno livelli gerarchici e più autonomia periferica. Alcune imprese classiche come Daimler (Mercedes) stanno trasformando i propri processi aziendali verso la formazione di una piramide piatta con solo due o tre livelli gerarchici (modello start-up), al posto dei sei attuali.(p.107) Questo per ottenere una maggiore rapidità di innovazione e adattamento al mercato.

La proprietà dei dati.

Dai proprietari dei market-place digitali, gli autori osservano, vengono estratte enormiquantità di dati che rispecchiano le preferenze e le abitudini dei compratori. Queste informazioni sono ciò che permette ad una piattaforma di avere un vantaggio strategico sulle altre. L'algoritmo che suggerisce gli acquisti si perfeziona con ogni transazione o mancata transazione. Gli autori ipotizzano che l'enorme patrimonio di dati accumulati possa essere in futuro a disposizione anche degli altri operatori sul mercato, in modo che non sia solo chi fornisce il marketplace a fornire il servizio di mediazione per la vendita, ma vari operatori in competizione per fornire l'algoritmo migliore (p.75) un po' come avviene con il trading finanziario. Questa utopia della concorrenza è tanto velleitaria come la pretesa di rendere «etico» il mercato, a mio parere, ma gli autori si rivolgono ad un pubblico ben preciso che è quello statunitense che ha la sua religione del mercato e la “libera concorrenza” è uno dei suoi dogmi. Perchè le aziende dovrebbero cedere l'uso esclusivo dei dati che conservano e che gli permettono di godere di una posizione dominante sul mercato? Forse soltanto perchè potrebbero essere obbligate a farlo o perchè i costi di stoccaggio di queste enormi quantità di dati potrebbe essere esternalizzato a strutture pagate dalla finanza pubblica. Molti teorici della società dell'informazione, come delle articolazioni di questa nella forma dei Big Data, auspicano che il patrimonio immateriale prodotto dall'umanità, spesso inconsapevole di produrlo, venga reso pubblico e aperto a chiunque. Le aziende dovrebbero soltanto fornire il marketplace o i servizi di analisi ed elaborazione dei dati ma non possederli. Ma chi dovrebbe allora sostenere i costi di estrazione e conservazione di quei dati? Non è chiaro. Attualmente, nei mercati data-driven che si stanno strutturando, l'infrastruttura è centralizzata e fornisce un servizio di solito gratuito nell'accesso. Gli utenti forniscono i contenuti sotto forma di prodotti. Ogni transazione (acquisto, scaricamento, visualizzazione, commento, like..) genera un valore di cui in parte il fornitore dell'interfaccia si appropria (tariffa) e genera dei dati che rimangono di proprietà del fornitore dell'infrastruttura il quale può venderli ( se autorizzato all'uso di terze parti nel GDPR), o vendere gli studi analitici operati su quei dati (indagini di mercato), usarli per l'addestramento di sistemi di machine learning o utilizzarli per migliorare il servizio offerto (GDPR, fornitura del servizio).

Verso delle infrastrutture del comune. (Alcune riflessioni libere.)

Come si configura oggi un socialismo delle piattaforme? Quali sono le sue caratteristiche? La proprietà comune e il controllo popolare su una decisionalità partecipata e a piramide piatta mi sembrano caratteristiche costituenti. Il meccanismo del controllo popolare è contrario alla delega e alla costituzione di esecutori e controllori professionali che rimanderebbero al modello verticistico dello Stato, quindi dell'esercito, ovvero delle grandi aziende fino ad oggi. Quel modo di organizzare le persone è considerato superato e inefficiente, per il semplice fatto che necessità di anni per adattarsi a dei cambiamenti, di solito di generazioni. Ora si prediligono strutture cellulari in competizione fra loro in cui la sovrastruttura fornisce soltanto le regole e le specifiche delle relazioni. Più che una organizzazione identitaria e coesa si predilige un'ecosistema di organizzazioni e di singoli che operano in uno spazio comune come fosse un mercato dove domanda e offerta si incontrano in modo fluido e sempre rinegoziabile. Tradotto in termini politici sarebbe lo statuto (le regole) e il programma (le specifiche), mentre il manifesto (la mission) sarebbe la base valoriale costituente del patto associativo fra soggetti diversi e non in pieno accordo fra loro ma che trovano continuamente punti di incontro (transazioni). In un ottica di superamento del capitalismo in senso socialista questa infrastruttura dovrebbe essere pubblica, ma non statale, poichè questo favorirebbe un uso autoritario della stessa come, ad esempio, accade in Cina, e i dati (anonimi) disponibili a tutti. In un ottica di orizzontalità e controllo popolare queste infrastrutture dovrebbero preferire le opzioni scelte dagli utenti e i feedback piuttosto che le opzioni sponsorizzate, anzi la sponsorizzazione non dovrebbe essere ammessa dagli algoritmi. Dovrebbero avere codice aperto, verificabile, e ammettere meccanismi di controllo da parte degli utenti. Alcuni esempi esistenti sono i social decentralizzati e federati, in cui i server sono autogestiti, oppure le cooperative di fornitori di servizi, i progetti di software libero, i gruppi di governo partecipativo di alcune amministrazioni. L'aspetto più interessante di una trasformazione in senso partecipativo e pubblico dei mercati data-driven è nell'aspetto dell'uso dei dati prodotti da queste infrastrutture. Se i dati sono prodotti dai comportamenti e dalle scelte degli utenti, questi dati dovrebbero rimanere di proprietà pubblica. Il loro accesso dovrebbe quindi rimanere aperto, a disposizione di singoli e organizzazioni che mirano a far incontrare domanda e offerta politica, proposte e sostenitori, candidati e votanti, persone comuni, associazioni e attivisti, migliorando la rappresentatività dei corpi intermedi e le decisioni degli amministratori.

