Dipendente Supermercato

P.G. – Centro Italia

“Davvero pensi che dopo due mesi abbiano compreso che alle casse uno deve stare in cima e l'altro in fondo a imbustare e finché questo non ha finito non puoi avvicinarti?”

Boris

Che lavoro fai? Sono un addetto in un punto vendita di una catena di supermercati presente in tutta Italia: ricopro vari ruoli, quello che in gergo è detto il jolly ma che è frutto di un specifico percorso. Il mio punto vendita è in una grossa città del centro Italia.

Come posso identificare il tuo lavoro con due parole sole? (per il titolo del pezzo) “Dov'è il lievito?”. Sottotitolo: “E la farina? L'alcool? I guanti?”

lol. Non c'entra col tema dell'intervista, ma io sono uno di questi che chiede spesso. Ogni volta mi sento in imbarazzo. Ci odiate molto? No, abbiamo avuto profondissima pena nel vedervi umani, finalmente: paradossalmente ora vi odiamo di nuovo, perché non c'è più la comunanza. Noi ad aiutarvi, voi smarriti. Adesso siete tornati quelli di prima, che ci considerate al pari del carrello: un accessorio necessario. È finito il momento in cui vi abbiamo viste arruffate e con la ricrescita, avete comprato la tinta. Oppure avete ricominciato a comprare le cose che vi piacciono e non le necessarie. Avete smesso di dirci “grazie”.

Ma di già? siamo già in quella fase lì? Sì, già dalla settimana scorsa. La fase due è nella testa delle persone dal 4 di maggio.

Sì, in effetti anche qui da me è così. Anzi, già dal weekend precedente, sarà che era il 25 aprile ma iniziava già a respirarsi quell'aria da La guerra è finita. Esatto.

Torniamo indietro a metà febbraio. Quando la maggior parte dell'opinione pubblica era ancora ferma su “è un problema dei cinesi”. Lì da voi quand'è che le cose hanno smesso di essere normali? Qual è stato il primo segno tangibile? Per noi è iniziato tutto lunedì 24 febbraio, verso le dieci del mattino: vedevo questo muro di carrelli avanzare e girare all'improvviso verso gli scaffali, poi tornare e prendere indiscriminatamente qualunque cosa. A un certo punto, mi è stato detto di andare nella corsia degli alimentari confezionati – gli industriali, in gergo – e nello specifico la pasta e le farine. E il lievito in busta. Non facevo in tempo a tirar fuori la merce dalle scatole che me la strappavano di mano, qualunque tipo di pasta o farina fosse. A un certo punto avevo la gente ammassata addosso che si incazzava perché o non ero abbastanza veloce a rifornire oppure li intralciavo. Ho iniziato a fare la voce grossa e a fregarmene di aspettare i clienti, come si dovrebbe fare: li facevo spostare e se si avvicinavano li allontanavo. È stato l'unico modo per poter fare “il muro”, cioè dare una parvenza estetica di scaffali riforniti: è quando prendi due pacchetti di qualcosa credendo ce ne siano e invece dietro vedi il fondo del ripiano vuoto. Alla fine sono riuscito a contenere i danni e dopo 11 ore di lavoro sono riuscito a staccare. Mi tremavano le mani, mentre mi cambiavo: neanche l'11 settembre fu così, ed ero in cassa quel giorno.

Madonna. Ed è andata così per quanti giorni? Il giorno dopo e quelli successivi siamo riusciti a contenere i danni perché la merce arrivava. Erano i clienti che ne compravano troppa e perciò era un continuo riempi, riempi, riempi. Siamo andati avanti così per dieci giorni, poi la filiera ha ceduto ai vertici: erano le aziende a non riuscire più a produrre e perciò ha iniziato a finire la roba, il maledetto lievito in primis. Dopo una decina di giorni è iniziato il panico da misure di contenimento, quando i clienti hanno compreso che non volevamo si avvicinassero hanno dato di matto. Non comprendevano -e non comprendono a tutt'oggi- il concetto di spazio interpersonale: ti devono toccare, ti vengono addosso, invadono la tua sfera perché sei, appunto, un accessorio al pari del carrello. Pochissimi capiscono che siamo esseri umani e che non gradiamo le mani addosso per sapere dov'è lo yogurt crema di latte con poco zucchero una punta di muesli e una sventagliata di ribes.

