Giorgio Viali - Regia Sceneggiatura

Archivio – Bozze, Sceneggiature, Sceneggiatura, Soggetti, Cinema, Fotografia

Smart Filmmaking di Giorgio Viali Ottobre 2006

“Medium shot of two teen girls standing and fighting in Hallway at school. To purchase this clip please click the link above”

[Riprese di due ragazze che si fronteggiano e combattono all'interno di una scuola.]

Il titolo di questo articolo potrebbe far pensare ad una sterile contrapposizione tra parole vuote ed icone [Fast, Smart, Slow, Idiot] gia’ fin troppo usate. Ma questo non e’ un manifesto! Non vuol essere un elogio della lentezza e dell'idiozia nel cinema, non vuol essere una critica ad un cinema solo commerciale, veloce e furbo. Non lo e’! Anche se la tentazione e’ grande! Siamo cosi’ facili ai proclami, ai podi, ai manifesti!

Fare cinema oggi, come sempre, vuol dire confrontarsi con territori ancora inesplorati.

Permettersi di scoprire questi nuovi territori, prendersi il tempo di cercare il limite, la soglia che oggi ci viene presentata. I lavori commerciali vivono spesso di rendita e si cibano di sperimentazioni e di idee che altri hanno elaborato, che altri hanno vissuto in prima persona.

Fare cinema, oggi, e’ difficile. Ma lo e’ sempre stato!

Sono molte di piu’ le persone che oggi hanno questa possibilita’. Questo non significa che ci siano molti piu’ bei film in circolazione. La quantita’ di registi non e’ direttamente proporzionale alla qualita’ dei film.

Ci sono delle scene di film visti di recente che mi porto dietro. Che hanno qualcosa da dirmi. Ma non sono ancora riuscito a capire cosa voglioni dirmi. Dove vogliono portarmi. Ci sono delle scene che sto’ girando che non hanno un senso. Non ce l'hanno. Ma hanno qualcosa da dirmi o qualcosa da insegnarmi.

In 21 grammi c'e’ una scena di un corpo nudo, inquadrato con insistenza, quasi anonimo perche’ inquadrato senza testa, che si muove, in un amplesso. E’ una scena voluta. Inserita coscientemente. Un corpo che si muove, anonimo, senza testa, solo pulsioni, Questo e’ il cinema oggi! Questa e’ una metafora che descrive com'e’ il cinema oggi. Anonimo. Senza testa. Automatico. Pieno di pulsioni. Di movimenti imprevedibili e di uno sguardo ossessivo.

“Borderless Cut”. Un taglio, una ferita senza confini. Viviamo in un territorio che sembra essere privo di confini, di frontiere ma pieno di tagli, di ferite, di lacerazioni.

Ed il cinema come puo’ non assomigliare al nostro vivere quotidiano? Come puo’ non essere pieno di ferite, di tagli, di lacerazioni? “Cosa sono? Cosa voglio? Dove vado? Sono una giovane regista secondo me di belle speranze, voglio raccontare delle storie che tocchino così in fondo da avere paura di ammetterlo, vado a caso, giro in giro, e cerco gente che mi aiuti in questo.”

Laura Chiossone

“Holy smoke” [Fuoco Sacro]. Un'idea, un plot veramente accattivante. E un film che si perde. Che non arriva da nessuna parte. Bellissima l'idea di un deprogrammatore. Di una persona che non e’ uno psicologo o uno psichiatra ma e’ un deprogrammatore. Qualcuno che puo’ deprogrammare una fede, una visione, un'illuminazione. Il cinema e’ illuminazione ma e’ anche e soprattutto attivita’ di deprogrammazione. Deprogrammare il proprio sguardo. Il desiderio di essere oggettivo anche nelle soggettive. Ma l'impossibilita’ di esserlo. Il mio e’ solo uno sguardo ferito. Pieno di ferite. Di lacerazioni.

La bellezza e la semplicita’ delle inquadrature di “Innocenza selvaggia” di Philippe Garrel. In bianco e nero. Essenziali. Bellissimo il momento dell'incontro. Una lenta camminata. Camera da presa ferma.

“Come vorrei la protagonista del mio film?

Magra e longilinea.

Ascetica.

Pura.

Stupida.

Magari schizzata.

Con crisi di personalita’.

Che si guarda intorno, che sbarra gli occhi,

che sospira e si inventa parole senza senso.”

“Mm… Paola è una… “ragazza interrotta” ? Accolgo la metafora del precariato. Per la verità spaventa pure me. Un po’. Allora, io sono libera durante questo weekend. Come ben sai, non so guidare (per quanto ci abbia seriamente provato). Lunedì mattina, o anche martedì mattina, va ugualmente bene. Pensi che potrei prendere il treno per Vicenza? Come potrei fare?“

“Una stanza per incontri di lavoro, modello zen, semi-vuota. Solo due divanetti bianchi e un tavolino. Una grande vetrata dove, all'esterno, scorre dell'acqua. Come una specie di fontana irregolare.

Alberto Murri, un regista emergente, 35 anni, sta’ aspettando all'interno di questa stanza.

