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Articoli personali o tradotti su letteratura, storia e società.

Viver ardendo...

Gaspara Stampa nasce a Padova nel 1523 da una famiglia aristocratica d'origine milanese. Discendere da una famiglia altolocata, l'abbiamo visto già, permetteva anche alle donne di poter approfondire la propria educazione, soprattutto (e molto spesso limitatamente) nell'ambito umanistico. Così Gaspara, assieme ai fratelli Cassandra e Baldassarre, segue dei corsi di latino, greco, retorica, grammatica, musica e letteratura.

Dopo la morte del padre, la famiglia si stabilisce a Venezia, città d'origine della madre. Nel sedicesimo secolo la città lagunare è una città vivace, multiculturale e soprattutto molto ricca a livello artistico. L'educazione dei fratelli continua sotto la supervisione, tra gli altri, di Fortunio Spira, amico intimo dell'Aretino, sotto la cui guida creano versi in latino, e di Perissone Cambio, membro della cappella musicale di San Marco, il quale insegnerà loro il canto ed il liuto. Non mancherà loro l'occasione di mostrare le loro doti al pubblico, perché la casa degli Stampa diventa ben presto un salotto culturale importante, dove si riuniscono letterati ed artisti. Durante queste serate, Cassandra esibisce le sue doti canore, Baldassarre metterà voce ai suoi versi di poeta, ma è spesso Gaspara ad attirare l'attenzione con la sua bellezza e la sua intelligenza, tanto che molte opere degli astanti le saranno dedicate.

Ma la vita intellettuale ed artistica di Gaspara non si limitò alle esecuzioni canore dei sonetti petrarcheschi di fronte all'intellighenzia veneziana o a dei versi scritti, per rispondere ai vari corteggiatori, seguendo il modelli di Petrarca e di Bembo, tanto in voga nel periodo. Anzi. Essa iniziò a sbocciare nel 1548, quando incontrò il conte Collaltino di Collalto, giovane militare dalle velleità letterarie. Questo amore travolgente rappresentò per lei la spinta creativa che le mancava per sviluppare la propria personalità poetica, il detonatore « che la porterà a osare azzardi stilistici davvero innovativi ». Vera donna del suo tempo, Gaspara definirà l'uomo (e non il sentimento) come unica fonte della sua poesia.

La relazione turbolenta col Collaltino durerà tre anni e le sue fasi sono ben descritte nelle poesie di Gaspara, che possono essere lette anche come un diario. È questa una delle motivazioni che spingono molti critici letterari (uomini, nb) a sminuire l'opera della Stampa, sottolineando l'aspetto sentimentale ed autobiografico, il quale andrebbe a scapito della forma poetica. I suoi versi, però, sottolineano il profondo legame tra sentimenti e poesia e lo fanno in maniera innovativa, diretta, in un periodo in cui la letteratura dei sentimenti passava solamente attraverso il filtro del neoplatonismo. I versi si diffusero comunque tra il pubblico veneziano che li apprezzò molto.

Dopo la trasferta del Collaltino in Francia e la conseguente rottura del rapporto, Gaspara iniziò una nuova relazione con Bartolomeo Zen, annunciata attraverso un acrostico. Siamo nel 1552 e Zen sembra darle quello che il Collaltino non ha potuto darle, cioè una vera amicizia ed una profonda intesa intellettuale. Si nota, in effetti, in questo periodo, un cambiamento nei versi della Stampa, che diventano più maturi e ribelli. Di questo amore scriverà:

Un foco eguale al primo foco io sento e, se in sì poco spazio questo è tale, che de l’altro non sia maggior, pavento. Ma che poss’io, se m’è l’arder fatale, se volontariamente andar consento d’un foco in altro, e d’un in altro male? (CCXXII)

Il centro della sua vita è l'amore, non può fare altro che accettarlo, in barba ai benpensanti che la potevano giudicare per le diverse relazioni e per non essersi mai sposata (alcuni dicono fosse una cortigiana, ma questo elemento non potrà essere mai confermato o smentito, visto che l'albo in cui la Repubblica veneziana iscriveva le donne di piacere non esiste per gli anni in cui è vissuta). Questo elemento è sottolineato da un suo verso che verrà citato anche da Stelio Effrena, protagonista de Il Fuoco di D'annunzio,

Viver ardendo e non sentire il male.(CCVIII)

Nel 1554, però, la vita di Gaspara Stampa arriverà alla sua fine, dopo soli 32 anni. La causa della morte ufficiale sarà una febbre intestinale, ma alcune voci giravano già di un suicidio al veleno per delle pene amorose o, addirittura, che fosse stato proprio l'amore a consumarla.