Se posso: non è una questione di considerarvi accessori, questa cosa dell'invadere lo spazio personale altrui io l'ho sempre vista dappertutto. Sì, è ovvio, io parlo della mia realtà: è fattibile che io stesso faccia altrettanto in altri contesti, senza rendermene conto

Per esempio ricordo che già a marzo sono andato in tintoria a ritirare un giaccone che mi ero dimenticato lì, uno di quei negozi dove lo spazio per il cliente è minuscolo. C'ero già dentro io, ciò nonostante entra uno, mi si appiccica a un centimetro, inizia a sparare le sue cazzate “ma sono tutte scemenze queste del virus” e intanto mi dava i tocchetti sul braccio. Io quelli che ti danno i colpetti già mi davano fastidio prima, adesso proprio non li sopporto. Io ormai esplodo in “non mi tocchi”.

Fai bene. Il mio salumiere mi ha detto che l'altro giorno davanti al suo negozio due si sono menati proprio per questa cosa qui. Anche da noi sono quasi venuti alle mani, per un paio di settimane abbiamo avuto le forze dell'ordine quotidianamente. Clienti minutissimi che mai avresti detto che sembravano trasformarsi in Tiger Man.

Hahah. Sempre restando sull'assalto ai forni: l'accaparramento di carta igienica c'è stato anche da voi? O è più una cosa da estero? Nah, da noi si sono concentrati sullo scatolame, la pasta (le penne lisce sono andate, a proposito: non hanno degnato le fighetterie integrali, al farro, al riso, al salcazzo rivoltato), la farina e, indice della popolazione, sui pannoloni per anziani. Il nostro punto di vendita è in un quartiere di anziani con un punto di forza: dalla strada puoi vedere quanta coda c'è, al contrario dei grossi centri commerciali in periferia – e quindi tecnicamente in un altro comune, per cui non potevi andarci – e quindi ci hanno devastati fino all'altro giorno.

Prima hai detto una cosa che mi è risuonata molto: “nei giorni successivi la merce arrivava”. In effetti io ho evitato di andare a fare la spesa nei primissimi giorni post lockdown perché non volevo ritrovarmi in mezzo alla ressa, e di roba da mangiare in casa ne avevamo. Però intanto pensavo “chissà”, con un po' di ansietta. Il primo giorno che sono andato a fare la spesa il supermercato era pieno e questo devo dire che mi ha rasserenato tantissimo. Addirittura ho avuto l'impressione che ci fosse più roba del solito, che ogni singolo scaffale fosse pieno. Non so se me lo sono sognato perché temevo che fossero mezzi vuoti o se è proprio così e l'avete fatto apposta. Siamo stati bravi :)

Il problema serio si è avuto a metà marzo: si è interrotta la filiera, sono finite le scorte di confezioni in cui mettere la farina o la pasta. I trasportatori non avevano i dpi e hanno bloccato le consegne.

Ah, non lo sapevo. Per dpi intendi guanti e mascherine o roba più professionale? Guanti e mascherine. I camion da tre-quattro consegne hanno iniziato a farne una al giorno.

Parliamo un po' di soldi. I prezzi sono saliti o mediamente sono rimasti stabili? Stabili, anzi, pure ribassati. La gdo non può permettersi il rischio di passare per sciacalla.

