Genetista

“La sanità va ripensata e ristrutturata, dagli spazi ambulatoriali al riportare in auge la medicina territoriale o a ridare un ruolo importante ai medici di medicina generale, che solo chi vive su Marte può pensare che non abbiano tutt'ora un ruolo fondamentale.”

DNA (Image by Arek Socha from Pixabay)

Che lavoro fai? Sono un ricercatore universitario e inoltre svolgo attività assistenziale ambulatoriale.

Attività assistenziale ambulatoriale significa Medico? (per noi umani) Sì, sono medico, specializzato in genetica medica.

Quindi chi è il paziente che viene da te? Ci sono macrocategorie nella genetica medica: prenatale e postnatale. Inoltre puoi distinguere la genetica pediatrica e quella dell'adulto. La genetica medica “classica” si occupa per esempio di diagnosi prenatale o sindromi complesse (per esempi quadri clinici con malformazioni, difetti dello sviluppo corporeo o intellettivo, etc), io invece mi occupo di un settore più piccolo ma ormai in espansione da anni che è la genetica oncologica. Vedo cioè persone che potrebbero avere una cosiddetta suscettibilità allo sviluppo di neoplasie, cioè un rischio più alto rispetto alla popolazione generale, su base genetica, di sviluppare neoplasie di vario tipo. Spesso si tratta di neoplasie a insorgenza giovanile, multiple o con associato un rischio per neoplasie collegate, per cui è importante identificare in tempi utili questo particolare tipo di condizione per favorire diagnosi precoci, sorveglianze personalizzate e l’identificazione di altri parenti a rischio.

E questo è un settore piccolo? Avrei pensato che tutto ciò che contiene il termine “oncologia” fosse preponderante rispetto ad altri settori della medicina. L'oncologia purtroppo sì, ma in Italia sono pochi i genetisti che si occupano di questo tipo di rischi nonostante sia un campo in espansione soprattutto dopo il caso Jolie. Inoltre tieni presente che i primi geni associati a questo tipo di predisposizione sono stati identificati a metà degli anni ’90 e che i tumori ereditari propriamente detti rappresentano circa il 5-10% dei casi. C'è una forte carenza di consulenti genetisti in questo campo che oltretutto ormai non riguarda solo la suscettibilità ma anche l'interpretazione di dati genetici che caratterizzano i tumori e che sono sfruttabili per le moderne terapie mirate. In generale, tuttavia, c'è una carenza enorme di genetisti medici. Nel campo della genetica medica classica il problema è anche più marcato.

Per “caso Jolie” intendi lei che si fa asportare i seni per prevenzione? È successo che all'improvviso un numero altissimo di persone ha scoperto la predisposizione ai tumori, un tema in realtà molto noto e diffuso nel mondo anglosassone anche per ragioni commerciali. Inoltre ha colpito molto il fatto della chirurgia profilattica, nonostante pure in Europa sia attuata già da anni per sindromi genetiche analoghe, per esempio sindromi genetiche caratterizzate da poliposi diffusa del colon che purtroppo possono portarti a essere sottoposto a colectomia profilattica, un intervento che non è di certo meno demolitivo di una mastectomia o di una ovariectomia, anche se queste due hanno un forte impatto psicologico, estetico o funzionale. In Europa l'approccio è tendenzialmente meno invasivo e aggressivo, almeno per quanto riguarda la mastectomia (si preferisce se possibile una sorveglianza tramite esami di imaging, anche se comunque è un'opzione, mentre l'ovariectomia è consigliata in quanto la sorveglianza per il rischio di neoplasie ovariche ha un'efficienza limitata). Quello che moltissime persone non hanno compreso, almeno subito, è la differenza fra rischio della popolazione generale per una certa neoplasia e alto rischio su base genetica: nella maggior parte dei casi la differenza è notevole e assolutamente non paragonabile. Nessuno si sottopone a interventi chirurgici per diletto, ma ci sono ragioni scientifiche, legate al rischio, legate anche al proprio benessere psicologico e al vissuto personale e familiare. Non sono decisioni facili. Per cui le critiche verso Angelina Jolie sono irrazionali e poco empatiche.

