Giorgio Viali - Regia Sceneggiatura

Archivio – Bozze, Sceneggiature, Sceneggiatura, Soggetti, Cinema, Fotografia

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La Fotografia dovrebbe essere sovversiva, rivoluzionaria, salvifica e mistica. Come l'Arte. Come il Cinema. O la Danza.

Di: Giorgio Viali 1 febbraio 2020

La Fotografia è (ancora) una forma d'Arte Sociale. La Fotografia è (ancora) per lo più analogica. Come il Cinema. Nel senso che prevede delle Relazioni. Relazioni o MicroRelazioni. L'incontro di Persone. Di uno Sguardo e di un Volto. Di desideri. Aspirazioni. Sogni. Velleità, a volte. Secondi fini, altre volte.

Il Corpo è inutile. Senza un Volto, un Corpo è completamente insignificante. E l'esposizione, oggi, di molti Corpi è solo un segno di una ricerca, del bisogno, di qualcos'altro. Di una profonda insoddisfazione.

L'Arte, e anche la Fotografia, inscena situazioni di Relazioni alterate. Non usuali e confortevoli. Non consuete. La Fotografia (come l'Arte) cerca e vive di performance che prevedano Relazioni (visive e desideranti) alterate.

L'uomo (inteso come genere) cerca da sempre Relazioni. Non si soddisfa di Relazioni occasionali. Le Relazioni occasionali non lo soddisfano. E cerca Relazioni sincere, profonde, assolute. Per lo più dunque non relazioni usuali. Relazioni, queste ultime, che già conosce e non lo soddisfano. Cerca e vuole Relazioni anomale, sovversive, estreme, alterate e non paritarie. Vuole sperimentarle.

Nel Cinema, nella Danza.... nella Pornografia.... sì anche nella Pornografia (per quelli/e che la guardano) che cosa si cerca? Si cerca fondamentalmente delle (possibili) Relazioni. Siamo curiosi di sperimentare Relazioni non usuali. Cerchiamo Relazioni che si possano definire Assolute. Coinvolgenti. Totali e totalizzanti. Non necessariamente fisiche.

La Fotografia che cos'è? E' l'incontro di due persone. E' una Relazione. Una MircroRelazione. In cui le Regole Sociali possono o devono venir messe in discussione. Già semplicemente il permettere a qualcuno di fissarci e di guardarci con intensità è una violazione delle regole del sentire comune....

E.... One Is Not Enough Uno scatto non è sufficiente Un solo incontro non è sufficiente Una sola performance non è sufficiente

La Fotografia cos'é? Un incontro intimo sostenuto sul filo di uno sguardo. Parole di Friedl vom Gröller, nata Bondy, ma nota con il cognome di Kubelka. Nei miei film, nei miei set fotografici, non controllo tutto, creo delle situazioni e lascio che le cose accadano. Come mi piace dire: “Give chance a chance”

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Fotografia, Introspezione, Misticismo e Chirurgia Estetica... Di Giorgio Viali 3 ottobre 2019

Per Modelle, aspiranti Modelle e Attrici, Attori, Performer, Ballerine e Danzatori

La Fotografia (e il Cinema) hanno profondamente e intimamente a che fare con l'introspezione e il Misticismo. Guardare la Bellezza è qualcosa di profondamente Sacro e Mistico. Osare guardare con intensità la Bellezza è concesso solo a pazzi temerari Mistici. Persone che credono profondamente. Che desiderano. Che cercano. La Bellezza è qualcosa (come il Sacro) con cui non si può giocare. Pena la perdita della propria Anima e del proprio Sguardo. Pena la capacità di desiderare e vivere. Pena l'Inferno.

Posare (e Recitare e/o Ballare) è qualcosa che ha che fare profondamente e intimamente con l'introspezione e il misticismo. Non è un lavorare esternamente. Non è un confrontarsi con il fotografo o con un pubblioco o con chi ti guarda. E' scendere nella profondità della propria anima e guardarsi e accettarsi e scoprirsi. E non si può barare. Pena la perdita della propria Anima e del proprio Aspetto. Pena la capacità di desiderare e vivere. Pena l'inferno.