Arriva Paola, giovane sceneggiatrice, al suo primo impegno professionale. Si salutano e Paola inizia a raccontare al regista la sua sceneggiatura, la sua idea per il film che dovranno realizzare.

La sceneggiatura di Paola parla di una donna, Lucia, una single, sui 27-30 anni che all'improvviso si ritrova senza lavoro. Nel giro di alcuni mesi Lucia si ritrova a dover lasciare il proprio appartamento, a dover rinunciare all'automobile, a scoprire cosa vuol dire vivere in modo precario”.

Ferite terapeutiche. Tagli terapeutici!

Tea-tea consists of systematic cuts made on the chest wall when the child has difficulty in breathing.

The prevalence survey consisted of the examination of 1,995 children attending CWD during a four-week period in 1999 to look for missing primary canine teeth (ebino), and for “therapeutic” cuts on the chest wall (tea-tea).

Giorgio Viali

Work in progress per una sceneggiatura.

Archivio – Giorgio Viali – 2006 – Inside Bozza di Sceneggiatura

Inside…. Bozza di Sceneggiatura di Giorgio Viali – Settembre 2006

1 – INTERNO STANZA CON VETRATA – POMERIGGIO Primo incontro. Una piccola stanza con le pareti bianche. Due divanetti. Un tavolino. Una grande vetrata come parete. Sulla vetrata cade, all'esterno, dell'acqua. Una specie di fontana. Un uomo stà guardando la vetrata e l'acqua che vi cade. Si sente bussare. ALBERTO Avanti! Entra una giovane donna. Dà la mano ad Alberto. PAOLA Eccomi quà! Si siedono. PAOLA Mi servono un paio di minuti per riprendermi. Nessuno parla per un minuto. Paola si guarda intorno. Alberto si guarda le mani e guarda le pareti. PAOLA Mi piace questa stanza. Una stanza zen, direi. E'costosa? ALBERTO Non lo so! L'ha prenotata la Produzione. Ancora una pausa di silenzio. PAOLA Bene! Mi sono ripresa! Possiamo cominciare. Pensavo, per iniziare, di leggerti la sceneggiatura? ALBERTO Se per tè è lo stesso preferirei che tu mi raccontassi quali sono le scene più importanti, più significative. Quelle che ti sono più care. Preferirei iniziare cosi’. PAOLA D'accordo!… La protagonista è in automobile. E'quasi sera di una giornata autunnale. Stà tornando a casa. Ma è una giornata particolare, perchè è l'ultimo giorno di lavoro. E'stata licenziata… Paola continua a raccontare e raccontando si immagina la scena.

2 – INTERNO PRIMA AUTOMOBILE – TARDO POMERIGGIO Siamo all'interno di un'automobile. Una giovane donna, capelli corti neri, camicetta nera e un paio di orecchini pendenti è alla guida. Pensierosa e preoccupata, delusa. Mentre guida suona il telefonino. La donna non risponde. Dopo un po'suona nuovamente il telefonino. Non risponde. Ferma l'automobile ai bordi della strada. Mette i lampeggianti e scende dall'automobile. Si siede per terra, vicino all'automobile e rimane a guardare nel vuoto.

3 – INTERNO STANZA CON VETRATA – POMERIGGIO PAOLA Mi piaceva l'idea di cominciare da qui. Dalla fine di qualcosa. Senza far vedere il colloquio di licenziamento. Senza far vedere il luogo di lavoro della protagonista. ALBERTO Provo a ripeterti quello che mi hai raccontato? Dunque… Una donna stà guidando la sua automobile. Stà rientrando a casa… Alberto racconta e raccontando, a sua volta, si immagina la scena.

4 – INTERNO SECONDA AUTOMOBILE – TARDO POMERIGGIO Interno di un'automobile. Una giovane donna, capelli lunghi neri, una camicetta bianca e una collanina dorata. E'triste! Suona il telefonino. La giovane donna guarda il telefonino ma non risponde. Continua a guidare…

5 – INTERNO STANZA CON VETRATA – POMERIGGIO ALBERTO Si potrebbe iniziare con un'inquadratura ai lampeggianti dell'automobile ferma. Alberto immagina la scena.

6 – ESTERNO SECONDA AUTOMOBILE – TARDO POMERIGGIO Lampeggianti posteriori di un'automobile. Poi la macchina da presa si sposta. La porta dell'automobile è aperta. La macchina da presa entra nell'automobile. Si guarda intorno. Non c'è nessuno. Poi la macchina da presa vede attraverso un finestrino una persona che è ferma in mezzo ad un campo incolto. Primo piano della protagonista, ferma in mezzo al campo. Si sente suonare un telefonino dall'interno dell'automobile. La protaginista guarda in direzione dell'automobile ma non si muove, lo lascia suonare.

7 – INTERNO STANZA CON VETRATA – POMERIGGIO ALBERTO Manca qualcosa in questa scena. E'troppo semplice. Lo spettatore non sa'ancora niente della protagonista. Ed in questa scena non apprende niente su di lei. Ha solo l'opportunita'di vederla. Suona un piccolo allarme. Una specie di campanello. ALBERTO Dobbiamo andare! Ci si rivede mercoledì. Stessa ora. Paola esce per prima. Alberto la segue dopo poco.