Poco dopo la sua morte la sorella Cassandra fece pubblicare i suoi versi in un canzoniere, le Rime di madonna Gaspara Stampa. La maggior parte di queste trecentoundici rime saranno dedicate al Collaltino, ma gli ultimi quattordici sonetti sono per Bernardo Zen.

La mia vita è un mar La mia vita è un mar: l'acqua è 'l mio pianto, i venti sono l'aure de' sospiri, la speranza è la nave, i miei desiri la vela e i remi, che la caccian tanto.

La tramontana mia è il lume santo de' miei duo chiari, due stellanti iri, a' quai convien ch'ancor lontana i' miri sena timon, senza nocchier a canto.

Le perigliose e sùbite tempeste son le teme e le fredde gelosie, al dipartirsi tarde, al venir preste.

Bonacce non vi son, perché dal die che voi, conte, da me lontan vi feste, partîr con voi l'ore serene mie.

LiberLiber mette a disposizione il download gratuito di due opere in cui sono presenti dei versi di Gaspara Stampa:

Rime; Rime di tre gentildonne del secolo XVI.

La cavaliera-errante per i diritti delle donne.

Qiu Jin nasce nel 1875 a Xiamnen, città portuale nella parte sud-orientale della Cina. Nasce in una famiglia abbiente, elemento che, nella Cina del diciannovesimo secolo, era al contempo vantaggioso e svantaggioso per una donna. In effetti, questo le permetterà di accedere ad un'educazione più approfondita e di perseguire le sue passioni per l'equitazione e per la spada (scuola ed attività fisica non erano delle priorità per le donne dei ceti più bassi), ma anche per la poesia. Il rovescio della medaglia era rappresentato però dalle aspettative che la società metteva sulle ragazze, soprattutto di una certa caratura. A cinque anni la famiglia l'inizia alla pratica chiamata del Loto d'Oro, la quale consisteva nel stringere i piedi delle bambine (o delle ragazze) fino a romperne le ossa, di modo che prendessero una forma a mezza luna e non permetteva che il piede potesse crescere oltre gli 11 centimetri. Questa pratica, che costringeva le donne ad una vera e propra disabilità, agli occhi delle famiglie faceva però aumentare le probabilità di un buon matrimonio per le figlie femmine. A diciannove anni, quindi, la famiglia decide di combinare il suo matrimonio con un giovane commerciante, un matrimonio che si dimostrerà infelice come lo provano le poesie scritte in questo periodo, incentrate sul sentimento della solitudine che la pervadeva, nonostante la nascita di due figli.

Una svolta avviene però nel 1903, quando con il marito ed i figli si trasferisce a Pechino. Nella capitale, Qiu Jin entra in contatto con nuove realtà e, attraverso le sue nuove conoscenze e alla lettura, sviluppa le sue prime idee femministe. Spinta dalla voglia d'indipendenza e di conoscenza, qualche anno dopo Qiu Jin coglierà l'occasione dei nuovi scambi culturali tra Cina e Giappone (dopo aver perso la guerra, la Cina si era resa conto della sua arretratezza rispetto al paese nipponico, il quale si era aperto all'influenza occidentale e decide quindi d'inviarvi membri delle élites a studiare): dopo aver impegnato i suoi gioielli, lascia marito e figli per trasferirsi nel paese del sol levante. Una poesia del periodo ci può far capire il suo sentimento alla partenza:

Riflessioni (scritta durante il viaggio verso il Giappone)

Il sole e la luna non hanno più luce, la terra è nell'oscurità; il nostro mondo femminile è sprofondato così in basso, chi può aiutarci? Gioielli venduti per pagare questo viaggio attraverso il mare, isolata dalla mia famiglia lascio la mia terra natìa. Slegando i miei piedi pulisco mille anni di veleno, con il cuore caldo incito gli spiriti di tutte le donne. Ahimé, questo fazzoletto delicato è macchiato a metà dal sangue e metà dalle lacrime.

