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katatokreontology Frammento di Anassimandro esserci è έξ ών δέ ή γένεσίς έστι τοίς οΰσι, καί τήν φδοράν είς ταύτα γίνεσθαι κατά τo χρεών • διδόναι γάρ αύτά δίκην καί τίσiν άλλήλοις τής άδικίας κατά τήν τού χρόνου τάξιν enti naturali (le "cose che sono") non provengono diretta­mente dall’"illimitato", come non è direttamente in esso che si dissolvo­no. La loro esistenza essere"i la risonanza : 'Αναξϊμανδρος ... αρχήν ... εϊρηκε τών όντων τό άπειρον ... έξ ών δέ ή γένεσϊς έστι τοίς ονσι, καί τήν φθοράν είς ταύτα γίνεσθαι κατά τό χρεών- διδόναι γάρ αυτά δίκην καί τίσιν άλλήλοις τής άδικϊας κατά τήν τον χρόνον τάξιν è l'infinito (apeiron)(nell'apeiron) κατά τό χρεών è' άπειρον, all'«illimitato, infinito»' archè È(àpeiron), come eterno, indeterminato, illimitato. Eterno perché è al di là'infinità pari a quella che noi moderni pos­siamo immaginare, cioè aperta e progrediente, poiché si struttura in un andamento per contro circolare, fatto di distacco dalla e di ritorno alla infinità del principio. Ciò significa che in Anassimandro, benché si possa ritenere che egli abbracci una visione monistica invocando l'infinito come unico prin­cipio, è presente una concezione dualistica dell'esistenza delle cose, insorgenti dalla dinamica di infinito e finito. 1-2. La presenza dei contrari discende ad Anassimandro sia dalla tradizione che dall'espe­rienza: già in Omero certi accadimenti naturali – quali le tempeste e la bonaccia in cui si risolvo­no – appaiono governati dal contrasto; così è anche per le vicende che hanno luogo all'in­terno dell'animo umano e così sarà anche nella difficile visione della giustizia di Esiodo. In tal senso possiamo leggere pure le affermazioni di Anassimandro: ce lo testimoniano i richiami all'opposizione fra umidità e sole in DK 12 A 11, ai contrasti che nel vento conducono alle tempeste in A 23, a quelli fra le cose presenti e quelle future in A 27. II contrasto è messo espli­citamente a tema in questo frammento, come scontro fra le cose che ne fa universale legge del loro comportamento. Ma l'infinito è scaturigine, disponibilità illi­mitata da cui fuoriescono (come sappiamo per separazione e quindi in ragione delle opposizio­ni che vi germinano) i contrari; sebbene l'idea di un abisso infinito da cui le cose derivano sia presente già in Esiodo e nell'Orfismo, la sintesi di Anassimandro è indubbiamente originale. Sussiste un processo di individuazione e di distacco per cui una parte dell'infinito – il quale giace in eterni indistinzione e disordine (è infatti il caos della tradizione) – si finitizza in individua­lità limitate e precisamente connotate (il ko­smos della tradizione), al di sotto delle quali tuttavia l'infinito persiste come perenne fonte da cui le cose escono e a cui ritornano. Teniamo presente che l'infinito può esser detto principio, ma non elemento (come già Aristotele aveva inteso: cfr. DK 12 A 15) e che esso ha la funzione di «abbracciare» tutto, il che significa non solo sostenere materialmente, ma anche regolare e guidare: esso dunque è insieme materia e causa, per usare una concettualità posteriore. 2-3. Dopo quanto si è detto sopra sulla di­namica cosmogonica di Anassimandro, la parte ancora da spiegare sarà la finale, col celebre quanto oscuro concetto di ingiustizia: la pre­senza nel testo di quel «l'uno all'altro» ci mo­stra, contrariamente alle interpretazioni più vecchie, che l'ingiustizia non è pagata all'infi­nito, bensì agli esseri. Si tratta naturalmente di una ingiustizia cosmica, che non coinvolge af­fatto il concetto morale di responsabilità, l'im­putazione personale tipica del Cristianesimo, tanto più che le cose non commettono que­st'ingiustizia per loro volere, ma per necessaria obbedienza alle leggi dell'infinito stesso. Vi è chi ha ritenuto addirittura che doppia fosse l'ingiustizia: prima l'individuazione delle cose singole rispetto all'infinito, quindi il tenta­tivo tra esse di sopraffazione per prolungare indefinitamente la propria esistenza. La vita stessa delle cose particolari è costitutivamente lotta e contrasto e dunque l'ingiustizia è condi­zione