Ah, poco empatiche di sicuro. Io non ne so niente e dunque mi astengo, ma è chiaro che chi criticava in genere non aveva la minima idea né di cosa stava parlando né ha neanche vagamente provato a immaginarsi di mettersi nei sui panni. Non che sia l'unico caso in cui è successo. Angelina Jolie, come moltissime donne nella sua situazione, hanno visto le loro famiglie devastate da questo tipo di predisposizione. Magari loro stesse hanno già sviluppato uno dei tumori associati a questo tipo di sindrome. Sono rimasto particolarmente stupito e deluso dalla mancata capacità di ascoltarla e comprenderla, tra l'altro mettendosi sullo stesso piano. Il concetto di rischio non è così facilmente comprensibile per tutti. Molti hanno una visione del mondo bianco/nero, poco sfumata e con sé stessi al centro. Uno dei compiti di un consulente è spiegare il concetto di rischio: alto, basso, intermedio. È un concetto ansiogeno perché le persone, comprensibilmente, sia in positivo sia in negativo hanno bisogno di certezze solide. Ma in certi campi le sicurezze sono fallaci. Ti aggiungo anche questo dettaglio: nel campo della genetica il rischio personale è spesso anche familiare. Per cui il mio rischio diventa anche quello per la mia famiglia. Psicologicamente è un peso da non sottovalutare per cui non giudicherei decisioni anche drastiche prese da persone con rischi simili. Hanno dovuto fare valutazioni che non riguardano solo loro ma anche i parenti vicini, dai genitori fino ai figli passando per i fratelli.

Sì sì, immagino. Non c'entra col tema che mi ero prefisso, ma ancora una domanda ché sono curioso: che ne pensi dei siti che fanno test genetici su richiesta del singolo? Intendo quelli che dicono di farti il profilo genetico, per dirti chi sono i tuoi antenati e forse anche darti qualche generica indicazione di rischio. Personalmente sono se non contrario estremamente critico. 1) Vorrei garanzie sulla qualità tecnica dei test offerti. 2) Finalità dei test. Se sono a scopo quasi ludico (chissà se ho delle varianti genetiche scandinave anche se sono originario del Madagascar) o di curiosità verso sé stessi non vedo particolari problemi, ma mi porrei il problema della gestione dei dati genetici in termini di privacy. 3) Se le finalità sono cliniche sono nettamente contrario. Se il test scopre che ho un rischio per una malattia? È curabile e prevenibile? E se non lo è? E quanto è il rischio? Del 2% o dell'80%? Chi mi supporta nel comprendere il dato ed eventualmente tranquillizzarmi o propormi una sorveglianza clinica? E quante persone pensano sia un gioco e poi scoprono dati che potrebbero preoccuparli e che hanno un impatto anche sulla famiglia? Sono test che maneggerei con cautela e con il supporto di un esperto, prima e dopo.

Sì, concordo. Oppure pensa se emerge che hai un rischio per tumori, ti sottoponi a chirurgia profilattica e poi scopri, com'è successo, che il risultato del test che hai acquistato online era sbagliato. Si tratta di test che indagano i tuoi dati più privati anche da un punto di vista cellulare. Se non sono esperto, chiederei sempre il consiglio di un esperto. Non è come chiedere il responso a una cartomante. Credo che il punto dirimente sia intanto la finalità: che cosa vuoi sapere da questi dati. Se ci sono in ballo implicazioni cliniche, e potrebbero esserci comunque a priori, tieni a portata il riferimento di un esperto che ti aiuti a interpretare i risultati, prima di sottovalutarli o sopravvalutarli.

Sì sì. Sul punto 2, tra l'altro, non so se avevi seguito il caso di un sito, in America, che aveva fornito i dati a un investigatore privato che era riuscito a ritrovare il nonno di una ragazza che era stata rapita da bambina e non sapeva più qual era la sua vera identità. E poi da lì hanno capito che era una tecnica che funziona e l'hanno usato anche per beccare dei criminali, tipo il Golden State killer. Leggevo che negli USA ormai c'è così tanta gente che ha usato questi servizi che pure se tu non li hai mai usati c'è almeno un tuo parente prossimo che invece sì e quindi in qualche modo una parte del tuo DNA è a disposizione di tutte le agenzie di law enforcement americano. Diversi paesi hanno una gestione definiamola diffusa di dati genetici della popolazione. In Italia la legislazione è sempre stata rigida, da tanti anni, grazie al Garante per la privacy.