In Giappone Qiu Jin comincia a vestirsi con abiti maschili e a farsi chiamare “Cavaliere-errante del lago Jian”. Si tratta di un periodo entusiasmante a livello intellettuale, un periodo in cui è editrice e scrittrice per “Baihua Bao” (letteralmente “giornale vernacolare” perchè scritto in cinese vernacolare e mezzo di propaganda rivoluzionaria), in cui pubblicherà un importante saggio, “Una proclamazione rispettosa ai 200 milioni di donne e compagne cinesi” in cui incita a liberarsi dalle catene, a ribellarsi contro le pratiche come il Loto d'oro, i matrimoni di convenienza e a battersi per l'indipendenza finanziaria ed educativa.

Nel 1905 Qiu Jin ritorna in Cina con l'obiettivo di arruolarsi con le forze rivoluzionarie contrarie alla dinastia Qing per portare nel suo paese una democrazia più occidentale. L'anno seguente fonda il “Zhonghhuo Nü Bao” (tradotto il “giornale delle donne cinesi”) con la poetessa Xu Zihua. Attraverso il giornale, le due donne, unite da una stretta sorellanza, si pongono l'obiettivo di diffondere in Cina delle idee d'indipendenza femminile e di libertà di scelta ed educazione. Il giornale, però, riuscirà a far stampare due numeri prima di essere chiuso dalle autorità. Le sue battaglie per i diritti femminili sono sempre associate ad un grande impegno nelle forze rivoluzionarie. Qiu Jin diventa infatti direttrice di una scuola che si presenta come destinata a potenziali insegnati. Si tratta però di una copertura, un luogo di ritrovo per i gruppi rivoluzionari, dove viene messo in pratica la loro formazione militare.

Sfortunatamente, nel luglio del 1907 Qiu Jin viene arrestata. Nonostante le torture a cui verrà sottoposta, la donna-guerriero non rivelerà mai informazioni importanti ai suoi aguzzini, ma sarà comunque condannata a morte a causa degli scritti ritrovati nella scuola. Sarà decapitata pubblicamente il 15 luglio. Le sue ultime parole, piene di tristezza per il fallimento della rivoluzione, fanno riferimento anche al significato letterale de suo nome “gemma d'autunno”.

秋風秋雨愁煞人

Vento d'autunno, pioggia d'autunno – fanno morire di tristezza.

Grazie al ritrovamento dei suoi scritti sappiamo che tra il 1905 ed il 1907 Qiu Jin ha lavorato ad un romanzo. Si tratta di un romanzo in forma di ballata, una forma spesso usata nelle composizioni femminili, in cui si racconta dell'amicizia tra cinque donne che decidono di scappare dalle proprie famiglie e dai propri matrimoni per studiare ed unirsi alle forze rivoluzionarie a Tokio. Lungo i vari capitoli le donne discutono tra di loro di argomenti come l'educazione, l'attività militare e le azioni politiche dirette. Il romanzo si sarebbe infine concluso con il rovesciamento della dinastia Qing e l'istituzione di una repubblica.

Una risposta, versi in rime associate per Ishii-kun, un amico giapponese

Non dire che le donne non possono diventare degli eroi: sola, ho cavalcato i venti verso l'est, per diecimila leghe. Le mie meditazioni poetiche si sono espanse, una vela tra il cielo e la terra, sognando le tre isole del Giappone, giada delicata sotto la luce lunare. Piangendo la caduta dei cammelli di bronzo, guardiani dei cancelli del palazzo cinese, un cavallo da guerra è disonorato, ancora nessuna battaglia vinta. Mentre il mio cuore piange per le abominevoli pene della mia terra natìa, come posso io restare, un ospite oltreconfine, assaporare i venti primaverili.

(Ringrazio Yiling Wang per la traduzione dal cinese all'inglese).

«La prima femminista del Nuovo Mondo.»

Juana Inés de Asbaje y Ramírez de Santillan nasce vicino a Città del Messico tra il 1648 e il 1651.