Quante ragazze oggi si sentono inadeguate ! Si sentono brutte. Inguardabili. O semplicemente difettose o difettate o incomplete e imperfette. Sfortunate. Amareggiate. Sconfitte. Abbandonate. Ferite... Ragazze molto belle che non vogliono essere fotografate perchè... Perchè... pensano di non essere belle. Di non essere adeguate. O che pensano di non essere abbastanza Belle perchè si confrontano con modelle che hanno scommesso solo sul loro aspetto esteriore. Quante ragazze desiderano intensamente e profondamente di avere un altro aspetto. Quante ragazze desiderano un altro Naso o delle Tette più grandi o un Culo più sodo. Che cosa non venderebbero per non avere la cellulite o le smagliature? La propria anima non la venderebbero... solo perchè (forse) l'hanno già venduta.

Non nascondiamoci dietro ipocrisie. La Bellezza fisica Paga ! Scommettere sul Corpo è semplice e sicuro. Essersi rifatti Naso, Seno, Culo e Zigomi è stato per molte un investimento proficuo e redditivo. O lo sarà. Paga, ha Pagato o... Pagherà

Ma... Non è tanto il fatto che si è dovuto rinunciare a qualcosa. Non è tanto il fatto che si è venduta (probabilmente) la propria anima. E' che si continuerà ad essere insoddisfatte e inadeguate... Ferite, Lacerate... Si continuerà a scommettere su qualcosa che non sazia... che non disseta... che non scalda... che non batte... E il Corpo (oggi) non è più percepito come Sacro. Ma preservare una capacità di introspezione e di “misticismo” è qualcosa che bisogna assolutamente considerare e valutare.

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Fotografia, Progetti e MicroRelazioni Di Giorgio Viali 25 marzo 2019

Incontrare modelle, attrici e attori, ragazze immagine per delle foto/video di prova è una grande opportunità. L'incontro ha come obiettivo quello di instaurare con queste persone delle collaborazioni che durino nel tempo e delle relazioni che portino a una collaborazione progettuale ed esecutiva che possa crescere. Ha un senso se ottiene questo risultato.

E' un fallimento invece quando tutto si conclude dopo il primo incontro.

Può voler dire che l'approccio che si è usato non è stato apprezzato. Può voler dire che i risultati ottenuti non sono stati soddisfacenti. Può voler dire che non si è riusciti a trasmettere l'importanza di una collaborazione che possa svilupparsi. Può voler dire che non siamo stati apprezzati come persona. Può voler dire che non siamo stati apprezzati nella nostra capacità di ideatori di contenuti, o realizzatori di visioni. In tutti questi casi (e altri), quale sia il motivo, si è fallito.

Ho miseramente fallito. Molte volte.

Certo poi ci sono elementi che possono rallentare o escludere collaborazioni. Come la distanza. Che è un elemento che pesa in modo considerevole. Ed il tempo, che molti e molte, hanno sempre contato e limitato.

In questi ultimi mesi mi sono concentrato su nuovi incontri. Alcuni si sono conclusi dopo il primo incontro. Altri sono proseguiti.

Ed ora mi accorgo che, non tanto le aspettative, quanto le richieste delle persone con cui mi sono rivisto mi chiedono di definire dei progetti, delle visioni. Non tanto delle strategie. Ma degli ambiti visivi in cui la collaborazione possa svilupparsi.

Personalissime Fotografie Personalissime Questo progetto è semplice e minimale. E impegnativo. Si tratta di lavorare su quelle che io chiamo “aperture” Aperture emotive e personali. Vuol dire permettere al fotografo di guardarti. Vuol dire permettere al fotografo di vederti. Come sei. Emotivamente e caratterialmente. Nei tuoi punti di forza e nelle tue debolezze. (Queste “aperture” non hanno niente a che vedere con il nudo. Sicuramente con il Corpo). Il set di lavoro può essere minimo e non è un elemento importante. I risultati visivi e di immagini possono sembrare ripetitivi. Ma non lo sono. Ed è richiesto un percorso di conoscenza anche interiore e personale che la modella fa.

Instagrammabili Fotografie #Instagrammabile #InstaFotografo

E' un ambito di possibile crescita professionale e di esperienza che non escludo e che perseguo. Molte persone, modelle e ragazze immagini, possono voler sperimentare delle collaborazioni che abbiano come obiettivo la produzione di foto da postare su Instagram. Ognuna con delle strategie personali diverse. Con la disponibilità di non comparire come produttore della foto. Quindi rimanendo nell'ombra. Molti utenti seguono le persone su instagram e vogliono vedere il loro punto di vista. Vogliono seguire quella persona. Non un fotografo che le ha fotografate. Anche in questo caso il percorso che si intraprende ha una finalità chiara: che può essere quella semplice di aumentare i follower oppure quella di sviluppare un profilo alternativo che metta in evidenza le differenze piuttosto che le analogie.

