I saluti istituzionali

A volte mi domando se le pubbliche amministrazioni frequentino corsi di formazione su come tritare i coglioni a coloro che si trovano costretti a presenziare agli “eventi istituzionali” (brrr...) che periodicamente organizzano. Dalla celebrazione di questa o quella giornata del *** (segue concetto paraculo a caso che solo il più cinico degli uomini potrebbe ignorare) all'evento sportivo o culturale, alla presentazione di un libro o all'inaugurazione di una strada, ogni volta che mi trovo incastrata in una di queste imbarazzanti situazioni il copione si ripete con una prevedibilità direi robotica. Al primo posto c'è l'immancabile e temutissimo momento dei “saluti” (istituzionali, ovviamente, che sennò suona meno figo), che spesso finisce per occupare molto più tempo del previsto (ma ogni speaker inizia con “sarò breve”) e in genere si riduce ad un elenco di personalità che probabilmente non sanno nemmeno cosa si sta celebrando, ma guai a dimenticarne una perchè si offenderebbero mortalmente. E così si comincia con “Ringraziamo l'amministrazione comunale per averci concesso di essere qui” (ovviamente lo fa per un atto di puro amore, e non perché gli conviene, proprio no!), “ringraziamo l'assessore Caio e il sindaco Sempronio” (come se permettere l'organizzazione di un evento pubblico non facesse parte dei compiti per cui sono stati eletti) “ringraziamo l'Associazione, e lo Sponsor, e il carretto dei gelati, e il tizio che passa per strada, e mio fratello, mio cugino, lo zio, il cognato, il cane ed il gatto...” La lista è spesso lunga, eh già. Tanto che quando finisce io di solito già dormo. Ma finché l'istituzionale mantra rimane un semplice elenco, ancora ancora posso dormire in pace: il guaio è quando al rosario di nomi e cognomi si aggiunge il lungo momento in cui Caio e Sempronio, appunto, iniziano a incensarsi a vicenda e a cantarsela e suonarsela da soli (parlando anche di cose vecchie di anni di cui spesso l'auditorio non è a conoscenza). A quel punto al posto del sonno subentra l'orticaria: se posso, mi alzo e me ne vado, ma in genere, ohimè, non posso. È piuttosto difficile, salvo non mi abbia colta un desiderio dirompente di autolesionismo, che io scelga in libertà di infliggermi questo tipo di martirio. Ma, ohimè, accade. Nella mia semplice esperienza come docente, di momenti così, nel corso di un anno scolastico, se ne affrontano parecchi... schivarli è un'arte avanzata che non tutti padroneggiano, specie quando il tuo dirigente ci tiene tantissimo ad essere nella lista dei “ringraziati” e quindi spinge te e i tuoi alunni a sciropparsi mattinate piene di parole vuote. E tu, quindi, oltre al tuo disagio personale, devi anche cercare di dare giustificazione di queste iniezioni letali di noia ad una scolaresca scalpitante che non comprende come gli adulti possano trovare tanto gusto a stringersi mani ed applaudirsi tra loro, ignorando completamente il pubblico a cui si rivolgono. Una volta mi è successo di presentare un libro: mi è stato raccomandato di non dimenticare di ringraziare per prima cosa il sindaco e l'assessore alla cultura. Che non erano lì, non avevano letto il libro e di certo non avevano dovuto lavorare per un evento che io stavo organizzando gratuitamente, per il solo gusto di fare una cosa carina per la cittadinanza e per l'autore del libro in questione. Dio, quanto odio la “visibilità”. Ci fa perdere anche il valore della parola “grazie”.