Guardando alla sua vita è impossibile non pensare all'espressione “bambina prodigio”. Secondo quanto lei stessa racconta in quella che possiamo definire come la sua autobiografia intellettuale, alla tenera età di tre anni, la piccola Juana decise un giorno di seguire la sorella maggiore a scuola dove, grazie alla complicità della maestra, apprese a leggere e a scrivere. Nonostante la paura di essere punita, Juana si dice «infervorata dal desiderio d'imparare a leggere».

A sei anni, venendo a conoscenza dell'esistenza delle università, cercò di convincere la famiglia a mandarla a Città del Messico per continuare i suoi studi, travestita da uomo.

«…Venni a sapere che a Città del Messico c'erano Scuole, ed un'Università, in cui si studiavano le scienze. Cominciai allora ad affliggere mia madre con le mie suppliche insistenti ed importune: avrebbe dovuto vestirmi da ragazzo e mandarmi a Città del Messico dove avrei vissuto con dei familiari, per studiare all'Università.»

La famiglia non le permise di perseguire il suo piano e Juana, affamata di conoscenza, decise di leggere e studiare tutto quello che poteva da autodidatta. Juana racconta che, per motivarsi allo studio profondo del latino, decise di tagliarsi i capelli – un simbolo della bellezza femminile – ad ogni obiettivo mancato.

«Cominciai a studiare la grammatica latina ... ed il mio interesse era così intenso che, benché per le donne (e specialemente per le donne nel fiore della gioventù) i capelli rappresentino un importante ornamento naturale, tagliai i miei di una lunghezza di sei dita imponendomi la condizione che, se al momento in cui fossero ritornati alla stessa lunghezza non avessi appreso quello che mi ero posta di apprendere, me li sarei tagliati ancora, come punizione... Ed effettivamente li tagliai: per me non ha senso che una testa sia adornata da capelli e nuda di sapere – sapere che rappresenta un ornamento più desiderabile.»

A 10 anni Juana si trasferisce a Città del Messico. Grazie alla sua intelligenza e al suo interesse per i rapporti umani, si lega a delle compagnie importanti, tanto che, per tutta la sua vita, avrà il supporto della Vicereine. A corte era spesso chiamata per essere mostrata come enfant prodige ai vari ospiti di tutto il mondo.

La vita di corte, però, faceva sorgere in lei un conflitto, quello tra i piaceri della vita secolare (che per lei erano una distrazione) ed il desiderio di studiare. A vent'anni, allora, Juana decise di entrare in convento, un luogo dove avrebbe potuto avere quella che Virginia Woolf chiama a room of one's own. Non bisogna però tralasciare un aspetto importante della decisione di Sor Juana, in quanto la sua scelta fu dettata anche dal non desiderare un matrimonio e alla sua resitenza al diventare un oggetto sessuale. Questo elemento appare anche nelle sue opere, in cui denuncia i comportamenti aggressivi e predatori degli uomini.

Hombres necios que acusáis a la mujer sin razón sin ver que sois la ocasión de lo mismo que culpáis

Uomini sciocchi che accusano la donna senza ragione senza vedere che tu sei l'occasione della stessa cosa che si rimprovera [...]

Nella sua nuova condizione, Sor Juana poteva asserire la sua dominanza verbale, il controllo sulle sue risorse e stabilire il suo status sociale in una coalizione che accettava lei e la sua parola.

In effetti, se grazie al convento era protetta dall'associazione a uomini “pericolosi”, Sor Juana riuscì a mantenere le sue amicizie altolocate, amicizie che la supportavanto nell'espressione dei suoi talenti e del suo intelletto. Nella sua cerchia di amicizie non troviamo solo viceré e nobiltà, ma anche intellettuali rilevanti, con i quali poter scambiare idee.