Meno male Se non ricordo male, Google ha offerto i suoi servizi cloud ai dipendenti per depositare i loro dati. Tu daresti al tuo datore di lavoro o a Google in generale i tuoi dati genetici che, ripeto, non sono solo tuoi ma possono riguardare anche i tuoi parenti?

Ma figurati. Io non li darei nemmeno a me stesso, proprio per quello che hai scritto prima. “Se il test scopre che ho un rischio per una malattia? È curabile e prevenibile? E se non lo è?” Diciamo che a causa dei test diretti al consumatore ho visto persone dare con troppa disinvoltura in giro campioni del proprio DNA. Inoltre alcuni test offrono risultati discutibili.

Ma anche in Italia? Sì, anche in Italia esistono ma magari per questioni dietologiche o metaboliche. E anche in quel caso deve essere prevista una consulenza perché spesso vengono analizzate varianti a scarso impatto e che sono solo sfumature la cui rilevanza andrebbe discussa. E comunque anche dall'Italia si possono ormai acquistare pacchetti di analisi genetiche estese! Non più solo qualche gene, ma intere parti del genoma o tutto il genoma al completo. A cifre anche piuttosto accessibili. A Natale fanno pure gli sconti. Poi a casa ti viene spedito un report con l'interpretazione e tu ti siedi, lo leggi e magari inizi a vedere qualche inquietante bollino rosso. Io lo aprirei solo in presenza di un esperto.

brrr. Mi sembrano scenari da episodio di Black Mirror. Consiglio solo maggior consapevolezza.

Veniamo alla pandemia. Data la tua specializzazione presumo tu non sia stato uno dei medici più direttamente coinvolti, ma presumo anche che “medico” (di qualunque genere) e “non coinvolto” sia impossibile. Hanno coinvolto medici con specialità specifiche o equipollenti. Potrebbe anche essere discutibile. Evidentemente hanno voluto garantire la miglior professionalità e preservare parte del comparto medico. Certo, ci si potrebbe chiedere allora perché coinvolgere neolaureati o specializzandi, con sicuramente meno esperienza, ma immagino e spero li abbiano coinvolti soprattutto in mansioni non ad alto rischio, per loro e per i pazienti. L'impatto per molti specialisti è stato sulle attività ambulatoriali, un impatto che non è secondario. Tutte le patologie non-COVID sono passate in secondo piano per diversi motivi, compreso il fatto che molti non si sono recati in ospedale per timore. Il risultato soprattutto in campo cardiologico è stato terribile e la ripresa delle attività ambulatoriali a pieno regime è ancora lontana. Ma non c'è solo il COVID. Purtroppo l'assenza di strutture separate o un insufficiente numero di specialisti sono stati due fattori che hanno collaborato a generare questo problema secondario rispetto a una pandemia ma non secondario in termini generali. Penso a terapie, interventi e controlli rimandati. Come docente l'impatto è stato sullo svolgimento degli esami e delle lezioni o della parte amministrativa.

Le lezioni sono sospese? In effetti dal punto di vista delle conseguenze sull'insegnamento, si parla moltissimo di scuole dall'infanzia al liceo, ma sull'università non si legge molto. Forse perché in università, ma posso parlare solo per la mia esperienza, ci si è mossi tempestivamente e con semplici strumenti a portata di tutti non è stato interrotto nulla, al massimo posticipato, almeno a livello di corsi universitari (ho letto lamentele per i corsi di specializzazione, ma immagino che la situazione sia molto variegata). Gli amministrativi sono in una condizione di lavoro agile (li trovi collegati pure di sera), le lezioni sono proseguite, gli esami scritti sono stati trasformati in orali telematici, ma sempre sulla base della mia esperienza il risultato, almeno per gli esami, è stato molto impegnativo come tempo visto l'alto numero d'iscritti ma soddisfacente come risultati. Anche se sarebbe interessante analizzare anche il punto di vista degli studenti. Ho le mie perplessità sull'efficacia delle lezioni online. Intendo le lezioni in un modo più interattivo e coinvolgente, ma si può ottenere lo stesso risultato anche tramite piattaforme di videoconferenza. Basta adattarsi, lo considero doveroso, anche per rispetto verso gli studenti. Non è facile neanche per loro.

