Sei Cibi Magici Per il Vecchio Carnevale Blogghereccio. Qui i dettagli: https://arcipelagoceleste.blogspot.com/2021/07/vecchio-carnevale-blogghereccio-il-cibo.html

  1. Vassoio di Pasticcini dei Marcantoni Questo oggetto magico è considerato il capolavoro del Mago Pasticcere Halfling Ilarion Descolungo. Furono creati in origine per aiutare i viaggiatori halfling, fornendo quella forza bruta che manca alla loro razza. Ilarion creò centinaia di esemplari di questo oggetto magico durante la sua esistenza, e ancora oggi i suoi allievi ne producono su commissione. Ultimamente è nata la moda, presso le famiglie di mercanti più ricchi, di regalare uno di questi vassoi allə rampollə che compie sedici anni. Un vassoio si presenta di solito con 1d20 budini di riso (anche se Ilarion creò vassoi da 25 o anche da 100 pasticcini per la figlia del Piccolo Re). Per attivare il potere del Vassoio bisogna mangiare un pasticcino. Nel giro di 1d4-1 round appariranno 1d6+1 Marcantoni. I Marcantoni hanno gli stessi punteggi di un Ogre, ma sono meno irsuti e più gradevoli alla vista. Spesso hanno un forte odore di meringa, e la loro colonia sa di babà al rum. Sono di allineamento Legale Neutrale e non parlano nessuna lingua (ma capiscono la lingua degli Halfling). Al loro arrivo i Marcantoni saranno affamati, e ciascuno di essi dovrà ricevere uno dei Pasticcini. Nel caso ciò non succeda il Marcantonio attaccherà chi lo ha evocato in preda a una furia famelica. I Marcantoni nutriti con un Pasticcino saranno fanaticamente fedeli a chi li ha evocati, fino alla loro morte. Non possono recuperare PF con il riposo ma possono beneficiare di incantesimi di guarigione. Se per qualunque motivo un Marcantonio non dovesse ricevere un Pasticcino, la sua ira zuccherosa monterà fino a divenire pericolosamente ingestibile. In questa condizioni perderà un PF ogni round, ma riceverà sempre il minimo dei danni da ogni attacco. Cercherà in ogni modo di divorare i Pasticcini rimanenti, o qualunque altra fonte di calorie disponibile, dando la precedenza a dolcetti e dolciumi, per poi accanirsi nell’ordine su liquori, alcolici in generale, carboidrati, cose fritte, qualunque altra fonte di cibo normale, animali vivi (dandosi alla caccia o alla pesca) e nel caso estremo, anche brucando l’erba.

  2. Spietati Peperoncini del Quetzlzacatenango Coltivati e giungla primitiva e selvaggia sulle pendici di un vulcano attivo tra i sacrifici umani dei selvaggi, su un terreno di sepoltura sconsacrato e maledetto, dagli efferati evasi di un manicomio criminale satanisti e folli. Davvero, chi diavolo potrebbe avere l’idea di mangiare questa roba? In un posto normale li getterebbero tra le fiamme, o un malvagio potrebbe usarli come armi chimiche. Ma mangiarli? È una deliberata follia. Chiunque inghiotta uno di questi peperoncini crudi, o un cibo preparato con essi, deve immediatamente effettuare un TS contro il Veleno. In caso di fallimento le conseguenze possono essere devastanti: la perdita di gusto e olfatto per un periodo indeterminato è praticamente certa, così come l’incapacità di agire in maniera sensata per almeno 2d20 minuti. Gli effetti a medio termine sono altrettanto gravi: spasmi e bruciori daranno svantaggi a tutti i tiri per 2d6 giorni, non sarà possibile mangiare normalmente e andare di corpo diventerà una vera ordalia. Se invece il TS dovesse riuscire, significa che il corpo del fortunatissimo idiota è riuscito ad adattarsi al mostruoso potere capsicinico di queste bombe biochimiche. Raggiungere questo stato di Nirvana della piccantezza richiede 1d6 ore, durante le quali il mentecatto sarà in una condizione di quasi trance. Alla fine di questo periodo sarà possibile usare il potere dei peperoncini per contattare altri piani, comunicare con entità eteree, spiriti dei morti, divinità, numi tutelare, genii dei luoghi, altri consumatori di Quetzlzacatenango in giro per il mondo. Sarà anche possibile muoversi sul piano etereo in forma spirituale. Questi effetti durano al massimo 3d6 ore, ma una volta interrotta la trance non è possibile tornare indietro.