#FotoPerformance Fotografia di Performance

Si definisce con la modella o l'attrice o l'attore una Location. Si definisce (insieme) una storia e un background personale del soggetto che si interpreta. Ci si trova nella location e si riprende (non solo si documenta) la performance. Può trattarsi di un luogo pubblico o semipubblico. O di un luogo disabitato. E la storia può essere concordata. Può essere ideata dalla performer. Può essere ideata dal fotografo e accettata dalla modella o attrice.

La galleria di immagini che ne risulta assume un significato diverso rispetto al “semplice” ritratto. L'esecuzione ha degli elementi “disturbanti” che possono essere la presenza di un pubblico o di passanti.

E' adatta a modelle o attrici che vogliono sviluppare esperienze anche recitative e performative. E può aver un senso fare anche delle riprese video della performance.

FragiliFinzioni Corpi Parole e Finzioni – (Tutti Fragili) Questa categoria ha a che vedere con il video. E con la Parola. E gioca sulla e con la Finzione. Si chiede alla modella o all'attrice o attore di parlare di se. Di raccontarsi.

Ma di farlo in modo “protetto”.

L'attore o attrice fingerà di parlare di una terza persona. (La protagonista di un libro, la protagonista di uno spettacolo teatrale o cinematografico, la protagonista di una sceneggiatura) E parlando e raccontando com'è questo personaggio parlerà invece di sè stessa. E mescolerà finzione e realtà. Metterà in campo elementi che hanno segnato la sua vita (intima e personale) con elementi di finzione e di immaginazione personali. Il risultato è avvincente. Sia per chi si espone sia per chi guarda e assiste.

Singole Plurali

Tutte le precedenti categorie sono state prese in considerazione prevedendo la presenza di una sola modella o attrice o attore. Progettate per una sola attrice/attore o modella. Progettate per un solo fotografo o videomaker.

Tutte le categorie descritte Personalissime, #Instagrammabile #FotoPerformance e FragiliFinzioni possono diventare esperienze che coinvolgono una seconda persona. E questo cambia radicalmente le relazioni che si creano, le modalità operative e i risultati visivi che si ottengono.

Conclusioni

Le modalità di collaborazione quindi possono essere varie. C'è la disponibilità a lavorare anche su proposte e progetti pensati da terze persone o proposte e progetti pensati direttamente dalle modelle o attrici e attori. Come c'è la disponibilità a lavorare a progetti più complessi recitativi e performativi “collettivi”

Automatismi

Questa modalità e tipica del primo incontro. Si mettono in atto pose riprese da stereotipi visivi. Non ci si conosce. Non ci si fida. Non si conosce l'ambito in cui muoversi. E per il fotografo: non si conosce la disponibilità della modella. In questo caso ci si rifugia in modalità visive e operative durante il set che sono stereotipate e protettive per entrambi i soggetti. L'ho inserita come categoria in questa sezione. Ma in realtà riguarda il primo o il secondo incontro.

Poi ci sono Foto di Danza o Architettura. Ma per questi ambiti valgono metodi e approcci diversi.

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Cambiano i Media Ma una Modella e/o Attrice sempre lo stesso deve saper fare. Di Giorgio Viali 12 febbraio 2019

Qualcuno/a ha pensato di proporsi come Modella e/o Attrice nel passaggio da Media lenti e primitivi (come Teatro, Cinema o TV) a Media più veloci (Social Media e Instagram). Contando su uno spaesamento collettivo o su una perdita provvisoria di punti di riferimento. Le Visioni poi si sedimentano e rimane solo quello che ha sostanza, peso specifico, personalità.

Ovvero: Cambiano i Media ma se una Modella e/o Attrice sa posare o recitare ed ha qualcosa da dire lo si vede. E nel Mondo delle Immagini (che sia il Cinema o Instagram) contano sempre e solo le Stesse Cose!

Cosa differenzia le Immagini che Modelle/Attrici/Influencer postano su Instagram?