Ma comunque gli incassi vanno bene, suppongo; state facendo affaroni? È un pensiero comune che “tutti” i supermercati abbiano fatto incassi mostruosi, ma è un pensiero profondamente sbagliato perché se il punto di vendita di quartiere medio grande, come il mio, ha fatto numeri degni di Natale (con la differenza che a Natale li fai con i vini e i cibi costosi, in questi due mesi li hai fatti con la pasta a 80 centesimi) invece l'ipermercato nel nulla era in perdita. Ti faccio un esempio: puoi andare nel supermercato più vicino e devi fare un carico da due carrelli. Non puoi raggiungere l'iper che è sì grandissimo ma è in un comune di 3.000 abitanti, in mezzo alla pianura ed è “proibito” alla città di 700.000 abitanti.

Sì, è vero, non ci avevo pensato. E anche quei tremila hanno più vicino la bottega sotto casa che l'iper nella landa desolata. Quindi code intorno all'isolato per noi, le balle di fieno del deserto al centro commerciale ipermegagalattico.

E invece il tuo trattamento economico? Avete avuto qualche forma di riconoscimento? Un premio di produzione, qualcosa del genere. Un premio di produzione in buoni acquisto e 10 euro sui 100 dello stato per coprirne le tasse.

I 100 dello stato cosa sono? Un premio specifico per voi? No, sono il bonus che lo stato ha dato a chiunque sia andato a lavorare sul posto di lavoro, per il mese di marzo.

Prima hai accennato alle code intorno all'isolato: qualche episodio da segnalare, o la gente le accetta più o meno di buon grado? Adesso le accetta, di malgrado. Non è assolutamente passato il concetto di una persona per nucleo. Non è stato accettato che gli operatori sanitari avessero la priorità. I disabili preferivano fare la coda anziché venir guardati male. Ho visto molta umanità tra di noi, un senso di comunità, di appartenenza ma per i clienti, nella stragrande maggioranza mi sento di dire: mi ricorderò di te, quando sarà finito tutto. Oh, se me ne ricorderò.

Brrr. Meno male che abito altrove. Guarda, sono pronto a scommettere che se tu facessi le stesse domande a un mio collega della tua città, ti direbbe le stesse cose: perché voi vedete la vita del super dall'altra parte del bancone per una, due ore. Noi vi vediamo tutti, per dieci ore al giorno. Vediamo gli sgambetti, le distanze annullate, le mascherine messe a fantasia dello chef. Vediamo l'istinto a superare in coda, prendere due degli ultimi pacchetti di qualcosa anche se te ne serve solo uno. Si chiama umanità: quando a fine marzo era chiaro che chiunque poteva essere sull'autostrada per l'ospedale, c'è stato un io per me e dio per tutti. Chi più, chi meno, ma c'è stato.

Sì, sì, è sicuramente così. Tornando alle mascherine: il dibattito pubblico su di esse come lo hai vissuto? Io a lungo non mi potevo capacitare dell'insistenza con cui, praticamente per tutto marzo, sui media molti, anche medici, continuassero a dire che non servivano. Io sono uno di quelli che nella prima settimana diceva “ma che cazzo, l'influenza ogni anno ne ammazza di più”. Lo ammetto e non me ne vergogno, perché non potevo sapere, non potevamo sapere. Per noi la distribuzione quotidiana delle mascherine è stato il farci precipitare nella consapevolezza anche perché per noi un banale raffreddore beccato dallo starnuto di uno di passaggio sarebbe significato chiusura del reparto e grossi guai a livello lavorativo e sociale per me e i miei colleghi. Quindi abbiamo accettato subito le mascherine e ci siamo incazzati come belve quando sono momentaneamente finite e ci hanno dato per qualche giorno lo “swiffer”, un pannetto con i buchi per le orecchie. Non riusciamo più a stare senza, ci sentiamo nudi e se vediamo le persone senza o con il naso scoperto ci infastidiamo profondamente, ci allontaniamo. Una cosa buffa: io, e molti miei colleghi, abbiamo stilato nei primi giorni una classifica sociale: quelli con la mascherina antipolvere da muratore erano nostri pari, faccio il possibile. Quelli che arrivavano con le mascherine con il filtro li odiavamo, perché era evidente che proteggevano solo se stessi e non anche gli altri. Ma la mia preferita è quella che a metà marzo, ero in cassa, è arrivata con la tuta da sci e il casco integrale da slalom gigante.