Capito. Torniamo alla parte medica. Dicevi “Il risultato soprattutto in campo cardiologico è stato terribile”. Cioè? Puoi citare qualche dato? Ti metto qualche link: -Coronavirus, lo studio dei cardiologi: “A marzo è triplicata la mortalità per infarto tra ritardi, mancanza di cure e paura del contagio”. -Allarme cardiologi: “Ora rischiamo più morti per infarto che di Covid”. -Coronavirus. Allarme cardiologi interventisti: “Si continua a morire di infarto, ma sui ricoveri vince la paura del contagio”

Eh sì. Infatti guardando i dati dell'Istat sulla mortalità complessiva vengono fuori dei numeri allucinanti, per certe regioni. Ma invece sulla tua attività ambulatoriale c'è stata qualche conseguenza? La conseguenza che è tutte le attività considerate differibili sono state bloccate. Ora ci stiamo organizzando per riprendere con tutti i limiti di tempo e spazio che dovremo soddisfare, con riduzione dell'attività. Siccome gran parte del mio lavoro consiste nello spiegare, credo sia finalmente giunto il momento perché anche in Italia si diffonda la cosiddetta teleconsulenza, una realtà diffusa in tutto il mondo con grande soddisfazione per i pazienti e che soprattutto in questo periodo offre non pochi risvolti positivi. Molti hanno posizioni titubanti legate a piattaforme e privacy, al limite della superstizione. Teleconsulenza può anche significare una telefonata o una videochiamata da smartphone.

Interessante. In effetti quando si parla di cambiamenti portati dalle tecnologie in campo medico i media si concentrano sempre sulle cose più spettacolari, tipo il chirurgo che ti opera da remoto o cose del genere, ma migliorie più di tipo “organizzativo” sarebbero ancora più utili e un po' più alla nostra portata, no? Abbiamo tutti i mezzi per comunicare a distanza, ovunque e da ovunque. Ci sono sicuramente problematiche tecniche in alcune aree, non le sottovaluterei, ma le potenzialità ci sono. Eviteremmo di far muovere i pazienti se non quando necessario (per esempio per un prelievo di sangue) e potremmo raggiungere persone distanti o con difficoltà, fisiche o economiche, a muoversi. Sembra semplice ma ci sono diverse resistenze, burocratiche o culturali. Credo sia questione di abituarsi e scoprire che non si tratta di compromessi, anzi, ci sono maggior sicurezza e comodità. Certo, si rinuncia forse a qualcosa in termini di contatto umano ma il contatto umano, la vicinanza fisica, sono esattamente quello che in questo periodo va limitato. Ci sono rinunce peggiori, non è benaltrismo, ma ne faccio una questione di pragmaticità e maturità.

Vista dal lato paziente ti dirò che la comunicazione è sempre stato il difetto principale che ho riscontrato nel mio rapporto con il sistema sanitario. Livello cure mediche: ottimo; organizzazione: migliorabile ma accettabile; comunicazione: 4+, di stima. Il problema per molti specialisti è il tempo e non è sempre colpa loro. Non è accettabile che uno specialista debba visitare 50 persone in un pomeriggio da solo, anche se si tratta solo di visite di routine per controllo. Nel mio campo la comunicazione è il pilastro per cui una consulenza genetica dura dai 30 ai 90 minuti, nel caso di visite complesse. Dobbiamo discutere di concetti e dati poco noti o ansiogeni, magari di patologie rare, esaminare accuratamente la documentazione o la storia familiare, visitare il paziente, fare dei ragionamenti insieme, rispondere a dubbi e preoccupazioni. È impensabile che una consulenza genetica duri di meno, se non per altro perché la burocrazia è soverchiante e riduce ulteriormente il tempo disponibile per il paziente. Eppure molti ripetono che il tempo di visita è tempo di cura. Mi chiedo se sia tempo di cura il tempo dedicato alla burocrazia. Tieni poi presente che nessuno ti fa corsi di comunicazione anche con forte componente psicologica. Molto dipende da esperienza e sensibilità del professionista, in termini di modi, proprietà di linguaggio, capacità divulgative, empatia, pazienza.