Alcune indicazioni per il futuro.

Nel capitolo, “il declino del capitalismo” viene analizzata la tremenda crisi in atto del sistema bancario. La crisi, dal 2008, ha portato alla parziale nazionalizzazione del sistema bancario e non si è ancora esaurita. Gli autori prevedono che il denaro perderà la sua funzione regolatrice dei mercati, sostituito dai flussi di dati. “Se l'economia di mercato avanza grazie ai dati, non possiamo più etichettare il futuro come “capitalista”, nel senso che il potere è concentrato nelle mani di chi possiede il denaro” (p.136). Assistiamo al tramonto della finanza e del capitale. Per ora è proprio la finanza che supporta le aziende FinTech (quelle che offrono servizi finanziari digitali) che ne stanno erodendo il potere. Forse con lo scopo di controllarle in futuro. Tra queste FinTech troviamo istitutidi credito che offrono tassi più bassi usando Credit Score (affidabilità nei pagamenti) basati su dati personali dei clienti come SoFi,Avant, Zest Finance, Baidu (cina).(p.141) Sempre in Cina la piattaforma per prestiti peer to peer Lufax ha movimentato crediti per 100 MLD di $ nel 2016. Gli autori mettono in guardia per il pericolo dell'accentramento dei feedback. La cibernetica, termine che deriva dal greco Kybernete ovvero “colui che pilota, che governa”, comporta il pericolo che un ristretto gruppo ne faccia uso per ottenere un potere eccessivo sul resto del genere umano. Robert Wiener, uno dei fondatori di questa disciplina, ne “l'uso umano degli esseri umani”(1950) considera una aberrazione considerare la società un sistema cibernetico complesso e cercare di condurlo all'efficienza. Questo tema, affrontato anche da Lyotard nel suo “la condizione postmoderna”, ci mette in guardia su una serie di meccanismi di governance basati su basi di dati enormi e modellizzazioni matematiche, che guidano organismi sovranazionali e nazionali prescrivendo direttive su pensioni, tassazione, investimenti, emissioni di CO2, occupazione, debito pubblico, immigrazione... Gli autori rilevano che il pericolo dell'accentramento della decisionalità sui mercati viene dalla mancata competizione tra i pochi mediatori delle transazioni. Solo che l'ipotesia di una convergenza tra grandi corporation è vista come una ipotesi remota e distopica mentre quale esempio fanno di una deleteria concentrazione di feedback? Nientemeno che il programma Cybersyn del 1972 del cile di Salvator Allende di programmazione economica delle aziende statali. Interrotto prima di funzionare dal golpe di Pinochet, che ristabilì il libero mercato, con la dittatura militare. Qui è evidente l'intento di accreditarsi presso quelle scuole di economia statunitensi e neoliberiste che infatti hanno pluripremiato il libro. Nel capitolo “Disaggregare il lavoro” viene analizzato il panorama, largamente condiviso di una minore centralità del lavoro nella produzione di valore e quindi di una minore retribuzione della quota lavoro rispetto alla quota di capitale fisso impiegato. Insomma meno lavoro e meno soldi ai lavoratori e piu soldi per investitori e banche. I lavoratori più colpiti risultano quelli a basso reddito. Sono in veloce aumento i lavoratori autonomi senza dipendenti, quelli che spesso lavorano nella gig-economy, quindi le partite Iva a basso reddito e, ovviamente, i disoccupati. Per far fronte alle disuguaglianze crescenti si prospettano due strade: la “robotax” cioè una tassa sull'automazione (a cui si è espresso favorevolmente addirittura Bill Gates nel 2017) proposta e poi bocciata al parlamento europeo per paura che potesse bloccare l'innovazione. L'altra opzione distributiva è quella di tassare i redditi da impresa o direttamente i capitali con una patrimoniale. Secondo gli autori questa opzione è la più sostenuta in diversi