Hahah, ma la tuta perché? Cioè, il casco, boh, posso forse immaginare il processo mentale che ha portato a quella decisione. Ma la tuta? Ah, boh, probabilmente perché in quei giorni c'era ancora l'ipotesi di trasmissione via pelle. Lei resterà sempre nei nostri cuori, è tornata l'altro giorno grazie al cielo senza tuta, viste le temperature. È tornata ovviamente col casco. E la mascherina.

Età? Sarà stata sui quaranta: come direbbe mia moglie, giovane ;) Abbiamo amato molto anche quello con la maschera a doppio filtro. Mentre ci fanno un po' impressione quelli con le maschere in latex, paiono tutti degli Hannibal Lecter.

Maschera doppio filtro cosa sarebbe? Quelle da lavori chimici, tipo seconda guerra mondiale, con due filtri tondi cambiabili. Una cosa impressionante. E non è stato l'unico, probabilmente chi lavora nel chimico o nel tessile ha usato quel che aveva.

Ma adesso per entrare la mascherina è obbligatoria, no? A spanne secondo te in che percentuale la indossano correttamente? Un settanta percento. Del restante trenta, il venti la indossa sul mento, il dieci se la toglie appena varcata la soglia. A quel punto scatta la gogna e diciamo loro di indossarla correttamente, perché se dopo due mesi e mezzo non hai ancora compreso il concetto di mascherina hai dei gravi problemi cognitivi di cui non voglio farmi carico io. Stamattina, per farti un esempio, ho chiesto a un cliente di rispettare la distanza dal bancone – se io mi sporgo per prendere quello che mi chiedi, automaticamente mi avvicino e quindi tu devi rispettare la segnaletica per permettermi di muovermi verso di te. Ha iniziato a sbraitare che lui non ha la peste: gli ho risposto di indossare la mascherina, di rispettare la segnaletica e che sì, per quel che ne so ha la peste e non ho nessuna intenzione di portare alcunché a casa per la sua libertà nasale.

Ma non ci sono segnaletiche per terra, che indicano le distanze da tenere? Certo che ci sono. Ma davvero pensi che le leggano? Davvero pensi che dopo due mesi abbiano compreso che alle casse uno deve stare in cima e l'altro in fondo a imbustare e finché questo non ha finito non puoi avvicinarti? Credi davvero che li fermi una barriera di plexiglass dallo stendersi sul nastro per darti la carta fedeltà?

Dato che ricopri vari ruoli, ci sarà sicuramente un ruolo che preferisci e uno che ti piace meno. La graduatoria è cambiata, in questo periodo? Intendo: magari una cosa che prima pensavi “che palle, oggi mi tocca fare questo” è un lavoro poco a contatto con il pubblico e quindi oggi lo preferisci. Prima mi piaceva molto stare in cassa perché “ti riposi”. Adesso mi viene il panico, perché è l'imbuto di tutto e arriva gente stressatissima – giustamente: ti fai la coda per entrare, devi farti una spesa abnorme, vieni scansato tipo appestato, magari non trovi cosa ti serve, devi fare la spesa per te, zia, mamma, suocera e dirimpettaia, spendi un macello di soldi non preventivati, fai la coda per la cassa, i guanti che ormai sono a brandelli e in più alla fine ti ritrovi uno che ti dice di evitare di imbustare alla cassa perché si forma la coda. C'è da dare di matto anche per i più calmi – e prima o poi durante il turno sbrocchi. Preferisco il mio bel banco servito, consigliare ricette e soprattutto aspettare con ansia che quel vecchietto o quell'altro tornino. Gente che non vediamo da due mesi, magari un po' acciaccati: non conosciamo i loro figli e perciò non sappiamo se facciano loro la spesa. Ma ogni giorno che passa e non vediamo alcune persone ci si stringe il cuore. Ci mancano i bambini che arraffano le merendine o i ragazzini che hanno fatto a scuola lezione di biologia e vanno a vedere i pesci in pescheria. Ci mancano le coppiette che si pregustano la cenetta romantica o le famiglie che progettano la grigliata della domenica. Ci manca la normalità e, almeno io, quando abbiamo assaggi di questa normalità abbiamo crisi di panico perché alla fin fine tutto questo per noi è stato un bozzolo protettivo. Casa, reparto, i dpi, i colleghi del turno blindato con cui ormai hai una routine consolidata. Già sbloccare i turni e quindi tornare a mescolarci – prima era una settimana sempre mattino, la seguente sempre pomeriggio, no cambi turno, il rifornimento solo notturno – ci ha destabilizzati, ha incrinato le squadre.