Ecco, sì, mi chiedevo appunto se parte della formazione di un medico prevedesse aspetti di comunicazione. Per quelli di una certa età non avevo dubbi che la risposta fosse no, ma a quanto pare continua a essere così anche adesso? I professionisti responsabili comunque cercano di seguire qualche corso o partecipano a iniziative collegiali per discutere di certi aspetti fra professionisti dello stesso campo, per condividere l'esperienza, le problematiche di comunicazione o persino bioetiche.

Prima dicevi “Hanno coinvolto medici con specialità specifiche o equipollenti.” All'atto pratico come è andata? Cioè, chi non era un medico di una specialità direttamente coinvolta è stato “cooptato” e dirottato d'ufficio a occuparsi di malati covid, oppure è stata una cosa lasciata più al volontariato? (domanda dalla quale si evince che non ho idea di come sia organizzato il lavoro in un ospedale) Possiamo metterla così: hanno convertito alcuni reparti e operatori in reparti e operatori COVID.

La gestione dei dpi in dotazione a medici e infermieri come è andata? La situazione, superato il primo impatto, è stata normalizzata, ma è noto, basta leggere i comunicati sindacali, che ci siano state alcune difficoltà. I comunicati ANAAO sono pubblici. Qui trovi alcuni loro comunicati e diffide alle aziende.

Della nave ospedale che ne pensi? Sinceramente sono d'accordo nell'utilizzare strutture separate, ospedali dismessi o comunque luoghi separati per non creare commistioni pericolose. Credo resti il problema della mancanza di professionisti, ma è una prospettiva che condivido. Strutture COVID e non-COVID. Non sono sicuro che si sia sempre possibile o che si decida di andare in quella direzione, ma è sensata.

In effetti la nave era sembrata una bella idea anche a me. Però leggevo anche che alcuni operatori sanitari di Pietra Ligure proponevano di utilizzare un padiglione dismesso del Santa Corona, magari era più economico intervenire su strutture del genere? Non lo so. Magari mi è sfuggito qualcosa, ma resto al concetto: strutture dedicate e separate? Perché no. Si riduce anche il rischio di focolai intraospedalieri, che è un problema che in Italia si è visto.

Si si, ma infatti era uno dei principali consigli dei cinesi, che nel complesso mi pare che non abbiamo ascoltato. Sono valutazioni che avranno fatto, di tipo economico e anche temporale. C'era e c'è un'emergenza in corso. Se persino burocraticamente era più veloce allestire la nave non ho obiezioni. La burocrazia è l'altro incubo che ci stiamo portando dietro. Non dobbiamo imitare in tutto i cinesi, ma se ci sono principi validi applicati da aree che purtroppo hanno già affrontato gravi epidemie, non vedo perché non traslare certi principi nella nostra realtà, con i nostri modi, regole e principi.

Quindi la nave la mettiamo nella colonna delle cose positive. Qualche altra cosa positiva che è stata fatta, che è emersa in questo periodo? L'impegno e la dedizione caparbia dei miei colleghi.

Senza dubbio. L'impegno è stato riconosciuto anche economicamente? Che io sappia ancora no, anche se ne sta discutendo. Credo che oltre a un riconoscimento economico dovrebbero pensare a maggiore turn-over, riposo, ferie, supporto psicologico se necessario. Leggo oggi che non sembra questa la direzione intrapresa.

C'è un'indennità di rischio per chi lavora nelle malattie infettive? Ci sono indennità differenti a seconda dei rischi professionali.

A parte le problematiche relative alla gestione corrente della pandemia, questa è una crisi che viene anche da lontano, direi. In questo senso: che esistesse la possibilità di essere colpiti una pandemia sì sapeva. Pochi se ne interessavano, ma si sapeva. E anche tralasciando la pandemia, comunque la sanità è da anni soggetta a tagli di ogni genere, come saprai sicuramente meglio di me. Ricordo una dottoressa più di 15 anni fa che mi raccontava di carenze allucinanti anche nelle dotazioni più elementari ed essenziali e che infatti se n'è andata in pensione il prima possibile perché non lo sopportava più. Esatto, o riduzione di spazi ambulatoriali, specialisti...