8 – INTERNO CASA DI PAOLA – MATTINO Siamo a casa di Paola. Paola è sdraiata sul divano di casa sua. Alcuni appunti in mano. Una donna, la stessa donna che Paola si è immaginata come protagonista del suo racconto, la stà osservando. Paola non vede questa donna. PAOLA (Legge mentalmente) Le ferite assumono aspetti diversi in base alla causa che le ha provocate; sotto tale aspetto distinguiamo: 1) ferite lacero-contuse: con schiacciamento e strappamento irregolare della pelle, provocate dall'urto contro un ostacolo rigido, smussato; 2) ferite da taglio: lacerazioni nette, provocate da strumenti affilati, come un coltello, una sottile lamiera, un coccio di vetro; 3) ferite da punta e da punta-taglio, provocate dalla penetrazione di uno strumento appuntito ed eventualmente tagliente (chiodo, coltello, freccia,…); 4) ferite d'arma da fuoco, provocate dalla penetrazione di proiettili. Le ferite da punta, da punta-taglio e da fuoco sono le più pericolose. Una pausa. PAOLA (Pensa)I tagli, le ferite, come qualcosa di strettamente connesso con la nostra quotidianita’. Con il nostro modo di vivere. Con il tema della precarieta’. Essere precari vuol dire essere usi ai tagli, agli strappi, alle ferite, a rapporti interrotti, non conclusi, frammentati, inconsistenti, non durevoli nel tempo.

9 – INTERNO STANZA CON VETRATA – POMERIGGIO Secondo incontro. Alberto seduto stà leggendo. Di fianco a lui Una donna. La donna che lui si è immaginato, la sua protagonista. Alberto non la vede. Bussano. Entra Paola. ALBERTO Tutto bene? PAOLA Si! Grazie. Anche alle spalle di Paola c'è Una donna. Quella immaginata, creata dall'immaginazione di Paola. Alberto e Paola non si accorgono di queste due presenze. Non le vedono. PAOLA L'altra scena che mi e’ cara vede la protagonista ferma alla fermata dell'autobus. E’ quasi buio. Non c'e’ nessuno che aspetta l'autobus. E’ sola.

10 – ESTERNO FERMATA AUTOBUS – TARDO POMERIGGIO La protagonista, come immaginata da Paola, è seduta alla fermata dell'autobus. E’ sola. C'è uno zaino vicino a lei. Non accade niente. La protagonista è li’ ferma.

11 – INTERNO STANZA CON VETRATA – POMERIGGIO ALBERTO (Pensa)Quante volte mi sono immaginato di ritrovarmi ad una fermata dell'autobus. Senza più niente. Completamente povero. Senza nemmeno la speranza di poter pensare ad un futuro. Sembra che questa visione non sia solo mia. Ma è strano che possa abitare nell'immaginario di una persona molto piu'giovane di me! ALBERTO Come la voglio? Com'è la mia protagonista “ideale”? Esile. Incerta. Magra e longilinea. Ascetica. Pura. Stupida. Schizzata. Con crisi di personalita’. Che si guarda intorno, che sbarra gli occhi, che sospira e si inventa parole senza senso. PAOLA Senza piu’ sogni si muove ai bordi di una città che da decenni si è scordata di alimentare e curare la visione, la parola. E’ una zona di confine. Tra l'andare e lo stare, tra il partire e il rimanere. Una zona difficile da abitare. Ed è simili alla zona che noi abitiamo quotidianamente. Una zona di confine, una zona temporanea.

12 – ESTERNO FERMATA AUTOBUS – TARDO POMERIGGIO Alla fermata dell'autobus adesso ci sono tutte e due le donne. La donna immaginata da Paola e quella immaginata da Alberto. Si guardano. Siedono vicine in silenzio alla fermata dell'autobus.

13 – INTERNO SECONDA AUTOMOBILE – TARDO POMERIGGIO Alberto è alla guida della sua automobile. Suona il telefono. Ferma l'automobile e risponde. ALBERTO Si? ALBERTO Hai già deciso? ALBERTO E a Paola, la sceneggiatrice che ho appena incontrato, l'hai già detto? ALBERTO Mi pare d'aver capito che tenesse molto a questo lavoro.Se glielo togli… ALBERTO Và bene! Và bene! Tu decidi! Di cosa parla questa nuova sceneggiatura che hai scelto? ALBERTO D'accordo, me ne parli domani. Ciao. Ripone il telefonino e riparte.

14 – ESTERNO CITTA’ – NOTTE La donna immaginata da Alberto si muove da sola per la città. E’ notte. E’ sola.