Tre Tipi di Immagine: – Immagini Fisiche – Immagini di Relazione – Immagine Corporee

  • Immagini “Fisiche” Immagini in cui la Modella si mette in posa per se stessa. La Modella si ritrae spesso allo specchio per un controllo, per verificare com'è il proprio fisico. Il proprio Corpo o il proprio Viso. La finalità dell'immagine è avere conferma o aumentare la propria autostima. L'Immagine sembra rispondere ad una domanda tipo: “Ho fatto un buon lavoro di alimentazione e/o di sport e allenamento con il mio Corpo e Viso?” “Il Filler che ho fatto (alle labbra, zigomi...) valorizza effettivamente il mio Viso” Sono immagini che non sembrano avere altra finalità da quella di un controllo del proprio aspetto. Le chiamo Immagine “Fisiche” perchè non c'è altro che il Fisico. ImmagineFisica (semplice) Poi: Immagini “Fisiche” (Mediate) Immagini in cui la Modella stà interagendo con qualcuno (che la sta fotografando o riprendendo). Una terza persona. Le Pose spesso sono eccessive e lo scopo è quello di mettere in evidenza la Bellezza del proprio Corpo e Viso per lo Spettatore di turno. Sono identiche alle precedenti #ImmaginiFicihe solo che in questo caso sono rivolte e finalizzate ad uno Sguardo esterno singolo. Il Fotografo di turno. La Modella tende in questo caso ad assumere pose innaturali o pose “da Modella”. La finalità di queste Foto è di avere un riscontro esterno alla Bellezza del proprio Corpo e Viso. “Guardami che Bella che sono” “Guarda che bel Corpo che ho” “Guarda che bel Viso che ho” C'è ancora in qualche modo solo una finalità legata ad una verifica e alla conferma che altri possono dare. E ad una sorta di riconoscimento “professionale”. ImmagineFisica (mediata)

  • Immagini di Relazione Immagini di Passaggio Immagini in cui la Modella/Attrice inizia un percorso di Ricerca sul proprio Sguardo/Viso e sul proprio Corpo. Possono essere immagini autoprodotte o immagini ottenute da uno Sguardo Esterno e Terzo. La Modella si affida alle richieste del Fotografo. O si concentra su un possibile risultato artistico. Si fida ed esegue quello che le viene chiesto o cerca (in autonomia) delle pose personali e significative. Percepite. Si differenziano dalle precedenti Immagini perchè c'è la scelta della Modella di fidarsi dello Sguardo di un Terzo o di fare un percorso di Ricerca. Non c'è più la finalità di una Conferma e di un Riconoscimento. C'è la consapevolezza di un Corpo e di un Viso. E la disponibilità ad un percorso di ricerca ImmagineDiRelazione

  • Immagine “Corporee” Immagini in cui la Modella/Attrice, abbandonata ogni ricerca di conferme e riconoscimento, si relaziona con il proprio Corpo e Viso in modo autentico, immediato e profondo. Si riconosce “vulnerabile” e fragile. E permette ad uno sguardo esterno (che non è più solo quello del Fotografo o di un singolo) di vedere i propri limiti, difetti, paure e desideri. C'è insomma la scelta di condividere con altri una parte profonda di sè. Una parte significativa della propria intimità. ImmagineCorporea

Ci sono poi Immagini Corporee che hanno a che fare con il Desiderio. Che partono da una dimistichezza personale con il Desiderio e il Piacere. Con la capacità della Modella e/o Attrice di vivere o aver vissuto esperienze legate al Desiderio e al Piacere. Da cui la consapevolezza, la scelta e la capacità di confrontarsi apertamente anche con il Desiderio altrui. ImmagineCorporea ImmagineDesiderio

Esercizio da fare come verifica: Ogni volta che guardate un'immagine su instagram provate a chiedervi se è un' ImmagineFisica o un' ImmagineDiRelazione o un' ImmagineCorporea La risposta arriva di solito immediatamente

  • Immagini Mistiche Altra categoria di Immagini. Ne parlerò altrove.

Archivio Testi Giorgio Viali 24 luglio 2018

Seno, Naso, Labbra, Capelli, Orecchie, Mento, Zigomi Di Giorgio Viali 24 luglio 2018

Cosa cerca un Fotografo/a, un'Azienda o un'Agenzia in una Modella? Cerca spesso qualità eterogenee e non coerenti e/o definite.

Guardano un Viso, un Corpo e si domandano: Questo Viso, questo Corpo ha dei Punti di Forza? Ha qualcosa di (visivamente) significativo? Avere dei punti di forza è importante. Il più delle volte è un dono. Altre volte, soprattutto per il Fisico, è il risultato di impegno e esercizio. L'importante è avere almeno un Punto di Forza!

I possibili Punti di Forza riguardano: il Viso, gli Occhi, la Pelle, il Fisico, le Gambe. La Pelle? Sì la Pelle del Viso o del Corpo.