fisiologica dell'essere; la necessità che lo governa equivale alla naturale disposizione del tutto. L'ordine del tempo fa riferimento alla collo­cazione, per l'appunto temporale, delle cose, che si oppongono per questa loro natura al carattere eterno dell'infinito. Dunque il senso complessivo del frammento sta nel muovere dalla constatazione che tutte le cose particolari hanno vita limitata e, in quanto partecipi del­l'ordine del tempo, sono soggette alla distruzio­ne. La seconda parte, la più importante, spiega le ragioni di tale dinamica: ogni elemento è un contrario, ma esso sussiste proprio in virtù del suo contrario, dalla relazione col quale trae vita e senso. L'alternanza allora è essenziale perché se un contrario si assolutizzasse sopprimendo l'altro, esso pure verrebbe soppresso, non tro­vando il contraltare che lo definisce. Il tempo, che stabilisce l'alternanza dei contrari, è lo stru­mento di cui l'infinito si serve per governare le cose e per porre fine al tentativo di una cosa di assolutizzarsi impedendo alle altre di sussistere; esso non è divino come l'infinito, ma lo è indi­rettamente perché suo strumento. ANALISI DEL TESTO (Maranzana) Analisi storico-critica Discepolo di Talete e vissuto a Mileto nella prima metà del VI secolo, Anassimandro è considerato l'autore del primo trattato della storia della filosofia occi­dentale, tramandatoci con il titolo Sulla natura. L'unico frammento rimasto di questo testo, quello qui riportato, si trova nel Commento alla fisica di Aristotele, composto nel VI secolo d.C. da un dotto di formazione neoplatonica, Simplicio. A questo proposi­to, possiamo ricordare che i commenti ad opere di Platone e Aristotele sono una fon­te molto importante per la conoscenza della filosofia dei presofisti, in quanto i loro au­tori citavano, oltre ai testi su cui il commento veniva elaborato, anche frammenti di al­tre opere e di altri autori, come termini di paragone. Analisi sintattica La struttura del frammento ha fatto ipotizzare ad alcuni commentatori che si tratti della prima formulazione dialettica della filosofia, ossia del primo passo in cui viene proposta la soluzione di un confronto fra due tesi avverse. Giorgio Colli, so­stenitore di questa interpretazione del frammento, ritiene che ciò collimi con una tra­dizione secondo la quale Anassimandro si mostrava in pubblico come sapiente diret­tamente ispirato dalla divinità. Inoltre, egli coglie una somiglianza fra la struttura del testo e gli enigmi, quesiti di forma oscura e difficile, originariamente diffusi in ambito religioso e quindi adottati come strumenti agonistici nel dialogo. Analisi semantica Aristotele, primo commentatore di questo passo, vi legge l'esposizione di una dottrina secondo cui la natura sarebbe costituita da contrari, quindi una dottri­na di tipo «fisico», secondo uno schema interpretativo che si è affermato nella storio­grafia filosofica fino ai giorni nostri. Oggi, tuttavia, altri studiosi ritengono che Anassimandro si riferisca non alla realtà materiale, quanto, piuttosto, al significato stesso dell'esistenza, con forti risonanze re­ligiose, come dimostrerebbero i richiami alla necessità («ciò che dev'essere») e al «de­creto del tempo». Il ricorso a termini come «punizione», «vendetta», «giustizia» e «decreto» ha an­che suggerito il legame fra la filosofia di Anassimandro e la problematica sociale, nel quadro di una tesi più generale dell'interpretazione della filosofia dei Presofisti co­me riflessione legata alla realtà etico-sociale del loro tempo. Per questa ragione vi è stato chi ha sostenuto, come Werner Jaeger, che «la giustizia universale di Anassi­mandro ricorda come il concetto greco di causa (aitìa), che divenne fondamentale per il pensiero nuovo, in origine faccia tutt'uno con quello di colpa e fosse dapprima trasferito dalla responsabilità giuridica a quella fisica», mentre, secondo Rodolfo Mondolfo, «il concetto stesso di cosmo deriva dal mondo umano (ordine della dan­za, dell'adornamento personale, dell'esercito e dello stato); e ne deriva pure il con­cetto di legge, senza del quale non si sarebbe costituita l'idea della natura