Dogville – Un mondo rarefatto Riflessioni e Proposte. Di Giorgio Viali – 2005

Mi sono fermato a riflettere. Per cercare di capire dove e come mi abbia colpito questo film. In quale punto. Quale sia il sentimento, l'emozione o la vergogna profonda che ha toccato? Non e’ stato facile scendere e calarsi dentro un mondo rarefatto come quello di Dogville. Dogville sorprende perche’ rappresenta un mondo rarefatto. Un mondo dove si respira un'atmosfera rarefatta. E’ come trovarsi su uno degli ottomila, e sentire, fisicamente, la rarefazione dell'aria. Lars Von Trier in Dogville ci ha portato a quell'altezza o a quella profondita’. Si’ perche’ la rarefazione e’ tipica delle alte quote, o degli abissi, fisici o mentali, emotivi o carnali. L'operazione del togliere non e’ un'operazione semplice. E’ un'operazione difficile, antientropica, antiamericana, antinomica. Un esperto grafico mi ripeteva continuamente quanto sia piu’ difficile togliere che non aggiungere. Mi ripeteva che l'abilita’ di un grafico risiede nella sua abilita’ di togliere.

Ma cerchiamo di capire quali altri punti vada a toccare. Quali altri cani vada a svegliare. E’ un film sulla violenza. E’ un film che parla della violenza. Della violenza subita da una donna, della violenza che un intellettuale (filosofo, religioso) riesce a innescare, riesce a mettere in moto. Con le piu’ buone intenzioni tutto quello che riesce ad ottenere il nostro protagonista maschile e’ solo della violenza, che altri subiranno. Il film gira intorno alla violenza perpetrata dagli abitanti di Dogville. La bellezza, l'arrendevolezza di Grace, (la Grazia), (The Grace e’ anche il titolo di un racconto scritto da Joyce) non puo’ non sfociare che nella violenza nei suoi confronti. E quello che sorprende e’ l'accettazione di lei. L'accettare quello che e’ accaduto. Non c'e’ rancore. Non c'e’ odio da parte di Grace. Non c'e’ nemmeno accettazione. Non c'e’ rassegnazione. L'incomprensibilita’ del comportamento di Grace, l'incommensurabilita’ del suo modo di agire. Il limbo emotivo in cui siamo catapultati.

Un altro punto di riflessione ha a che fare con la trasparenza, con la visibilita’, con un mondo di vetri, con un mondo dove non ci sono mura che ci separano dagli altri, un mondo dove tutto e’ visibile, tutto e’ o puo’ essere di pubblico dominio. Lars mette in mostra e rappresenta un mondo dove tutto e’ visibile. Un mondo fatto di vetri, di trasparenze, dove tutti possono vedere tutto, e dove tutto puo’ essere visto da tutti. Un modello di mondo che sta’ per arrivare. In parte gia’ presente nelle societa’ del nord ma ancora in fase di trasformazione. Siamo in cammino verso un mondo dove tutto e’ visibile a tutti. Dove anche la violenza e’ trasparente, visibile, fruibile.

Come potrebbe essere una sceneggiatura, che prenda le mosse da Dogville e che ne sviluppi ulteriormente le tematiche? Ho provato a pensarci e mi sono immaginato… Una sceneggiatura che veda una stanza come luogo dove si svolge tutto un film. Una stanza vuota. Una stanza completamente vuota. Pareti bianche, candide, immacolate. Come simbolo di uno spazio sociale o interiore, che non riusciamo a tenere vuoto, e che si riempie sempre velocemente di un'infinita’ di oggetti, desideri, sogni, dolori e angosce. E in piu’, rispetto a Dogville, un'assenza di racconto. Un racconto che non c'e’. O un racconto senza sovrastrutture. Senza possibili interpretazioni. Senza schemi. Un fatto. Una sequenza di meri fatti. Per arrivare a riflessioni sull'impossibilita’ di dirigere un film. Sull'impossibilita’ di raccontare quando siamo in presenza di altre persone. Qualcosa che ha a che fare con il teorema che recita che quando vogliamo raggiungere un obiettivo certamente non raggiungeremo quell'obiettivo, ma un altro o altri. Con il teorema esposto da Salvatores che recita che se vuoi far capire qualcosa a qualcuno non glielo puoi raccontare. Devi farglielo scoprire. Fornire indizi, non verita’ assolute. Con l'apophenia di Gibson, ovvero con la capacita’ umana di vedere e costruire dei nessi anche dove non ci sono.

Idee cardine del progetto:

  • Set minimalistico
  • Sceneggiatura solo accennata
  • Sviluppo casuale e indeterministico
  • Rapporto diretto e non mediato tra attori e regista
  • Più telecamere, più punti di vista
  • Irriverente e anticonvenzionale
  • Lavoro a perdere. Senza compenso ne’ rimborso

In pratica:

Tutto il corto sara’ ambientato e girato all'interno di un'unica stanza. Pulita e linda, vuota e da arredare in maniera spartana per le singole scene. Un set minimalistico. Un'assenza di set. Molti primi piani. La sceneggiatura servira’ solo da punto di partenza per elaborare un percorso e delle tematiche che ci sceglieranno. Due o tre telecamere che riprendono da punti diversi. Tentativo di presentare un modello di lavorazione e una storia anticonvenzionale, antiborghese, e provocatoria. E’ un lavoro che rimane fuori da qualsiasi regola di mercato. Realizzato in modo antieconomico. Tutti investono tempo e soldi senza un corrispettivo economico. Ossessivo, schizofrenico, dogmatico, sperimentale.