La sua condizione di suora, però, non la poteva proteggere dalle critiche, soprattutto da quelle provenienti dall'interno della chiesa. Sor Juana scriverà la Respuesta a Sor Filotea, quella che è considerata da alcuni come la “Magna Cartadella libertà intelletuale per le donne americane”, come risposta ad una polemica sorta dopo che il gesuita Antonio de Vieira aveva voluto criticarla in un sermone. Furbescamente, al sermone era stato aggiunto una prefazione scritta dal vescovo di Puebla, un benefattore del gesuita, ma sotto pseudonimo femminile, Sor Filotea de la Cruz of Puebla, in cui si argomentava che San Paolo avrebbe imposto alle donne di non insegnare e di non studiare per prevenire che divenissero presuntuose, cosa molto probabile vista la loro propensità alla vanità. Nella sua Respuesta, Sor Juana cita lo stesso San Paolo nella lettera a Tito, in cui parla di “donne anziane [che] abbiano un comportamento santo: non siano maldicenti né schiave del vino; sappiano piuttosto insegnare il bene [...]“(Titus 2:3) e rimprovera gli uomini “che solamente per essere uomini credono di essere saggi”. E, soprattutto, giustifica il suo diritto a studiare dei temi secolari in quanto mezzo per rinforzare la sua fede, e per migliorare la sua comprensione dei soggetti teologici: “Come, senza conoscere la Logica, posso io valutare il modo generale e specifico in cui le Sacre Scritture sono state composte?” Sor Juana era conosciuta per i suoi scritti polemici, ma il rimprovero fa capire che la sua posizione, in quanto donna intellettuale autodidatta, è una posizione precaria visto quanto l'accesso alla vita intellettuale (e all'afabetizzazione) fosse limitato per le donne. È per questa ragione che deciderà di lavorare alla Respuesta a Sor Filotea ed alla sua biografia intellettuale nello stesso momento, per stabilire la sua autorità e quindi il suo diritto a rispondere.

Dopo questa polemica però, Sor Juana si ritirerà quasi completamente dalla vita pubblica intellettuale ma, sebbene siano ancora in corso dei dibattiti accademici sulle modalità e le ragioni che l'hanno portata a questa scelta, sappiamo che, almeno in privato, la sua fame di conoscenza non si è mai acquietata. L'inventario della sua cella, alla sua morte, rivelò infatti almeno 180 libri e 15 pacchi di scritti, secolari e religiosi. Anche se, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua entrata in convento, Juana aveva donato tutti i suoi libri, era evidente che stesse lavorando per ricostruirsi una piccola biblioteca.

Juana morì a 46 anni a causa di un'epidemia che aveva colpito il suo monastero.

Il Messico negli ultimi anni si è riappropriato della figura Sor Juana. La sua immagine appare infatti nella banconota da 200 pesos e la sua città d'origine ha ormai preso il suo nome.

Una banconota da 200 pesos con l'immagine di Sor Juana

Alcune delle sue poesie:

Me acerco y me retiro

Hombres necios que acusáis

Divina Lysi mía

Inizia, con questa settimana, una serie di articoli incentrati sulla vita e sulle opere di donne che si sono dedicate alla poesia.

Che esse siano state dimenticate dalla storia della letteratura o osannate, queste poetesse meritano di rivivere anche in italiano.

Articolo di Cécile Andrzejewski apparso su Mediapart il 7 dicembre 2020, tradotto da me.

Le donne con più di 70 anni rappresentano la seconda fascia d'età più colpita da questo tipo di omicidi. Ma i processi sono rari per questi atti ancora spesso qualificati, a torto, come "suicidi altruisti".


Skype è diventato grigio. La piccola luce che mostra se si è connessi è diventata grigia. E quella dell'account di mia mamma era sempre verde, sempre. L'estate è appena cominciata, siamo nel giugno del 2019 e Nadia, che vive negli Stati Uniti, comincia a preoccuparsi. Sua madre, Chantal, non risponde più alle sue chiamate. Certo, le due donne si sono parlate il giorno prima ma, di solito, si parlano tutti i giorni. Anche io avevo parlato con la mamma, sabato. Ma domenica, nessuna notizia. Il lunedì, nessuna notizia, racconta Amina, la sorella di Nadia. All'epoca quest'ultima viveva in Francia, nella regione parigina. Come sua sorella, anche lei ha l'abitudine di chiaccherare con la madre. La nostra vita era così.

È a questo punto della storia che questo telefono che suona a vuoto comincia ad inquietarla. C'è forse un problema di connessione nel villaggio dei Paesi Baschi dove abitano Chantal, 72 anni, e suo marito Jean, 90? Amina dà come missione a sua figlia, che vive nella regione di Bordeaux, di contattare il comune, per sicurezza. Nello stesso momento, la donna delle pulizie di Chantal et Jean trova la casa completamente chiusa. Anche lei preoccupata, decide di chiamare i pompieri. È stato allora che abbiamo saputo che era finita.