  3. Il Pane e il Vino dei Morti Impastando polvere di tomba e ossa sbriciolate con lieviti raccolti nelle paludi torbose, e cuocendo i pani al calore dei fuochi fatui o bruciando legno di bara, una strega capace o un negromante pazzo possono cucinare il Pane dei Morti. Chiunque mangi il Pane dei Morti potrà parlare con gli spiriti dei defunti e i non morti, e percepire la presenza dei fantasmi anche qualora fossero invisibili. L'effetto dura fintantoché il soggetto non mangia qualcosa di diverso dal Pane dei Morti o fino all'alba successiva. Il Pane dei Morti non dà nessun nutrimento fisico (è fatto di polvere e ossa dopo tutto). Ogni volta che qualcuno ingerisce un boccone di Pane dei Morti deve effettuare un tiro salvezza contro la morte, con un malus pari al numero di bocconi consecutivi che ha ingerito. Un fallimento getterà lo sventurato un un coma profondo difficilmente distinguibile dalla morte, che dura 5d20 ore. Il Vino dei Morti è ottenuto spremendo i frutti della vite ipogea usando una lapide come poggiatoio e lasciando fermentare il succo in una bara sepolta in una tomba senza nome. Chi ne beva deve effettuare un tiro salvezza contro il veleno. Se lo passa non consono effetti, slavo che per un umore tetro e meditabondo e in parlare da filosofo. Lo fallisce cade in preda all'estasi tombale: mentre è in questo stato di gioia macabra in non morti non lo attaccheranno, ma soprattutto sarà immune a tutti gli effetti di morte istantanea e a tutti gli incantesimi di negromanzia. L'effetto dura fino all'alba, ed è seguito da terribili postumi da sbronza che durano fino al tramonto, durante i quali l'avvinazzato sarà pervicacemente convinto che la morte e i non morti non esistano. Se si beve altro Vino dei Morti in questo periodo, il tiro salvezza ha uno svantaggio, cumulativo per ogni volta che questo eccesso è già avvenuto. Un fallimento critico nel tiro salvezza significa che si è sviluppata una dipendenza dal Vino.

  4. Miele della Disperazione Tutti sanno che le Api Giganti compiono un’opera di grande valore per le forze della Legge, difendendo le mura delle città e producendo il loro magico miele. Ciò che non tutti sanno è che esistono Api rinnegate che non raccolgono il nettare dai fiori medicamentosi, ma che fabbricano il loro miele con il percolato dolciastro dei corpi in putrefazione sui campi di battaglia abbandonati. Un antico accordo prevede che la parte solida dei corpi vada ai corvi, la parte liquida alle api e la parte metallica ai rugginofagi. Il miele prodotto è praticamente nero, estremamente vischioso, dolcissimo e con un odore pungente di carne morta. Se il miele delle api fedele all’Imperatore cura le ferite e le malattie, quello di queste api selvagge dona qualcosa di più potente della salute del corpo: la disperazione. Chiunque consumi un pasto condito con questo miele sperimenterà una forma di profonda tristezza, attonita e angosciante, che durerà qualche ora. Chi invece consumi un pasto composto totalmente da questo miele perderà ogni speranza per 1d12 ore. La totale perdita di speranza si traduce in un grave svantaggio in tutte le prove orientate a raggiungere uno scopo (intese come distinte da quelle che servono semplicemente a mettere in pratica un’abilità o una competenza). Il disperato fallirà tutti i ts contra la paura e tutte le prove di morale, ma non si darà lla fuga, preferendo la resa. In compenso una persona così profondamente priva di speranza è immune a praticamente ogni tentativo di influenza mentale, magico o no.