Dogmaless (Senza Dogmi)

Trasformare i propri punti deboli in punti di forza. Investire sulla disperazione umana. Divertirsi nell'interazione con gli altri. Da soli, davanti alla telecamera, come sfida con sè stessi. Dentro una stanza spotless. Senza macchia.

Background:

“PATTERN RECOGNITION” W. GIBSON

“Cayce Pollard is an expensive, spookily intuitive market-research consultant.” “She types Fetish:Footage:Forum, which Damien, determined to avoid contamination, will never bookmark.” “She enters the forum itself now, automatically scanning titles of the posts and names of posters in the newer threads, looking for friends, enemies, news. One thing is clear, though; no new footage has surfaced.”

“DOGVILLE” DIRECTED BY LARS VON TRIER (DENMARK, 2003) “A woman on the run from the mob is reluctantly accepted in a small Colorado town. In exchange she agrees to work for them.”

“A SPOTLESS FOOTAGE” DIRECTED BY GIORGIO VIALI (ITALY,2005) “A woman, videomaker, 35 years old, follow the idea of shooting a “Spotless and setless Footage”.“

“RIFF-RAFF” DIRECTED BY KEN LOACH (UK, 1990) “The story of Stevie, a construction worker, and his girlfriend, an unemployed pop singer.”

“ETERNAL SUNSHINE OF THE SPOTLESS MIND” DIRECTED BY MICHEL GONDRY (USA, 2004) SCWR.CHARLIE KAUFMAN “A couple undergo a procedure to erase each other from their memories when their relationship turns sour.”

“MAGNOLIA” DIRECTED BY PAUL THOMAS ANDERSON (USA, 1999) “Magnolia is the study of nine lives in one day in San Fernando Valley, California.”

“ALL TOMORROW’S PARTIES” W. GIBSON

“It brings back Colin Laney, one of the most popular characters from Idoru, the man whose special sensitivities about people and events let him predict certain aspects of the future.” “He desperately hopes that he has found the right carton.” “There are too many objects here, in this tiny space. Towels and blankets and cooking pots on cardboard shelves. Books. A small television.”

“Sequenze Immacolate” (A Spotless Footage) di Giorgio Viali Bozza di sceneggiatura per Cortometraggio

Ottobre 2005

La passione per il video l'aveva completamente soggiogata. La telecamera era il suo terzo occhio, il suo motivo d'esistere, il mezzo per creare, costruire, dire, fare, inventare, il filtro che le permetteva di vedere la verità, di forzare i rapporti sociali consueti ed entrare in profondità in sè stessa e negli altri. Non avrebbe mai pensato che un piccolo strumento, come una videocamera digitale, potesse diventare il suo motivo d'esistere, mai avrebbe pensato che la capacità di riprodurre il reale potesse diventare la sua ragione di vita.

Ed ora era sola. I momenti di pianto non tendevano a scendere, mediamente, nell'arco di una giornata. Ed era sempre un pianto profondo, liberatorio e incessante. Ma doveva pur trovare un modo per uscire da quel dolore intenso che tendeva a sedimentarsi e che solo il pianto riusciva a smuovere e sradicare. Il marito, suo marito, se n'era andato. Ma non era per questo che piangeva. Piangeva perchè suo marito s'era portato con sè suo figlio, luce dei suoi occhi, l'amore incondizionato, la gioia e la spensieratezza più intensa.

Difficile conciliare questi due aspetti. Anche lei non riusciva a comprendere come convivessero entrambi dentro lo stesso cuore. Erano entrambi profondi ed intensi. Immacolati e insondabili. Incerti e determinati. Inflessibili e acerbi. Possedeva una piccola Panasonic. Comprata con pochi soldi. Comprata nuova in un grande centro commerciale. Era entrata già sapendo quale modello avrebbe comprato. Conoscendone già completamente le caratteristiche. I pregi ed i difetti. Ed usava una Sony, una vecchia Sony a 3 CCD, che un fotografo, conosciuto indirettamente, le prestava quando ne aveva bisogno. Aveva già realizzato tre cortometraggi, tre se si escludevano delle riprese, fatte molti anni prima, all'interno di una struttura che si occupava di persone con handicap psichico. Così si diceva allora. Oggi non sò come vengano definite. Persone con una grande sensibilità ma con l'incapacità di percepire i limiti. Aveva già relizzato tre cortometraggi. Non era il momento di parlarne. Quello che era importante è che era impaziente di iniziare una nuova avventura. Un nuovo laboratorio di immagini in movimento. Un laboratorio di sequenze di immagini. Come avrebbe voluto chiamarlo.

Scrivere la sceneggiatura era un momento molto gratificante. Molto piacevole. Inventare una storia voleva dire, per lei, porsi delle domande profonde, esistenziali, andare a pescare all'interno di quella cerchia ristretta di sentimenti che sorreggono e danno un senso alla nostra vita. Di cosa si sarebbe occupata questa volta? Di quale sentimento, di quale sogno, di quale passione? Era il momento di chiederselo. Il momento giusto. C'era qualcosa che non era riuscita ancora a far emergere. Sentiva la sua presenza, percepiva i suoi movimenti. Sapeva che c'era. Sapeva che abitava profondità inaudite. Ma aveva anche paura. Perchè sapeva che era qualcosa che poteva urtare contro il comune sentire delle persone. Della medietà e della sobrietà delle persone. Sapeva che era qualcosa che aveva a che fare con l'immaginario. Carico di improponibili e indefinibili forze di rottura, di schiacciamento e di autodefinizione.