Nella casa bianca dagli scuri rossi - una fattoria che la mamma aveva trasformato in un castello - giacciono i corpi di Chantal e Jean. Lei sul divano e lui sul pavimento, un fucile da caccia al suo fianco, l'arma di cui si è servito per uccidere la moglie, prima di suicidarsi. Amina apprende la notizia della morte di sua madre dalla figlia. Come per negare l'evidenza, il sindaco della città avrebbe dichiarato alla ragazza che sua nonna "si era tolta la vita". Al volante su una strada americana, Nadia riceve una telefonata dalla sorella. Accosta. Spegni la macchina. Togli le chiavi, le dirà Amina.

Jean ha ucciso Chantal montre dormiva, sparandole a distanza ravvicinata, la carabina puntata sulla mascella. Quando il suo corpo è stato ritrovato, un lenzuolo le era stato appoggiato sul viso. Non ha voluto guardare il suo atto in faccia, dice Nadia. Un atto premeditato, secondo le due sorelle. Il primo elemento che salta all'occhio è una lettera lunga diverse pagine che il novantenne, sposato con Chantal dal 2006, ha lasciato come testamento. Nella lettera l'uomo parla della sorella, del sindaco del villaggio, dei preti dei dintorni e di avvenimenti vecchi di diversi decenni. Non menzionerà mai sua moglie. Una lettera così lunga e così ben scritta che non ha potuto scriverla il giorno stesso, affermano le due figlie di Chantal.

E, soprattutto, c'è il fucile. La carabina faceva la ruggine da molto tempo nel granaio, come i bossoli utilizzati per commettere il crimine. Ma verso le 19 di domenica, i vicini hanno visto Jean scendere nel campo, per poi sentire una detonazione, come se avesse voluto verificare che il fucile funzionasse ancora. Ha voluto provare l'arma in quel momento. Abbiamo cercato il bossolo nel campo, sospira Amina.

Dopo l'omicidio, le due sorelle sono restate qualche giorno sul luogo del crimine. Per occuparsi dei gatti, dei cani e degli asini della madre - la prova, secondo loro, che Chantal non avrebbe acconsentito alla morte: Non avrebbe mai lasciato gli animali così. Una volta entrate nella casa, le due quarantenni hanno cercato di ricostruire i fatti delle ultime ore della madre, prestando attenzione ai dettagli più piccoli ed ordinari.

Quella domenica sera, Chantal ha preparato la cena per Jean ma non ha mangiato, cosa che succedeva, a volte. Il piatto sporco attendeva ancora nel lavandino di essere lavato. Nel bagno restano ancora i vestiti sporchi che il novantenne aveva lasciato dopo aver fatto la doccia, come era sua abitudine.

Davanti alla scrivania, però, manca qualcosa: il foglio sul quale Chantal aveva annotato i numeri di telefono delle figlie. Di solito appeso al muro, il foglio era scomparso. Nadia e Amina lo ritroveranno nell'hangar, là dove Jean aveva l'abitudine di bruciare i piccoli rifiuti. Ha avuto la presenza di spirito di strappare questo foglio e di gettarlo nel cumulo delle cose da bruciare, dice indignata Amina.

Sulla scrivania, le due sorelle ritrovano la domanda di rilascio del passaporto preparata dalla madre. Avevano previsto di passare l'estate in Marocco, tra donne. Jean non si allontanava mai dal villaggio, mentre Chantal aveva viaggiato spesso prima di conoscerlo attraverso un annuncio del giornale Chasseur français. Aveva l'abitudine di muoversi, viaggiare, e ha lasciato tutto per stare con lui. Quell'estate, avremmo dovuto trovarci. È da lì che è cominciato il dramma. Secondo le figlie di Chantal, il novantenne non avrebbe semplicemente sopportato l'idea che la moglie l'avrebbe lasciato solo durante questa vacanza.