Quindi erano state formate delle specie di squadre fisse? Questo al fine di contenere eventuali contagi? Sì, di modo che se uno fosse risultato positivo si potesse circoscrivere il gruppo da mettere in quarantena e avere un ricambio per coprire il turno con l'altro.

E ci sono stati casi di persone risultate positive? In effetti non ti ho chiesto come stai. Nessuno, da noi. Io sto bene: misuro la febbre mattina e sera e ho colto l'occasione per comprarmi un fitbit con il saturimetro. C'è stato un po' di panico quando qualche collega s'è beccato il raffreddore – perché oh, succede – ma più che pensare a noi stessi eravamo preoccupati per lui, si è subito attivata la rete di fargli la spesa, farci sentire vicini. Sono dimagrito in maniera sana, sono più bello che pria. E la mascherina mi dà quell'alone di sintomatico mistero mentre brandisco la pistola per fare gli ordini della merce.

E senti, oltre alla preoccupazione per la tua salute, immagino ci sarà stata anche quella per i familiari, no? Tutto sommato, tolti i lavori nella sanità, il tuo credo sia stato uno dei più esposti in questo periodo. Dovrei chiederlo alla tua consorte, ma lo chiedo a te: com'è stato, convivere con una persona che tutti i giorni usciva e passava dieci ore in un supermercato? È la mia roccia: ha sempre cercato di farmi raccontare gli episodi buffi e soprattutto ha sempre rispettato i miei dieci minuti di decompressione. Quando arrivo a casa entro in bagno, mi spoglio, mi lavo, mi rivesto e solo allora entro “in casa” e la saluto. E lei aspetta che smetta il vocio nelle orecchie, le persone viste. Spegne il televisore, mi accende una sigaretta e se ne fuma una con me, in silenzio, aspettando che io riprenda fiato. Non sono stanco fisicamente, sono stanco di testa, di orecchie, di pensieri, di portare a casa qualcosa che le faccia del male. Ha saputo aspettare, senza offendersi se passavo parecchio tempo su whatsapp o telegram a parlare della giornata coi colleghi perché ha compreso che per me lì è stata, ed è, il quotidiano e avevo bisogno di sapere che l'indomani ci sarebbe stato il collega a sostenermi o ad avere aiuto. Lei poi mi aggiorna su cosa succede durante il giorno, mi scova stupidaggini nerd con cui ridere. Aspetta che mi passi l'ansia quando usciamo per una passeggiata e mi vede che scalpito per tornare in casa, al sicuro. Mi segue per strada quando vede che faccio diagonali improponibili per evitare di incrociare gente sul marciapiede. Alla fin fine chi si è dovuta fare carico di tutto è lei, non io, perché ha dovuto sopportare ansie, scatti di nervosismo, mutismo, isolamento. Provo un senso di fuga persino a vedere gli amici nelle video call, non ce la faccio, voglio restare solo e respirare.