Voleva confrontarsi con l'immaginario? Era questo quello che voleva? Voleva mettersi in gioco in questo ambito? Per far uscire allo scoperto quell'essere onnivoro e astuto che percepiva solamente, ma che era abile e inapprocciabile. Era un modo per tirar fuori qualcosa, per maturare, per confrontarsi con dei sogni cresciuti spontaneamente e che rischiavano, pur essendo infanti, di dominare tutto invadendo ogni spazio utile? Era il momento di farlo? Sì. Lo era. Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di andare fino in fondo. Sapeva che era il momento di farlo.

Qual'era il cibo preferito di quell'animale astuto e onnivoro che si muoveva in profondità? La televisione innanzitutto. La televisione. Accesa in qualsiasi momento, presentava sempre e comunque ripetute ed ossessive scene di una felicità irrealizzabile, di emozioni profonde ma effimere, accompagnate da musiche avvolgenti, appropriate,e convincenti, di incontri, di baci passionali, di lieti fini. La televisione, dunque, era prima in questa classifica. Seguita poi immediatemente da Internet. Internet con le sue mille strade, le sue mille tentazioni. L'immaginario era alimentato dalle innumerevoli immagini-situazioni, randomiche, dove gli elementi che facevano la differenza erano il luogo, le persone. E ulteriori elementi ancora non classificati, percepiti ma non definiti. Elementi che era il momento di indagare, di svelare, di portare alla luce.

E intanto il compurter era impegnato a convertire un filmato.

Quale poteva essere la storia da raccontare? Non doveva essere troppo riflessiva ( nel senso che non doveva riflettersi su sè stessa). Doveva essere “banale” e nelle pieghe della sua banalità doveva nascondere perle di bellezza e di saggezza. Pochi attori. Che partecipassero a gran parte della storia. Preferiva lavorare con attori. Non aveva bisogno di un alter ego femminile. Una storia di uomini, ma non necessariamente maschile.

Giovane abbastanza da aver capito come andava il mondo, vecchia non a sufficienza per aver imparato a schermare la luce diretta ed intensa delle emozioni reali. Irretita dentro questo sogno, questo universo di immagini in sequenza, come sempre, decise di passare dalle parole ai fatti. In prima persona. E dove prendere l'ispirazione se non dalle cose che la circondavano? Se non mescolando e facendo interagire elementi della quotidianità, contigui e perenni, con elementi incidenti e frammentati come una lettura o un bel film visto al cinema o alla televisione?

Una sera, rientrando a casa aveva notato una rivista, abbandonata sopra uno scatolone di carta, fuori del portone di un condominio, pronta per essere raccolta la mattina successiva e portata al macero. Era notte. Poca luce arrivava da un lampione lontano. E cominciava a rinfrescare in quella notte di fine settembre. Paola si era guardata intorno e poi aveva raccolto la rivista. A casa l'aveva sfogliata attentamente. Pochi articoli, un'infinità di immagini di moda. Accessori e vestiti. Belle immagini. Belle donne. L'immaginario nella sua purezza. Nella sua sostanza, Nella sua effimera consistente e perenne apparizione. Estasiata si era immersa in quel mare di seduzione, di sogni, di essenze parallele e inavvicinabili, sale della terra, pane della vita. Belle. Belle e profonde come l'immaginario. Si stava avvicinando alla sua preda? Forse. Ma appena la consapevolezza entrava in campo l'estasi e l'arrendevolezza si dileguavano come la notte all'arrivo dei primi raggi del sole. E lei ripiombava nella normalità di un'esistenza carica di dolore, di gridi soffocati, di notti ancora da passare prima che tutto potesse finire.

Quelle immagini erano troppo belle. E… c'erano. Nel senso che esistevano. Esistevano già. Avevano già un loro posto nel mondo. Effimero. Transitorio. Certo. Come tutto nella vita. Ma non per questo meno reale. Meno tangibile. Perchè? Perchè allora non utilizzare la provvisorietà di queste immagini per costruire qualcosa? Perchè non prenderle come spunto per un lavoro da realizzare? Prenderle come modello? Modelle d'un modello. Era la strada giusta? Era una strada. Un sentiero per il momento. Che poteva portarla dritta nel profondo della foresta incantata. Là dove i sogni si avverano e la realtà svanisce dentro emozioni forti e irripetibili. Proprio dove lei voleva arrivare. Era una traccia. Una piccola traccia. Un punto di partenza. Perchè allora non ricostruire quelle immagini? Ricrearle? Riproporle. Riutilizzarle. Riciclarle? Prenderne una, sceglierla e poi ricostruirla. Ricrearla. Con un'altra persona. Diversa nell'aspetto, diversa nel colore degli occhi o nella lunghezza dei capelli. Ricostrurila e riproporla. Ricandidarla ad una nuova possibilità. Aveva trovato dei sassolini. Qualcuno li aveva lasciati perchè fossero trovati e raccolti. Lei li aveva trovati. Nel buio di una notte di fine settembre. Forse era stato il buon Dio? Nelle favole di solito erano i bambini che seminavano dei sassolini. Suo figlio era un bambino. Magari li aveva lasciati suo figlio per permetterle di ritrovarlo. Di riabbracciarlo. Per permetterle prima di ritrovare sè stessa.