Dopo l'omicidio, nel villaggio girava la storia di un "patto suicidario", un'altra versione del "suicidio altruista", un concetto a cui fanno eco a volte i media e le autorità quando una donna anziana è uccisa dal compagno. Basta dare un'occhiata ai calcoli fatti, nel 2020, dal collettivo Féminicides par compagnon ou ex per rendersi conto della diffusione di questo dramma.

Sugli 87 femminicidi attualmente contati nel 2020, 14 hanno a che fare con donne di più di 70 anni. In 9 di questi casi, il marito si è poi suicidato. 2 di questi hanno cercato di togliersi la vita. Spesso viene ritrovata una lettera dove l'omicida tenta di giustificare il suo gesto.

Ci si legge, con tragica regolarità, della malattia della moglie, della sua pesante patologia, del suo indebolimento e del suo stato di salute degradato. Spesso anche di vecchiaia e d'isolamento. Arrivati ad una certa età, si parla di "suicidio altruista". Quando l'anziana è malata, quando non può più rispondere del suo ruolo di donna della casa, di domestica, il marito/compagno decide di sbarazzarsene infuria Sandrine Bouchait, presidente dell'Union nationale des familles de féminicide (UNFF). Queste donne non scappano dal marito attraverso la separazione, ma in altra maniera, attraverso la malattia, la vecchiaia.

Ritornando ai Paesi Baschi, Chantal non era malata, era riuscita anche a guarire da un cancro. Con questo passaporto e questo viaggio programmato per il Marocco, però, le figlie credono che Jean abbia pensato che se ne sarebbe andata per sempre.

È un dato ancora poco conosciuto, ma le donne di 70 anni e più, rappresentano la seconda fascia d'età più toccata dai femminicidi, secondo lo studio nazionale sulle morti violente all'interno della coppia, uno studio pubblicato lo scorso agosto. Dal 2006, la Délégation aux victimes (DAV), struttura comune alla police nationale e alla gendarmerie nationale, conduce tutti gli anni quest'inchiesta analizzando individualmente ogni decesso, "al di là della commissione dei fatti e della loro qualifica penale".

Nel 2019, sulle 146 vittime recensite da questo studio, trenta avevano più di 70 anni. Per ciò che riguarda gli autori, la fascia dei 70 anni e più è la più rappresentata. Nel 2020, la prima vittima recensita dal collettivo Féminicides par compagnon ou ex, Raymonde, era una donna ottantenne, malata. Quando le vittime hanno più di 70 anni, la metà di queste sono state uccise a causa della loro malattia, della loro vecchiaia e/o quella dell'autore (15 donne su 30), dice l'inchiesta della DAV.

Quando una donna è malata, quando non adempie più al suo ruolo domestico, si mette in atto una separazione. I mariti/compagni dovranno occuparsi delle faccende di casa e questo è per loro insopportabile. Gli uomini non sono educati al "care", ma abituati ad essere serviti, soprattutto quando si tratta di questa generazione dice Julia, del collettivo Féminicides par compagnon ou ex. Julia sottolinea l'ironia del fatto che, in Francia, la maggioranza delle persone che si prendono cura del* compagn* sono delle donne - 59,5% secondo uno studio della DREES (Direction de la recherche, des études, de l'évaluation et des statistiques) apparso nel 2019. Ma allora perché queste donne non uccidono il marito malato?

Questi femminicidi di donne anziane restano ancora poco visibili. Già da vive, dopo i 60 anni, si diventa trasparenti, ma da morte, lo si è doppiamente, s'indigna Julia. A questo si aggiunge il fatto che le azioni in ambito giudiziario sono particolarmente rare. Nella maggior parte dei casi, il compagno/marito si suicida, quindi c'è l'estinzione dell'azione pubblica, spiega Sandrine Bouchait.

Questo non significa però che non sia stata iniziata nessuna inchiesta. Nel maggio scorso, a Anglet (Pyrénées-Atlantiques), un uomo di 89 anni ha ucciso la moglie di 83 anni, prime di girare l'arma verso se stesso. Sul posto viene ritrovata una lettera, scritta dal marito. La lettera non parla del disagio di occuparsi delle faccende domestiche, ma il procuratore della Repubblica di Bayonne, Jérôme Bourrier, si rifiuta di parlare di suicidio di coppia.