Non si guardano e non si considerano Punti di Forza: i Capelli, le Labbra, il Naso, il Seno. Ripeto: Capelli, Naso, Labbra, Orecchie, Mento, Zigomi, Seno NON sono dei Punti di Forza di per sè!

Degli Occhi Grandi sono un grande Punto di Forza. La Forma del Viso è un altro grande Punto di Forza. Una Pelle del Viso senza imperfezioni è un altro grande Punto di Forza. Un Fisico Tonico e delle Gambe Lunghe sono un altro Punto di Forza.

Siamo partiti inevitabilmente dagli aspetti immediati e fisici. Chi ha un Bel Fisico ha un Punto di Forza Completo. Il Viso e gli Occhi richiedono altre Qualità!

Definiamo ora alcuni aspetti del Carattere (Visivo) della Modella. Definiamo quello che lo Sguardo della Modella deve far intravedere.

Gli aggettivi che troverete sono eterogenei! “Una Modella deve possedere: Semplicità, Leggerezza, Grazia, Innocenza, Incoscienza” oppure “Una Modella deve possedere: Profondità, Sensibilità, Altruismo, Generosità...”

Tutti aggettivi che si avvicinano, che percepiscono, ma ancora non centrano il punto. La Pubblicità, la Moda, la Fotografia cercano uno Sguardo che abbia una Sincera Fiducia nella Vita. Una inconsapevole, innocente, immotivata e semplice Fiducia nella Vita. Questo cercano e vogliono. Avere Questo Sguardo è avere qualcosa di estremamente prezioso.

Social Media e Punti di Forza di una Modella. Facebook è il Mondo dei Visi. Dei Primi Piani. Se avete un Bel Viso e Occhi significativi “esponeteli” su Facebook. Instagram è il Mondo mainstream delle Figure intere. Dei Corpi. Se avete un bel Fisico “esponetelo” su Instagram.

Se si è persa, o non si possiede, questa semplice e innata Fiducia nella Vita non tutto è perduto.

Per il Lavoro su: Astrazione nel Cinema e nella Fotografia Casting Cinema Fotografia Modella Attrice Fotomodella Casting

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Fotografia Cinema – Viso e Sguardo – Breve Guida per Modelle, Attrici (e Ballerine) di Giorgio Viali 4 maggio 2018

Breve Guida di Base: Tre Tipi di Sguardi Ci sono tre tipi di Sguardi che usualmente sono richiesti. A una Modella, Fotomodella e Attrice (e/o a una Ballerina)

Sguardo di Interazione #SguardoEsterno La Modella/Attrice interagisce con il Fotografo (o la Videocamera) o con altre persone sul set. Ha uno sguardo rivolto all'esterno e interattivo. C'è in corso un'interazione tra chi guarda e chi viene guardato. Lo si percepisce e lo si vede poi nella foto o nel video. E' lo sguardo che tutti sono in grado di usare spontaneamente.

Sguardo introspettivo #SguardoInterno La Modella/Attrice non interagisce con il Fotografo (o la Videocamera). La Modella/Attrice entra in sè stessa. Pensa e riflette. Come fosse da sola. Se richiesto riesce anche all'interno di sè stessa a visitare aspetti personali di insicurezza o debolezza che la rendono vulnerabile e aperta. Questo sguardo non è immediato. E' di grande resa

Sguardo Assente #SguardoAssente Alla Modella/Attrice può venir chiesto di essere completamente assente a sè stessa e al mondo esterno. La Modella/Attrice deve fare il vuoto dentro sè stessa. Svuotarsi completamente di emozioni e passioni. Tanto da risultare assente anche nella foto o nel video.

A una Modella/Attrice si suggerisce di respirare con la bocca. In modo da non tenere la bocca stretta e chiusa. Respirando con la bocca, la bocca sarà costretta a rimanere leggermente aperta.

Quando si chiede ad una Modella/Attrice di guardare in un certo punto non le si chiede uno Sguardo immobile e innaturale. Le si chiede di fissare un punto ma di gestire il proprio sguardo in modo che non risulti immobile. La Modella/Attrice deve tenere lo sguardo ma mentalmente immaginare che ci sia qualcuno con cui interagisce nel punto guardato. O immaginare che in quel punto stia succedendo qualcosa. Quindi modificare l'intensità dello sguardo.

In un mondo visivo dove non ci sono che Visi e Sguardi. Primi e primissimi piani. Dove prima del Corpo c'è e impera il Viso e lo Sguardo di una Modella Attrice è importante e fondamentale saper gestire il proprio Sguardo.

