Tante parole bruttebrutte

Image

Buonasera amici dei Sacchi Rossi. È venerdì ed è il momento di godersi finalmente il fine settimana, dopo essere sopravvissuta a 5 giorni di lezioni un po' on line e un po' no, e soprattutto a come vanno chiamate tali lezioni sul registro elettronico, perché ormai ho imparato che scrivere “DAD” invece che “DDI” è un errore gravissimo. Imperdonabile. Dunque, stacco la spina e mi metto a cazzeggiare su facebook (pessima idea) ed ecco che mi scopro taggata in un post in cui amiche e colleghe plaudono entusiaste all'approvazione quasi unanime della Camera ad una proposta di legge che (cito dall'articolo da loro portato alla mia attenzione) “abilita all’utilizzo e alla valorizzazione delle competenze non cognitive in ambito didattico”. E qui già sulla terminologia avrei molto da dire, perché ci suggerisce parecchio su cosa ci si aspetta, in primis, dalle scuole, ovvero che adeguino il linguaggio già contorto dei loro POF, PTOF e sticazzof per inserirci frasi come “valorizzazionedellecompetenzenoncognitive”. Aiuto. Quindi niente, dai...prima del meritato blackout, il Sacco Rosso chiama! Non resisto alla tentazione di scrivere questo post, così alla fine, anziché piangere, magari mi faccio due risate. Scorro ancora l'articolo di cui sopra: “La proposta, presentata dall’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà” (Oddio, che è?) “prevede una sperimentazione strutturata e inclusiva che valorizzi delle sempre più rilevanti competenze extradisciplinari”. Ok. Lo diciamo da anni, dove sta la novità? Il problema è semmai che dal momento in cui si è cominciato a parlare di life skills nella scuola, nessuno ha mai investito, davvero, del tempo e delle risorse per capire in che modo possano essere insegnate, e magari provare pure a farlo. Invece il tempo che sarebbe servito a noi insegnanti per UNA E UNA SOLA COSA (l'unica necessaria: ovvero dedicarlo ai ragazzi) è stato investito nelle seguenti e reiterate attività (per anni, dal 2012 ad oggi): 1) Inutili collegi in cui si decantava l'importanza delle competenze europee (e il fatto che tra le competenze europee ci sia l'espressione “spirito di imprenditorialità” mi fa politicamente orrore). 2) Stesura di curricoli per precisare come e quanto quelle competenze vengano “perseguite dall'istituto” (e giù paroloni con cui le scuole si auto-incensano facendo a gara a chi trova le espressioni più colorite). 3) Creazione di terrificanti griglie di valutazione in cui si pretende di accertare, tra le varie cose, se l'alunno: – “Ha cura e rispetto di sé, come presupposto di un sano e corretto stile di vita”. Che significa? Che viene a scuola pulito? Che segue una dieta corretta? E se non si igienizza le mani ogni tre per due o vuole scofanarsi due tavolette di cioccolato al giorno gli diamo una valutazione negativa? – “Ha attenzione per le funzioni pubbliche alle quali partecipa nelle diverse forme in cui questo può avvenire”. Questo poi è un incoraggiamento allo stalking. Che ne sappiamo, noi, di cosa questo ragazzo fa al di fuori della scuola? Abbiamo diritto di chiederglielo? Magari il giovanotto in questione fa volontariato in una RSA o è donatore di midollo osseo, ma non è sua intenzione sbandierarlo davanti ad un docente. – “È disposto ad analizzare se stesso e a misurarsi con le novità e gli imprevisti”. E qui la presunzione del “valutatore” tocca l'apice. Non comment. ... Io non so cosa preveda in dettaglio questa nuova proposta di legge e come verrà attuata, ma il ministro Bianchi l'ha accolta con parole di questo calibro: “L’obiettivo di tutti noi è garantire l’effettivo e pieno sviluppo di ogni giovane. Questo provvedimento contribuisce a costruire una scuola che mira alla formazione di qualità, per tutti e per ciascuno, e allo stesso tempo è luogo di relazioni. In altre parole una scuola che educa cittadine e cittadini consapevoli delle proprie capacità e inclusiva”. E graziealcazzo. Alzi la mano chi vuole invece una scuola che non forma gli studenti e che spera che i ragazzi non stringano relazioni tra loro ed escludano i compagni svantaggiati!

Scherzi a parte, la prima cosa che ho pensato io è stata questa: nessuno desidera davvero insegnare ai ragazzi a sopportare lo stress, a conoscere le emozioni e a gestirle, ad avere, insomma, una qualità della vita migliore. Perché per fare questo dobbiamo per prima cosa averle noi, quelle capacità, e concederci il lusso di donarle a noi stessi, e poi agli altri. E questo costa, perché significa ridurre la pressione lavorativa sul cittadino, significa decostruire l'idea che “farsi il mazzo” sia una dote, comprendere che arrivare non è tutto, che non ci sono traguardi da raggiungere ma solo strade da percorrere, che la gioia nella vita sta nel poter fare quello che ci piace ed essere lasciati in pace a farlo, ed avere spazio per farlo, e che nessuno dovrebbe porsi come un obiettivo sano il “diventare imprenditore di se stesso”. Ma per insegnare ai ragazzi questo ci vuole tempo – tempo vero e di valore, tempo donato – e quel tempo non solo non ci verrà dato, anzi, ci verrà sottratto perché servirà a... fare corsi di formazione per realizzare le ennesime griglie da compilare, in cui ci sbatteremo per ore a scegliere frasi come: “l'alunno gestisce lo stress in modo autonomo / appropriato/ adeguato / non del tutto adeguato / se guidato dall'adulto”, magari con l'istituzione di commissioni in verticale che parleranno di fuffa fritta, attingendo al linguaggio dei tempi moderni, quello che il governo stesso vuole sentire...quel linguaggio pieno di espressioni come “cittadine e cittadini consapevoli” “formazione di qualità” “valorizzazione del merito” ed altre parole odiose come “mission e vision”, “imprenditorialità”, “nuove tecnologie”, “senso civico” ed “eccellenze”... ... Alla fine del teatrino, immagino già i dirigenti scolastici che si battono il cinque vantandosi di quanto i propri istituti siano “avanti” e di che bei documenti sanno scrivere... Mentre i ragazzi – quelli vivi, che stanno in classe ed hanno bisogno del nostro TEMPO, non dei nostri documenti – non se li cagherà nessuno.