Il progetto consisteva, in sintesi, nello scegliere delle immagini, o farle scegliere alle attrici e agli attori, e ricrearle più simili possibili all'originale, tenendo l'originale come modello. Come punto di riferimento d'un lavoro che altrimenti non avrebbe avuto alcun senso. Last but not least … filmare il tutto. Filmare. Filmare il momento della scelta. Riprendere le conversazioni, i preparativi, i tentativi, i gesti e le emozioni. Riprendere tutto. Montarlo e riprodurlo. Rivenderlo. Ri-immertelo nel mondo. Con un'altra valenza. Con un'altra prospettiva. Con un'altra possibilità. Questo le permetteva di entrare nel mondo dell'immaginario, che tanto l'affascinava, di riprenderlo e riprendersi senza sensi di colpa, senza veli e senza vergogne. Iniziò a sfogliare le pagine della rivista. A soffermarsi sulle singole immagini. Era già da un'altra parte. Abitava già un altro universo. Una nuova dimensione. Non era più una lettrice, passiva e ottusa. Ma una viandante in cerca di una strada per trovare l'attimo. Per perdere il proprio passato e regalare la propria esistenza consapevolmente a qualcuno. Gratuitamente. Liberamente. Senza possibili o probabili conseguenze. Era libera di guardare quelle immagini. Pronta a ricostruirle.

“Sequenze immacolate” (A Spotless Footage) di Giorgio Viali Bozza di sceneggiatura per Cortometraggio.

Archivio – Giorgio Viali – 2005 – Bozza Sceneggiatura “A Spotlesse Footage”

BOZZA SCENEGGIATURA DI “A SPOTLESS FOOTAGE” GIORGIO VIALI Ottobre 2005

INIZIO FILM – OMAGGIO A KEN LOACH – RIFF RAFF

1 – INTERNO SET – DAY Una giovane Ragazza è seduta sopra un materasso steso per terra. Vicino a lei un Ragazzo, un coetaneo. RIFF RAFF: “The story of Stevie, a construction worker, and his girlfriend, an unemployed pop singer.” RAGAZZO Sei bellissima. E coraggiosa. Forte e dolce insieme. Tenera e decisa. Ho paura. Paura di perdermi completamente dentro i tuoi occhi. Promettimi che mi amerai per sempre. Promettimi che non mi lascerai mai. Promettimi che il nostro amore non finirà mai. RAGAZZA Stringimi. Stringimi forte. Non ti lascerò mai.

TITOLI – “SEQUENZE IMMACOLATE” – DI GIORGIO VIALI

2 Scorrono i titoli. PRESENTAZIONE PAOLA

3 – INTERNO SET – DAY All'improvviso si cambia punto di vista. Si vede che in realtà siamo all'interno di un set. Modesto e spartano. Dietro la telecamera una donna, Paola, la regista. Un'altra Ragazza vicino a lei, Monica. PAOLA Ok. Questa è fatta. Gli attori si alzano , commentano la scena. RAGAZZO Quando ci si vede la prossima volta? La scena sfuma sul nero e compare una citazione.

TELEFONATA – OMAGGIO A MICHEL GONDRY

4 – INTERNO SALOTTO – EVENING Paola è seduta sul divano mentre legge un libro. Si alza, si avvicina al telefono. Si accovaccia vicino al telefono e piange amaramente. Un lungo pianto sconsolato. Alcuni flashback di Paola con un Ragazzo.

DIALOGO (PRIMO)

5 – INTERNO SALOTTO – DAY In salotto, Paola e Monica sono sedute e parlano. PAOLA Inventare una storia vuol dire farsi delle domande profonde, andare a pescare all'interno di quella ristretta cerchia di sentimenti che sorreggono e danno un senso alla vita. Vuol dire entrare in se'stessi, senza paura, e guardare quello che nascondiamo in fondo al nostro essere. Voce fuori campo di Monica, mentre Paola parla. MONICA La passione per il video l'ha completamente catturata. La telecamera è il suo terzo occhio, il suo motivo d'esistere, il mezzo per creare, costruire, dire, fare, inventare, il filtro che le permette di vedere la verità , di forzare i rapporti sociali consueti ed entrare in profondità in sè stessa e negli altri. Non avrei mai pensato che un piccolo strumento, come una videocamera digitale, potesse diventare un motivo d'esistere, mai avrei pensato che la capacità di riprodurre il reale potesse diventare una ragione di vita. PAOLA Mi sento come un animale allo zoo. Mi sento osservata. Non ho un lavoro. Non voglio un lavoro. Non per essere diversa dagli altri. Ma perchè voglio occuparmi di qualcosa che mi piaccia veramente, che mi dia soddisfazione, che mi appassioni e che mi gratifichi. Sಠdi essere una specie in via d'estinzione, che và protetta prima che l'omologazione diventi generalizzata. Sಠche è importante occuparsi dei sogni, dell'immaginario. E'importante accudire questi sogni, confrontarsi con il proprio immaginario.