Fotografia Cinema – Viso e Sguardo – Breve Guida per Modelle, Attrici (e Ballerine) di Giorgio Viali 4 maggio 2018

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Una Guida per le Modelle Titolo: Come scegliere il Fotografo di Giorgio Viali 29 novembre 2017

Questa Guida per Modelle non si occupa di lavori commerciali o artistici retribuiti. La Guida si occupa delle occasioni che si presentano ad una Modella di lavorare con un Fotografo su progetti personali o artistici o di promozione che non hanno una retribuzione o solo un rimborso spese.

Primo consiglio per le Modelle: Spendete del tempo per informarvi sul Fotografo. “Non ho tempo per farlo!” “Sono troppo impegnata per guardare come un fotografo lavora” Trovate il tempo! (Scritto in minuscolo ma come se fosse scritto in maiuscolo) Questo non vuol dire guardare il profilo facebook del fotografo e contare quanti amici e che amici ha. Vuol dire guardare i suoi lavori.

Non avete idea di quanto tempo passo a guardare i profili delle Modelle e Attrici prima di contattarne qualcuna.

Come valutare un Fotografo?

Inutile dire che NON valgono criteri generici come l'ètà, gli anni di esperienza, l'attrezzatura fotografica, la grandezza dello Studio, la collaborazione con riviste e magazine, la bellezza del sito web del Fotografo, etc etc...

Ecco gli Elementi per valutare e scegliere un Fotografo: (In ordine alfabetico e forse di importanza)

Astrazione Nell'ottica di “costruire” un'immagine che abbia una “durata” nel tempo l'astrazione è una capacità del fotografo che si manifesta nella sua capacità di scegliere una scenografia astratta, un outfit “astratto” e uno sguardo anche questo astratto. Scegliere elementi che non siano legati visivamente a gusti e tendenze attuali e temporanei. Per far in modo che risalti e duri nel tempo uno sguardo (del fotografo e della modella) che astragga da elementi temporali e gusti legati al momento.

Consistenza Il Fotografo deve avere la capacità di realizzare non una singola fotografia ma una Serie di fotografie. Sullo stesso tema, con lo stesso stile, fotografie “omogenee”. Valutate che il fotografo non esibisca solo singole fotografie ma abbia realizzato e sia in grado di realizzare Gallerie di Fotografie che siano coerenti e omogenee. Gallerie di immagini che abbiano un senso, una consistenza e una coerenza in quanto molteplicità di fotografie.

Misticismo/Ossessione Un Fotografo è un Mistico. L'immagine è l'unica cosa in cui crede. Se non è un Mistico deve essere Ossessionato dalle immagini. Odi et Amo. Valutate che il Fotografo sia un Mistico o sia Ossessionato dalle immagini. Altrimenti lasciate perdere.

Progettualità Ogni Fotografo deve avere capacità di progettualità. Deve aver realizzato ed essere in grado di realizzare dei progetti che abbiano una consistenza visiva “ideologica” e una durata nel tempo. Può non essere determinante sapere se i progetti li ha sempre realizzati completamente e li ha sempre portati a termine o no. Deve avere e dimostrare una capacità di progettualità nel mondo delle immagini.

Tecnica/Profondità Se avete delle competenze tecniche fotografiche dovreste anche essere in grado di valutare le competenze tecniche del fotografo. Indicativamente dovreste valutare se le immagini hanno una qualche profondità o se sono piatte. Se c'è una capacità di Sguardo che costruisca una profondità nelle foto o sfuocando gli elementi o rendendo visibile la profondità intrinseca nel soggetto e nel contesto.

Ultimo elemento (NON per tutte le Modelle e Fotomodelle)

Ricerca/Sperimentazione Se vi contatta un Fotografo e non ha ancora una idea precisa e definita di cosa vuole realizzare non scartatelo automaticamente. Non dategli del non professionale. Ogni Fotografo può lavorare con il pilota automatico inserito oppure può lavorare facendo Ricerca. Lavorare con un fotografo su un progetto di Ricerca Visiva può non essere facile. E non tutte le modelle sono in grado di gestire momenti vuoti e incerti. E spesso non è detto che si ottengano dei risultati brillanti e convincenti. Non escludete però di lavorare su progetti non definiti e di ricerca.

Ci sono fotografi famosi. In questo caso non c'è bisogno di una valutazione preliminare. Si cerca di definire una data e un luogo certi e si cerca di evitare domande e conversazioni lunghe e domande inutili. Siate semplici e funzionali nel decidere luogo, data e modalità.

