Una questione di tempo

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Ciao! Se capiti qui per la prima volta, questo è “Sacchi Rossi”, il blog dove Stella Filante si lamenta di burocrazia, scuola, capitale ed altre imbarazzanti amenità. È molto che non scrivo niente, e mi domando se questo sia dovuto al fatto che poche cose mi hanno indignato ultimamente o che non mi è stato lasciato il tempo di indignarmi. Quindi esattamente di questo ho voglia di parlare oggi: del tempo. Il tempo della protesta come quello della gioia. Il tempo di guardare cosa non va nel mondo ma molto di più il tempo di guardare quello che, invece, va, e che vorresti fermarti ad ammirare ogni tanto, che vorresti goderti davvero.

Il tempo è denaro, direbbe il vecchio Scrooge. Rispondo: magari. Oggi, il tempo di chi lavora non è più nemmeno denaro (se non altro, non il mio): il tempo è, a volte, visibilità (e pure quella non mia, non nostra, ma delle aziende per cui lavoriamo). Il tempo è, anche, soprattutto, auto-difesa dalla gigantesca macchina dei Sacchi Rossi. Dalla tirannide dei Sacchi Rossi.

Sono un'insegnante, la mia giornata lavorativa comincia con un appello. Appello che deve essere fatto con cura, non per avere chiaro chi c'è o chi non c'è, ma perché... guai a dimenticarsi di spuntare un'assenza sul registro elettronico! Se poi quell'alunno dovesse rompersi una gamba o due tra le otto e le otto e trenta, deve essere ben chiaro che lui non era a scuola e che la scuola non ha alcuna responsabilità! E poi, mi raccomando, i ritardi: non dimenticarsi mai, cari colleghi, di segnalare che un alunno che manca all'appello delle 8:00 è invece presente alle 8:10, perché se per un malaugurato caso i genitori lo vedessero assente alle 8:15 quando invece lo hanno depositato sotto la porta della scuola, chissà quali storie potrebbero farci! La prima ora se ne va poi a ritirare giustificazioni (e a respingerne la metà perché il genitore non ha inserito la fatidica dicitura “dichiaro che mio figlio non presenta sintomi di covid”): poi, se tutto va liscio, forse facciamo lezione, ma attenzione a che non capiti, durante un'interrogazione, di mettere un voto negativo senza aver elencato una per una praticamente ogni domanda fatta all'alunno, perché in caso di ricorso come si fa? Ora di buco: la fatidica ora dei “fonogrammi” (la scuola è una fucina inesauribile di termini desueti). Se un alunno manca spesso a scuola, o ha combinato un pasticcio inenarrabile...che si fa? Si telefona, come è giusto, alla famiglia: ma questo atto di doverosa premura deve essere registrato in carta bollata perché, ancora in caso di ricorso, si possa certificare di aver fatto il possibile e l'impossibile per il bene del ragazzo. Pomeriggi: sul registro arriva almeno una circolare al giorno (non esclusi i sabati e talvolta le domeniche) e poi vanno caricate le programmazioni, riempiti i PDP (documenti, questi ultim, su cui ci vorrebbe un post a parte), devi prenotare uno per uno (e inviare le mail) i colloqui con la famiglia che ormai si svolgono solo on line, rispondere a centomila proposte di progetti (a volte voluti, a volte – più volte – imposti in nome della “visibilità dell'istituto”), e, se hai avuto la cattiva idea di accettare un incarico aggiuntivo, occuparti di bullismo, di intercultura, di legalità, di educazione alla salute, di ambiente e via e via... E in tutto questo vortice di stimoli, magari riuscire pure a pensare qualcosa che davvero desideri insegnare. Inutile dilungarmi ancora, chi fa il mio mestiere sa come stanno le cose: ma non sono qui per fare l'apologia dell'insegnante bistrattato e sottopagato; al contrario: penso che sia così in quasi tutti i settori e che, col passare del tempo, le cose stiano andando (andranno) sempre peggio. Perché il tempo per la vita non è considerato prezioso. Perché consideriamo normale che i due terzi della nostra giornata siano dedicati al lavoro. Perché siamo abituati all'idea che “prima il dovere e poi il piacere”, che la fatica è nobilitante, che sia normale pronunciare una frase aberrante come questa: “Avrò tempo di farlo quando andrò in pensione...” Ma noi non sappiamo se ce l'avremo, una pensione, e non per il luogo comune del collasso dello stato sociale. Ognuno di noi potrebbe, letteralmente, non esserci domani (o svegliarsi sotto ad un cipresso, per dirlo con la spiritosa Romina Falcone), e tutto quel tempo che speriamo di risparmiare per noi facendoci il culo adesso, tutti i soldini che contiamo di mettere da parte per il viaggio dei nostri sogni sono invece l'investimento sicuro di chi, col nostro tempo, ci guadagna ora. Come quando ricarichi la scheda del telefono in anticipo, insomma.