Capisco. Ancora poche domande e ti lascio stare. All'inizio hai detto che ormai siete abbondantemente in fase 2. Un po' di cambiamenti me li hai già detti, c'è qualcos'altro che è cambiato che ancora non mi hai detto? Per esempio: c'è stato un aumento dei pagamenti contactless? C'è un prodotto che continua ad andare a ruba o a mancare? Sì, decisamente è aumentato il pagamento elettronico ma per una ragione, secondo me, non di igiene ma di disponibilità: la cc la saldi il mese seguente. Abbiamo visto spese davvero imponenti e francamente insostenibili, roba da trecento e passa euro più e più volte al giorno. Spese che aspetti davvero lo stipendio. Continua a mancare l'alcool, perché è usato per produrre i sanificanti. Il cambiamento maggiore è stato nel vedere quanto le persone adorino farsi i fatti altrui, vedere cosa comprano e fare paragoni: “eh, ha speso soltanto venti euro! Vergogna!” Senza pensare che magari quella persona ha esclusivamente venti euro sul conto. Oppure la caccia al vecchietto che viene tutti i giorni: mi chiedo sempre se possano immaginare avere settanta, ottanta anni e restare chiuso in casa tutto il giorno in attesa del citofono delle onlus che ti portano la spesa. Questa corsa al “sono vecchi”: saremo anche noi vecchi, un giorno e c'è da sperare di avere figli o nipoti che ci facciano la telefonata oppure la spesa pesante perché più di tot non riusciamo a trasportare. Per me vederli quasi tutti i giorni è stato invece “meno male, sta bene”.

Sì, infatti. Io i primissimi giorni quando mia madre mi ha detto che usciva per andare a fare la spesa ci sono rimasto male e continuavo a insistere “ma guarda che c'è il servizio del comune” o “te la posso fare io con l'app”, però poi pensandoci ho capito che per lei era un momento fondamentale. Questa cosa del “ma è necessario uscire tutti i giorni”: sì, certo che lo è, non sono tutti iperconnessi, non sono tutti smart e wifi e whatsapp e zoom. Sono persone con una vita sociale fatta di parole e incontri a vista e non via internet. C'è stata questa corsa all'ergersi censori e istitutori di come vivere: ma fatti i cazzi tuoi, preferisci il vecchietto impazzito che finisce in casa di riposo oppure la passeggiata a comprare il pane fresco?

Concordo al 100% Ecco, per me il cambiamento è stato questo: vivi e lascia vivere, più di prima. Non sai come, cosa, quanto uno viva. Pensa al tuo, fai il tuo. E aiuta: se il vecchietto non ce la fa a portare la spesa, caricatela in macchina e portagliela sotto casa: fai, invece di giudicare. Che le onlus hanno da pensare agli allettati, non al vecchino che a me dà due giri di pista in termini di sgambate.

C'è un cambiamento che speri di tenere da tutta questa vicenda, anche una volta che sarà passato tutto? Spero che tutto ciò ci insegni a imparare le basi delle regole igieniche: summer is coming and ascella pezzata too. Spero che tutto ciò abbia instillato nelle persone il concetto di empatia, di accorgersi dell'altro oltre il sé. Spero che tutto ciò porti a una riformulazione degli acquisti, ad aver imparato il concetto di non sprecare, di aver capito il costo del cibo e del superfluo; che lo sfizio gastronomico non deve essere la fuffa industriale con un packaging accattivante, che puoi mangiare anche senza farti mangiare, che se tu puoi mangiare c'è una grossa possibilità che il tuo vicino di casa non possa e quindi per rispetto verso lui e chiunque altro: non sprecare, non buttare, compra quello che ti serve davvero, usali quei libri di cucina che pigliano polvere sullo scaffale. E se fai lasagne in più, o una torta gigante, una porzione offrila anche al tuo vicino, senza aspettarti in cambio qualcosa. Fallo per te stesso.


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