Ecco, tenuto conto di questo, ci sarà chi da anni lancia questo tipo di allarmi. C'è in vista una resa dei conti sul piano della politica sanitaria? Qualcosa del tipo: “tu che hai sostenuto le posizioni che hanno permesso questo ora sei fuori, adesso diamo spazio a chi ci aveva visto giusto da anni.” Il ministero sta cercando di fare il possibile. Non è facile. La sanità è su base regionale e le regioni decidono così come hanno forte potere i singoli direttori generali e sanitari. Ci vorrebbe una comunione d'intenti. Sarà il virus a costringerci a cambiare politiche sanitarie, almeno in parte, non del tutto. La sanità è anche mercato in alcune realtà e chi è interessato non vuole di certo perderlo.

Tra l'altro io ho sempre pensato che la sanità regionale fosse una stronzata, posso continuare a pensarlo? Le regioni dovrebbero tradurre nella loro realtà decisioni centrali e univoche. In alcuni regioni ho l’impressione che sia stato lasciato campo a interessi anche politici troppo specifici.

Invece il livello del dibattito pubblico come lo valuti? Quello nazionale, dico, su stampa e TV. Preferirei che gli scienziati fossero meno assertivi, abbiamo ascoltato affermazioni smentite in breve dai fatti, ma non tutti lo sono stati. E preferirei che le discussioni venissero fatte nelle opportune sedi scientifiche. Per quanto riguarda i media, la copertura in termini di scientificità dei quotidiani è stata spesso carente, con poche luminose eccezioni, e spesso distorta dalle impostazioni politiche dei quotidiani. Non parliamo dei social, stendiamo un velo pietoso. Purtroppo è stato dato spazio anche personaggi di dubbia fama, ma tutto sommato il fenomeno è stato contenuto.

Sì, anche io mi sarei aspettato una presenza più massiccia dei ciarlatani di turno, ma forse la situazione troppo grave ha fatto da calmiere. Una situazione grave, enorme e di fronte a troppe incognite e mancate conoscenze su un virus. Una materia difficile da gestire anche per manipolatori di professione, anche se inevitabilmente visioni complottiste sono girate comunque.

Uno dei problemi che vedo è che salvo rare eccezioni anche i giornalisti più bene intenzionati non sanno a chi chiedere. Cioè, basta essere uno “scienziato”, possibilmente collegato al campo medico, per essere ritenuto autorevole e vedersi subissato di domande anche su argomenti lontanissimi dalla sua competenza (come sto facendo io adesso :-D). Secondo te il tipo di scienziato “giusto” a cui chiedere chi è? L'epidemiologo e il virologo? Un classico: siccome hai una laurea in medicina la gente pensa tu sia onnisciente. Ormai la medicina è troppo complessa e articolata perché esistano gli onniscienti. La medicina ormai è multidisciplinare. Un medico può avere competenze multidisciplinari, ormai non esiste il medico che conosce solo un ambito, ma di sicuro in qualche ambito sarà meno ferrato. Per cui una sola voce potrebbe essere per lo meno parziale e avere un bias di competenza. Riguardo argomenti di cui si conosce poco inoltre mi chiedo che effetto faccia sulla persona media sentire opinioni discordanti. Un ricercatore c'è abituato, i congressi a volte vedono dibattiti accesi, ma è normale dinamica e dialettica fra scienziati. In una sede generalista bisogna pesare molto bene le parole, sottolineare quando è un'ipotesi, quando ci sono dubbi, quando i dati a disposizione sono ancora insufficienti. Ho visto noti blastatori, con i quali mi trovo spesso in disaccordo su questioni non mediche, adottare atteggiamenti più prudenti proprio in questo senso. Ed è onesto e professionale così. Il fatto che a qualcuno sia attribuita credibilità, ho l'impressione che in alcuni casi sia stato dovuto alla visibilità acquisita per altre faccende, prima che per l'h-Index, a volte anche tristemente. Penso alla Prof.ssa Capua, che ha giustamente avuto un suo momento di riscatto pubblico (non certo scientifico, non deve dimostrare ancora qualcosa). In questo periodo ho visto comunque intervistare direttore di reparti o istituti. È un campo quello delle malattie infettive che spesso non ha visibilità mediatica, escludendo il caso del Prof. Burioni, ma è emerso con la questione specifica e snervante dei no-vax, ormai una iattura da anni. Per cui mi sembra che siano andati a cercare gli esperti tra chi ha un ruolo istituzionale in quel campo.