come to­talità organica». ANALISI DEL TESTO (Ciuffi-Luppi) Il frammento di Anassimandro è il più antico testo fi­losofico giunto fino a noi. Ci è stato tramandato da Simplicio, che lo cita in un commentario alla Fisica di Aristotele all'incirca del 530 d.C. Il frammento, che Simplicio aveva a sua volta ripreso da Teofrasto, se­guace di Aristotele, poté così venir tramandato fino a noi. Dal tempo in cui Anassimandro pronunciò il suo detto fino al momento in cui Simplicio lo inserì nel suo commentario trascorse più di un millennio. Altri mille e cinquecento anni dividono Simplicio dai no­stri tempi: il frammento di Anassimandro è la parola più antica del pensiero occidentale. Gli studiosi hanno lungamente discusso sulla sua au­tenticità, senza tuttavia arrivare a un'opinione univo­ca. La maggioranza tende oggi a riconoscerlo come autentico, anche se forse non letterale, e ad acco­glierlo integralmente. II testo è scritto in prosa, ma fa uso di espressioni riprese dal linguaggio poetico: si osservi a questo proposito la struttura della prima parte del frammento simile alla figura retorica del chiasmo: «da dove [...] hanno l'origine ivi hanno [...] la distruzione», e l'uso di una identica formula per chiudere le due parti di cui si compone il testo «se­condo necessità [...] secondo l'ordine del tempo». La struttura del frammento Il frammento può essere approssimativamente diviso in due parti. La prima ha carattere generale e fissa il tema fondamentale del discorso: «da dove infatti gli esseri hanno l'origine, ivi hanno anche la distruzione secon­do necessità». La seconda parte fornisce la spiegazio­ne di tale principio: «poiché essi pagano l'uno all'al­tro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo». La prima parte del frammento Le parole-chiave della prima parte sono esseri, origi­ne, distruzione, secondo necessità: 1. esseri significa "le cose che sono" e indica tutto ciò che è esistente, vivente, e di cui si compone la phy­sis. Le "cose" non sono soltanto quelle della natura, ma anche gli uomini e le cose da essi prodotte. Il ter­mine allude quindi alla molteplicità di ciò che esiste nella realtà; tale molteplice non è però da intendere come una semplice somma di oggetti, bensì come un tutto da cui la physis è costituita; 2. origine (ghènesis) è termine già usato da Omero, in riferimento a Oceano, padre di tutti gli dèi; 3. distruzione indica il "perire", il finire di ciò che è nato, di ciò che ha avuto origine. Origine indica il ve­nire alla luce, alla natura; distruzione il ritornare nel luogo di origine, il non essere più; 4. secondo necessità (katà to chreòn) è, da Anassi­mandro in poi, espressione tipica del lessico filosofico. Per "necessità" si intende ciò che costringe, ciò che non può non essere. Alla sua legge sottostanno sia gli uomini, sia gli dèi. La seconda parte del frammento Le parole-chiave della seconda parte sono pena, in­giustizia, ordine, tempo: 1. pena: gli esseri, una volta venuti al mondo, con­ducono un'esistenza "colpevole" e per questa colpa devono pagare una pena, devono "fare ammenda"; 2. ingiustizia (adikia) indica la mancanza di dike (giustizia). Là dove essa regna, le cose non vanno co­me dovrebbero. Dike esprime un accordo tra gli es­seri; adikia un disaccordo. Per fare ammenda di que­sto disaccordo essi devono pagare l'uno all'altro la pena prevista, cioè ritornare nel luogo di origine; 3. ordine (taxis), ma anche "legge"; 4. tempo (chronos): gli esseri scontano la loro pena, espiano la loro colpa per l'ingiustizia commessa, se­condo la legge e l'ordine del tempo. Il mondo non è pertanto caos indistinto e confuso, ma un cosmo, cioè una successione di fatti e di eventi, ordinata in base a un principio razionale, a una legge di giustizia. La parafrasi La parafrasi del frammento è dunque la seguente: là do­ve tutte le cose hanno origine, devono necessariamen­te anche andare a finire; infatti esse pagano reciproca­mente la pena e scontano la colpa per l'ingiustizia che hanno commesso, secondo la legge del tempo. L'espressione iniziale "là dove" rivela un rapporto di separazione tra l'àpeiron e le cose: queste ultime si