In effetti, l'autore è morto, quindi sussiste l'estinzione dell'azione pubblica. Abbiamo però condotto un'inchiesta per omicidio volontario di congiunto, realizzando delle autopsie, delle investigazioni tra il vicinato... Da una parte, ha ucciso la moglie. Dall'altra parte, certo, c'è questa lettera, dove condivide une situazione di difficoltà dovuta anche alla malattia della moglie. Questa resta però una lettera scritta dall'autore e l'autore può motivare il suo gesto comme preferisce, afferma Jérôme Bourrier. Niente prova in effetti che la vittima avesse chiesto di morire. Possiamo anche immaginare che l'autore non sopportasse di vedere la moglie malata.

In questi eventi, il suicidio offre all'autore un'immagine da martire, da eroe, dice Julia, dispiaciuta. Sentiamo spesso dire : "Almeno, si è dato la morte." Nel frattempo, però, si ridiscute ancora del consenso delle donne. Il loro consenso ad essere uccise. Ebbene, come affermare che una signora malata, non avendo più i mezzi per sopravvivere, abbia potuto acconsentire ad un tale atto?

La malattia d'Alzheimer non dà l'autorizzazione ad uccidere, ha affermato Paul Rabesandratana, sostituto generale della corte d'assise nell'Isère, nel novembre 2017. Davanti a lui, Hubert Ougier, uomo di 81 anni che, due anni prima, aveva soffocato Nicole, sua moglie malata, con un cuscino. Era dura con me, arrivava a prendersela con me perché ci avevo messo troppo tempo per fare le spese. Alla fine, era diventata dipendente da me e dovevo lavarla, farle da mangiare. Quella notte non avevo dormito e quando mi sono alzato, ho visto il cuscino e l'ho spinto contro il suo viso, non so perché. Dopo l'atto, ho cercato di suicidarmi, ma non sono riuscito a farlo, racconta l'ottantenne. Ciò non è bastato a convincere il sostituto generale del fatto che si trattasse di un "suicidio altruista", perché non esiste giustificazione a questo crimine.

Ha cercato di dibattersi e ha gridato di fermarsi. Non era d'accordo per niente, ma lui aveva già deciso, ricorda Me Flore Abadie O'Loughlin, avvocato del figlio della coppia, che si è costituito parte civile. La donna ha cercato di respingerlo, non ha avuto una fine pacifica. Secondo l'uomo, lei non voleva più vivere e, quindi, ha messo in atto questo gesto per renderle un ultimo favore. Ma non è questo il caso. Le persone malate d'Alzheimer non si rendono conto del loro stato e, soprattutto, la signora non aveva mai dimostrato il desiderio di mettere fine alla propria vita. In nessun momento.

L'avvocato rievoca anche la difficoltà della sua posizione di consigliera: il figlio della coppia sperava da una parte che giustizia fosse fatta per la madre, ma dall'altra che la pena per il padre non fosse troppo pesante. L'uomo voleva farci credere che agisse secondo una decisione comune, ma non era così. Non potevo però insistere troppo, sennò la pena sarebbe stata più grande di quella sperata dal figlio. Il processo per lui è stato ovviamente doloroso, preso tra l'amore per sua madre e il suo desiderio di risparmiare, malgrado tutto, suo padre.

Per aver soffocato la moglie, l'ottantenne è stato condannato a cinque anni di prigione con la condizionale. Il risultato non sarà mai perfetto, ma le cose hanno potuto essere dette apertamente, sottolinea Me Flore Abadie O'Loughlin.

La morte di Chantal non sarà mai giudicata in tribunale. Il suo assassino si è ucciso, non ci sarà un processo, non ci sarà giustizia, constata amaramente Amina. Le due sorelle si sono viste togliere anche la possibilità di vivere il proprio lutto, non potendo vedere la madre prima del funerale, a causa dell'autopsia. L'ultima immagine che ho di lei, è quella di mia madre in una scatola. Tutto ciò che posso immaginare, è che l'avesse sfigurata, dice Nadia, sospirando. È allora che le due sorelle, assieme alle loro figlie e ad altre persone, si sono riunite poco dopo l'omicidio, davanti al municipio del villaggio dove viveva Chantal. Volevamo esserci, mostrare che non lasceremo cadere nostra madre nell'oblio. Fino all'ultimo respiro.