  5. Tartare di Troll Tutti sanno che i troll rigenerano. Se li tagli, la carne ricresce. Per questo alcuni cuochi goblyn particolarmente spericolati pensarono pensato di trucidare un troll, lavorare la sua carcassa e farne bistecche infinite nella loro taverna. Nacque così l’Osteria del Troll, locale esclusivo anche se per nulla raffinato a mezza giornata di quadrupede da Stelle al Tramonto. L’Osteria erviva solo piatti a base di carne di troll, di cui aveva una riserva infinita. La cottura ovviamente era delle più aggressive, e prevedeva fuoco e fiamme di una fornace da fabbro e colate di orribili acidi. Ogni settimana le fiamme, l’acido o la carne in continua rigenerazione facevano fuori una mezza dozzina di goblyn, ma questo era un piccolo prezzo da pagare: tutti i nobili più stravaganti e annoiati facevano la fila per avere un tavolo all’Osteria del Troll. Saltimbocca frittissimi, polpette al protoplasma nero, carpaccio marinato nel veleno e straccetti al vapore di veleno di ragno, simmenthal in cubo gelatinoso facevano da antipasto a sua maestà, la Gran Scottona di Sottofesa, la Bisteccona di Troll. Undici ore di cottura pressata tra due incudini arroventate al calor bianco, continuamente irrorata di vetriolo bollente. Una delicatezza. Siccome i goblyn sono goblyn, inserirono quasi per gioco nel menù un piatto che nessuno sarebbe stato così cretino da ordinare: tartare di carne di troll cruda, 666 monete d’oro al piatto. E siccome i goblyn sono gobly, fu un goblyn a ordinarla. Gnaro Gramasacca, ladrone e usuraio. Ciò che accade quel giorno è leggenda. Gnaro ovviamente riuscì nella pericolosa serie di Tiri Salvezza richiesti dalla Tartare. La carne inziò a rigenerarsi dentro di lui, e solo una costante produzione di acidi gastrici riuscì a contenerla, ma a sento, e Gnaro fu costretto in più occasioni a trangugiare diverse bottiglie di veleno. L’apparato digerente di Gnaro crebbe a dismisura, dovendo gestire un apporto costante e imponente di proteine animali, e ciò causò, tra gli altri spiacevoli effetti, gotta, flatulenze, defecazione molesta e ingrassamento smodato. In momenti di stress particolare Gnaro era famoso per vomitare grossi boli semidigeriti di carne molliccia che poi si rigeneravano completamente, trasformandosi occasionalmente in cuccioli di troll. Tra i vantaggi, almeno per Gnaro, ci fu l’immunità a quasi tutti i veleni, il non aver più bisogno di mangiare per nutrirsi, e una leggera forma di rigenerazione spontanea. Gnaro divenne un importante capo brigante nella Guerra Lenta, specialmente dopo aver sconfitto e costretto a unirsi a lui diverse bande di ogre cannibali. Alla fine di una lunga carriera era così grasso che doveva farsi tagliare i peli del naso da un inserviente, e poteva viaggiare solo su un carro trainato da due rinoceronti. Sconfitto nella Seconda Battaglia del Fiume Ansante, scomparve dai registri imperiali, anche se alcuni mistici ogre lo ritengono assunto tra i Santi della Grande Mascella. L’Osteria fu chiusa per problemi con l’ufficio di igiene. Tutti i cuochi goblyn che vi lavoravano sono stati impalati sulle sue rovine fumanti, ma non è dette che qualche infelice membro di quella razza non conservi la ricetta della Bistecca, o persino della Tartare.

  6. Uovo di Fenice alla Coque Si dice che il Principe Carogna prendesse una di queste uova delicate e rare come colazione ogni mattina, e che essa fosse di ristoro per il suo corpo disfatto. Trovare un Uovo di Fenice è un’impresa eroica, perché questi uccelli misteriosi nidificano solo sulle pendici delle barriere del mondo, o su isole remote nel cuore dei mari, o nei castelli abbandonati che galleggiano nel cielo. I loro nidi sono fatti di fiamme e braci, e depongono un solo uovo ogni centouno anni. L’uovo in se è piccolo, tondo e nero oppure violaceo. L’albume ha il colore del seme, il tuorlo, che è piccolo come il nocciolo di una ciliegia, quello del sangue. Il guscio non è fragile, anzi può essere alquanto spesso. La cottura dura esattamente diciassette minuti e quattro settimi dall’istante dell’ebollizione. Consumato crudo causa follia e autocombustione, troppo cotto è saporito ma privo di poteri. Consumato alla coque nell’esatto momento della morte però dona nuova vita a chi lo mangia, e anche una certa salute.