originano dall'arché, la quale è tuttavia "al di là" del­le cose. Estraneo al mondo e al tempo, l'àpeiron ri­ceve in questo modo una designazione astratta. L'interpretazione del frammento Secondo alcuni studiosi, il lessico del frammento ri­vela una matrice orfica: il riferimento al dominio del tempo richiamerebbe la divinità orfica Chronos, il tempo; il motivo della "necessità" sarebbe una for­mulazione filosofica della figura orfica Ananke, la ne­cessità; anche il tema della colpa e della punizione sarebbe proprio del pessimismo orfico. Secondo altri, al contrario, le figure del mito sono difficilmente ri­conoscibili nel testo e comunque non determinanti. L'autore, per spiegare il movimento di tutte le cose, ricorre a un linguaggio preso dalla vita quotidiana. Sono usati termini («pagano», «pena», «espiazione», «ingiustizia») di uso comune. Si tratta di termini giu­ridici, usati in senso traslato. Per i primi filosofi, la vi­cenda cosmica è analoga a quella umana. Agli albori della filosofia e della scienza, essi interpretano il mondo fisico servendosi di concetti ripresi dall'os­servazione del mondo della polis, che aveva codifi­cato le leggi e l'amministrazione della giustizia. IPOTESI ALTERNATIVA L'opera "L'infinito: un equivoco millenario" di Giovanni Semerano (1911-2005), ha come obiettivo quello di rileggere la cultura e soprattutto la filosofia della Grecia classica, sulla base dell'ipotesi di una derivazione di tutte le lingue da una comune matrice accadico-sumera. Ciò permette all'autore una reinterpretazione radicale dell'intera vicenda della Grecia arcaica e classica, non più vista come una miracolosa isola di razionalità, ma come parte integrante di un'unica comunità che comprende Mesopotamia, Anatolia ed Egitto. La tesi del volume si basa su una nuova interpretazione del termine apeiron, centrale nella filosofia di Anassimandro. Il filosofo definisce infatti l'elemento da cui hanno origine tutte le cose, il loro principio (in greco antico arkhé) con il termine àpeiron, che abitualmente viene ritenuto costituito da a- privativo ("senza") e da péras ("determinazione", "termine") e tradotto pertanto come "indeterminato" o "infinito". Secondo Semerano, tuttavia, poiché la parola péras ha una e breve, mentre àpeiron ha un dittongo ei che si legge come una "e" chiusa lunga, il dittongo non può essersi prodotto dalla e breve di péras. Semerano riconduce invece il termine al semitico 'apar, corrispondente al biblico 'afar e all'accadico eperu, tutti termini che significano "terra". Il noto frammento di Anassimandro, in cui si dice che tutte le cose provengono e ritornano all'àpeiron non si riferirebbe dunque ad una concezione filosofica dell'infinito, ma ad una concezione di "appartenenza alla terra" che si ritrova in tutta una precedente tradizione sapienzale di origine asiatica e che è presente anche nel testo biblico: "polvere sei e polvere ritornerai". Sulla base di questa interpretazione, Semerano rilegge dunque tutto lo sviluppo della filosofia precedente la sofistica in una chiave anti-idealista e anti-metafisica, ridisegnando i confini tra divergenze e affinità tra gli antichi pensatori, e riconducendone la maggior parte entro una fisica corpuscolare, che accomuna tra gli altri Anassimandro, Talete e Democrito. In tale ricostruzione, tuttavia Semerano sembra ignorare un fatto essenziale: nel dialetto ionico, a differenza che nell'attico e in molti altri dialetti greci, l'alternanza fra "e" ed "ei", fra vocale breve e dittongo, si trova spesso ed è originata da dinamiche linguistiche ben note. Sinonimi del termine usato dal filosofo, si trovano infatti in Omero, dove si parla di pòntos apèiritos, che secondo le tesi del Semerano dovrebbe essere tradotto dunque non come un "mare infinito", ma come un improbabile "mare terroso". INTERPRETAZIONE DI HEIDEGGER Nella celeberrima opera "Sentieri Interrotti" di M. Heidegger vi sarà un'interpretazione assai originale del concetto di giustizia supposto da Anassimandro, elaborato attraverso la logica dell'"essere per la morte". L'origine di tutte le cose avviene per separazione dall'àpeiron Che cos'è la natura?