Elementi “secondari” per valutare: – Se un fotografo “macchia” ogni sua foto con il suo nome e logo potrebbe non aver rispetto del proprio lavoro. Qualcuno ha detto che la grandezza del nome o logo che il fotografo lascia in ogni sua foto è direttamente proporzionale alla sua insicurezza e mancanza di stile e bravura.

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TITOLO: ICONE QUOTIDIANE

AUTORE: GIORGIO VIALI

—– Release Info:

[ Type ......................................... Book ]

[ Title ............................ Icone quotidiane ]

[ Written by .......................... Giorgio Viali ]

[ Release Date ......................... oct 11, 2000 ]

—– Indice:

[ Prefazione......................................... ]

[ Capitolo I ....................... Brusco risveglio ]

[ Capitolo II .............. Rendering delle emozioni ]

[ Capitolo III ......................... Iconoclastie ]

[ Capitolo IV ................... Effetti collaterali ]

[ Capitolo V ............................. Asincronie ]

[ Capitolo V ....... FAQ (Frequently Asked Questions) ]

[ Capitolo VII ................ Pausa d'introspezione ]

[ Capitolo VIII ................................ Live ]

[ Capitolo IX .............................. Nofollow ]

[ Capitolo X ..................... Riciclare le icone ]

—– Prefazione

Il virtuale non esiste. Non c'e' alcun cyberspazio. La rete non esiste. Smettiamola di costringere in categorie ed icone confortevoli i sentimenti, le emozioni, i battiti e le pulsazioni che la popolano. Le paure, le incomprensioni, le diffidenze e le difficolta'. Desistiamo dal volerle capire. Dal voler dar loro una rassicurante definizione. Positiva o negativa che sia.

Ringraziamenti:

Ringrazio il professor Gianni Degli Antoni per la sua disponibilita' al dialogo. Arturo Di Corinto e Rosanna De Rosa.

Capitolo I —– Brusco risveglio

“Technology should be assumed guilty until proven innocent.” Jerry Mander

Nel virtuale credevamo di trovare un rifugio. Una dimora accogliente. Una: “Casa dolce casa”. Non e' stato cosi'. L'universo virtuale ci ha illuminato con i bagliori di un luna park e di una discoteca alla moda. E poi ci ha lasciato soli e indifesi. Ai margini di uno spettacolo finito. Con la bocca amara di parole e sogni. Difficile ora passare dalla globalizzazione al piu' incerto sentimento e impegno locale. Doloroso. Siamo pronti a tornare? O non vogliamo saperne di abbandonare questo territorio? Tutte le scuse sono buone pur di continuare ad abitarlo? Pur di continuare ad assaporare il potere di arrivare dovunque, comunque, indipendentemente da qualsiasi entita'?

E' come pagare un biglietto d'entrata per poter poi utilizzare liberamente tutte le giostre del parco giochi. Internet e' identica. Ci dimentichiamo spesso che abbiamo pagato per entrare. Che paghiamo ogni volta che entriamo. Ma fingiamo di stupirci ogni volta che riusciamo a procurarci qualcosa di “gratuito”. Abbiamo gia' pagato! Paghiamo comunque un prezzo d'entrata. Un prezzo che ci assicura ore o giornate d'utilizzo di tutti i divertimenti del parco.

Internet e' uno strumento potente. Potente anche nella sua capacita' di distanziarci da noi stessi.

Tutto e' apparentemente a portata di mano. Tutto possiamo avere. In cambio paghiamo con il nostro tempo, la nostra attenzione, l'uso di un computer e di un sistema di comunicazione.

Tra bazar e cattedrali virtuali. In una vita acquistata in leasing. Gestita in outsourcing. In un'informazione che diventa intrattenimento. Senza piu' cultura.

Un'esistenza sempre piu' ai limiti della poverta'. Meno sicura e affidabile di quella cui finora siamo stati abituati. Relazioni multiple. Lavori multipli e contemporanei.

Nessuno ci togliera' la nostra connessione. Quella ci sara' garantita vita natural durante. Ci seguira' comunque. Servira' per lavorare. Servira' per stabilire come e cosa consumiamo. Servira' alle aziende per controllarci. Facciamo parte del loro patrimonio. Riportare e rilevare le nostre abitudini. Registrare e definire i limiti della nostra sopportabilta'. La nostra capacita' di adattamento.