paesi europei. (p.176) (Ci fa piacere saperlo..PaP l'ha sempre detto.) Gli autori illustrano poi la soluzione più “partecipativa”. Ovvero la riqualificazione dei lavoratori espulsi dai settori travolti dalla automazione. (Insomma se non puoi più lavorare al call center, diventa esperto di machine learning e programma gli algoritmi che ti hanno sostituito..!) Cogliendo la non linearità dei processi di innovazione e la loro scarsa prevedibilità, che impedisce una rapidariqualificazione, gli autori prospettano anche la prospettiva di un reddito di base incondizionato. Il limite che individuano è ovviamente la spesa a carico della fiscalità generale, in una ipotesi di reddito di base di 1000$ mensili per tutti i cittadini statunitensi, il costo si aggirerebbe attorino ai 3000 Mld di $, circa il 10% del PIL (se il pil è 18 trilioni, sarebbe quasi il 20%), ma soprattutto individuano un limite interpretativo. “Se i dati ci consentono di andare oltre il denaro, perchè mai l'innovazione sociale, volta a risolvere i problemi causati dai mercati data-driven, vi pone tanta enfasi? Perchè mai reintrodurre, attraverso un reddito universale di base, una soluziuone monetaria semplice e fissa [..]? In tal senso, più che regressiva una misura come il reddito universale sarebbe retrograda, più rivolta ciè al passato che al futuro.” (p. 180-1) Questi tre esempi di soluzioni di politica economica si basano su assunti economici non dimostrati. Ovvero che la quota del lavoro continuerà a diminuire mentre la quota del capitale continuerà a crescere per un rapporto di proporzionalità inversa. Ma questo non è affatto dimostrato. L'economista Simcha Barkai (in Declining Labor and Capital Shares), ricalcolando la variabilità dei tassi d'interesse del capitale, avrebbe dimostrato che in questi ultimi decenni sono i profitti ad essere aumentati, ovvero l'eccessivo costo di beni e servizi, dovuti a inefficenze (o a ottime strategie di vendita) dei mercati e della concorrenza. Aziende come Amazon, Google, Apple, Facebook, Netflix, Samsung, Huawei, Ali Baba, sono riusciti a conseguire enormi margini di profitti con costi di manodopera e iniezioni di capitale relativamente limitati. Questa per gli autori non è la prova di una rinascita dell'impresa, quanto un indizio del suo declino. In questo concordano con l'economista Mariana Mazzucato nell'attribuire alle grandi aziende superstar il ruolo di estrattori di valore (rendita) piuttosto che di creatori di valore (reddito). Oltre ad un generico auspicio che su questi inauditi profitti, dovuti più che altro ad abili sistemi di elusione fiscale transnazionale, venga imposta una tassazione mirata, gli autori suggeriscono che l'obbligatoria divulgazione dei dati raccolti dalle grandi corporation possa essere un modo per farle collaborare all'utilità pubblica. Insomma tasse sotto forma di dati. Altra proposta è la detrazione fiscale degli impieghi che tuteli chi crea lavoro e le imprese a minore innovazione tecnologica. Infine gli autori spiegano cosa intendono per “disaggregare il lavoro”. Scomporlo nelle sue componenti caratteristiche offrendo pacchetti diversificati per la domanda di lavoro. Orari, salari, competenze, possibilità di crescita e carriera, relazioni, flessibilità, saranno elementi che soppianteranno la semplice misura della retribuzione per un orario standard. In questa prospettiva l'introduzione di un salario di base parziale, permetterebbe una maggiore libertà di scelta a chi cerca lavoro, non dovendosi concentrare solo sull'aspetto della necessità del reddito. “ se un reddito universale di base parziale permette alle persone di lavorare meno, saremo in grado di mantenere più persone all'interno della forza lavoro anche dopo che l'automazione sarà a pieno svolgimento.” (p192)