Ma chiedere pareri specifici sull'epidemiologia a un virologo – e viceversa – ha senso o è quasi come chiederli a un idraulico o un ingegnere? Può avere senso. Un virologo può avere competenze di epidemiologia o di nefrologia. Magari storcerei il naso se un medico sostenesse di avere competenze su tutto lo scibile umano. Tutti ormai abbiamo competenze in più ambiti, almeno quelli affini o che più spesso incontriamo nel nostro lavoro. Certo, almeno sulla carta una valutazione epidemiologica la chiederei a un epidemiologo. Ho molto rispetto per le competenze. Persino nei suoi singoli ambiti un medico può non conoscere tutto. È normale e umano.

E le recenti decisioni governative sulla sanità? Almeno a grandi linee i soldi che si vogliono investire vanno nella direzione giusta, a tuo avviso? Non conosco ancora tutti i dettagli, ma mi sembra che i soldi per ora vadano soprattutto in borse per specialisti. Un aspetto importantissimo. Ma la sanità va ripensata e ristrutturata, dagli spazi ambulatoriali al riportare in auge la medicina territoriale o a ridare un ruolo importante ai medici di medicina generale, che solo chi vive su Marte può pensare che non abbiano tutt'ora un ruolo fondamentale.

Il mitico “non servono più”. Esattamente. Devono tornare ad avere un ruolo non dico centrale, ma fondamentale. Com'è stato spesso in questo contesto. Fra i medici, sono stati tra le principali vittime dell’epidemia.

E conseguenze sull'università? Ci sarà un ampliamento del numero chiuso? Ci sarà una “moda” per epidemiologia e infettivologia? Il numero chiuso in una facoltà di Medicina è un falso problema. Il problema è il collo di bottiglia post-laurea. In quali aule li ospitiamo tutti questi studenti? E in corsia? Medicina ha le sue peculiarità. Già intorno al terzo anno, allora, dovrebbe esserci una selezione feroce. Sulla scelta per moda delle specializzazioni, visto com’è impostato ora l'accesso alle borse spesso la decisione è dettata dal posto in cui si è riusciti a entrare, salvo perdere un altro anno o addirittura anni sperando di entrare nella scuola di specialità desiderata. Dipende tutto da una classifica basata su un concorso impostato su domande non specifiche per la specialità ambita. In base alla posizione in classifica hai maggior possibilità di scelta fra le alternative che hai proposto. Più sei in basso, meno possibilità di scelta hai. E magari ti accontenti o entri in una specialità che non era esattamente quella che volevi seguire.

Come la vedi la fase attuale? Voglio essere ottimista per ragioni personali ma ho come la sensazione che ci sia una forzatura, per molti versi comprensibile, verso una riapertura totale che comunque sarà fortemente regolata e non salvifica, da un punto di vista economico, per molti. Da un punto di vista sanitario senza un adeguato tracciamento dei contagi e individuazione tempestiva e precisa dei focolai temo quello che molti temono: una ripresa del contagio. Alcune regioni non mi sembrano decisamente pronte. Per altre la situazione è radicalmente differente.

Eh sì, infatti una delle cose che mi lascia basito è la riapertura uguale per tutti a livello nazionale. Purtroppo è una situazione lose-lose: morti economici o morti veri? Qual è il rischio calcolato di cui parla il nostro Presidente del Consiglio? È un dramma? Chi dice di no!

Certo che lo è. Infatti mi fanno incazzare quelli che dicono “voi che volete stare chiusi non pensate al dramma economico!” Ma chi è che non ci pensa? E ciò nonostante, l'ultima domanda, con sprezzo del pericolo e del ridicolo, è: ti è successo qualcosa di buffo, di curioso, di bizzarro (ma non negativo) collegato a questa vicenda in questi due mesi? Ho rischiato di morire per trauma cranico facendomi cadere sulla testa un'enorme e pesante insalatiera di vetro. Anche in casa si rischia di morire. Ma come dicevamo il rischio è un concetto sfumato e complesso! Tra l'altro per fortuna sta sparendo il segno di taglio simile Harry Potter, quello sarebbe stato troppo...

Beh, l'intervento di un mago buono forse è quello che stiamo aspettando tutti. Purtroppo la magia sboccia solo in rare anime.


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