VIDEOCAMERA – OMAGGIO A DOGMA95

6 – INTERNO SET – MORNING Paola gioca con la telecamera. Riprende e si riprende. Parla davanti alla telecamera. Si rotola per terra con la telecamera in mano. “Thus I make my vow of chastity”

PROVINO

7 – INTERNO SET – MORNING Suona il campanello. Paola scende e và ad aprire. Entra una ragazza, Renata. Non si conoscono. Si danno la mano. Paola invita Renata a seguirla. RENATA Cosa devo fare? PAOLA Prendi questa rivista. Siediti. La sfogli. Senza guardare in camera. Senza curarti della mia presenza. Fai finta di essere sola. Stai sfogliando questa rivista. Cerca una foto, un'immagine pubblicitaria che ti piaccia. Non la più¹ bella in senso oggettivo, quella che piace di più¹ a te, che smuove qualcosa all'interno di te, dei tuoi sogni, della tua vita emozionale. Cercala. Questo è il tuo compito. Non guardare in camera. Quando l'hai trovata me lo dici. Renata sfoglia la rivista. Collage di riprese. Tra quelle dirette di Paola e quelle indirette che vedono Paola muoversi intorno a Renata. RENATA Fatto. Scelgo questa. PAOLA Fammi vedere. Paola appoggia la telecamera e si mette a guardare con attenzione l'immagine scelta. PAOLA Proveremo a ricostruirla. Con tè come protagonista. Quando hai tempo? RENATA Domani no! Venerdì¬ pomeriggio può² andar bene? PAOLA D'accordo.

DIALOGO (SECONDO)

8 – INTERNO SALOTTO – DAY Paola e Monica sedute. Paola legge. Monica la guarda. Voce fuori campo di Monica. MONICA Paola è sola. I momenti di pianto non tendono a scendere, mediamente, nell'arco di una giornata. Il suo amore se n'è andato. L'amore incondizionato, la gioia e la spensieratezza più¹ intensa. PAOLA Ti ringrazio per essermi vicina. E non so² come altro ringraziarti se non con queste semplici parole. Monica si avvicina a Paola e l'abbraccia. PAOLA Stavo pensando a quali scene mi siano rimaste impresse di più¹. Ho cominciato a pensare a quale sia il film che più¹ mi ha segnato. E il primo pensiero è andato ad American Beauty. Bellezza ancora. La scena del sacchetto che vola, che si muove trascinato dal vento. Una scena senza macchia. Se per macchia intendiamo il peccato originale umano, quello di voler dare un senso a tutte le cose. Nei film di solito non si parla di altri film. CIACK

9 – INTERNO SET – DAY E’ stato allestito un set che ricostruisce lo sfondo dell'immagine pubblicitaria. Renata è al centro del set. Paola le dà delle indicazioni su come mettersi. E'presente anche Monica. Ricostruiscono l'immagine pubblicitaria che Renata aveva scelto. RIFLESSIONI – OMAGGIO AD ANDERSON

10 – INTERNO SET – EVENING Paola e Monica commentano il lavoro del mattino. PAOLA C'è qualcosa che non mi torna. Manca qualcosa. E non sಠcosa. Non riesco a capire cosa sia. Ha a che fare con la casualità . Un qualche evento casuale sconvolge la tranquillità della scena. Come la pioggia di rane in Magnolia. CARTON – OMAGGIO A GIBSON

11 – INTERNO SET – DAY Un grande scatolone. Qualcuno ci ha costruito dentro la sua casa. Uno scatolone arredato. Aperto da un lato. Ma non completamente. Disteso dentro lo scatolone che dorme una Ragazza. Dentro un sacco a pelo. Stringe tra le mani una piccola videocamera. “She desperately hopes that he has found the right carton.” “There are too many objects here, in this tiny space. Towels and blankets and cooking pots on cardboard shelves. Books. A small television.” From: “ALL TOMORROW’S PARTIES” GRACE – OMAGGIO A DOGVILLE

12 – INTERNO SET – DAY Paola dirige una Modella, arrendevole e passiva che fà tutto quello che le viene chiesto. Senza lamentarsi. Senza discutere. Cambio di vestiti. Cambio di pettinatura. Cambio di posa. Paola parla a sè stessa. Monologo sulla differenza tra agire e subire. FINE

13 – INTERNO SET – DAY Paola è seduta davanti ad una telecamera. Una donna la stà intervistando. GIORNALISTA Siamo in compagnia di Paola Vertari. L'ideatrice ormai famosa di quella forma di psicoterapia che ha preso il nome di videoterapia. Vuol raccontarci come le è nata l'idea della Video-Terapia? PAOLA Anni fà mi sono accorta, facendo delle riprese ad una modella, di quanto intima potesse essere un incontro di ripresa. E di come la telecamera riuscisse a mettere in luce aspetti della personalità altrimenti non visibili. La scena sfuma sul nero. Titoli di coda.

Fine.

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