Illudersi ogni volta nuovamente che le cose possano cambiare. Che la tecnologia di turno possa sovvertire le strutture e le icone di potere e di violenza attuali.

Illusione della fine del lavoro, della scoperta di un metodo per rendere la societa' migliore, piu' equa, piu' giusta. Illusioni di inizio millennio. Spiacevole ammetterlo. Nulla e' cambiato.

Qualcuno di noi ha iniziato a giocare con nuovi strumenti. Ha iniziato a giocarci. Ad imparare come funzionano. Se ne e' innamorato. Ed ad oggi e' in grado di maneggiarli con precisione ed accuratezza. A volte come un bisturi, a volte come un microscopio, a volte come un libro. Abbiamo imparato a muoverci in questo nuovo ambiente. A conoscerlo. Ad apprezzarlo. Ad abitare la rete. Alternativa a tratti, irriverente, sovversiva, mutante. Ma abbiamo ben presente, e la nostra eta' ce lo rammenta, quanto poi difficile siano effettivamente i cambiamenti.

Nello spazio della disillusione mi aspetto che le persone possano raccogliere grandi frutti per se stessi. Per la qualita' della loro vita.

Che sappiamo dove procurarci il pensabile e l'impensabile, che sappiamo dove cercare informazioni che ci incuriosiscono, come creare informazioni, questo non cambia molto le cose. Il lavoro minorile, lo sfruttamento, l'ingiustizia, la diseguaglianza non ne risentono. La nostra capacita' di dilettarci con un giocattolo proteiforme non aiuta.

La nostra societa' tende come sempre a confinarci in un ambiente ludico. E con internet ci riesce in maniera egregia. Siamo stati catapultati in un universo ludico virtuale e artificiale. Nessuno dovra' ora preoccuparsi del nostro eventuale raggiungimento di un'ancora piu' lontana maturita'.

Nelle pieghe della rete, nelle zone d'ombra dove le scenografie all'improvviso finiscono, si riescono ad intravedere territori sovrappopolati. La solitudine. La ricerca disperata di relazioni, la ricerca di qualcuno con cui parlare. Con cui condividere qualcosa. Nelle pieghe della rete si intravedono delle piccole imperfezioni. Stiamo popolando uno spazio virtuale, una metropoli virtuale dove il dolore, la solitudine, l'incertezza, la precarieta' regnano sovrane. Solo che, volendo, possiamo permetterci di far finta che sia sempre domenica. Che sia sempre festa. E continuare regolarmente a visitare gli ordinati e puliti portali d'informazione e di news. Dove siamo sicuri di trovare sempre il nostro oroscopo aggiornato e notizie fresche di stampa. Da sorseggiare con tranquillita' e con sicurezza.

Animali da macello. Curati. Controllati. Accuditi. Tutelati (vedi tutela della privacy). Ma merce. Merce di scambio. Oggetti di scambio. Inesorabilmente.

La tanto osannata comunicazione nel netmedia non esiste. E' un'invenzione. L'aspetto passivo della lettura, dell'osservazione, del guardare e' di gran lunga il piu' importante. Comunicare e' tutt'altra cosa dall'accedere alla rete.

La storia e' sempre stata una storia di accessi consentiti o negati. Le modalita' dell'accesso all'informazione si modificano. Nuovi strumenti di produzione e di scambio dell'informazione hanno consentito l'accesso a un maggior numero di persone. La rete consente un accesso a molte piu' persone ancora. Ma e' un accesso virtuale.

Knowledge workers. Lavoratori della conoscenza? Si tratta in realta' semplicemente di un lavoro di assemblaggio. Questo descrive correttamente la nostra nuova modalita' di produzione. Non siamo fisicamente in una catena di montaggio. Ma in una catena virtuale di assemblaggio. E se il nostro lavoro fosse solo un lavoro di traduzione potrebbe avere una sua dignita'. Invece ha a che vedere con una ricerca delle informazioni e poi con un lavoro di copia e incolla. Knowledge workers. Bello il termine indubbiamente. Ma attenzione al contenuto. Nella maggior parte dei casi nasconde semplici operazioni di assemblaggio. In una fabbrica virtuale. Che ha orari, regole precise, divise talvolta. Divise. Virtuali anche queste.

Pronti per l'ennesima trasformazione virtuale? Siamo pronti a trasformarci ancora una volta, da attori ormai consumati, in profondi sostenitori delle proprieta' salvifiche della rete. Di internet. E come fare altrimenti con chi arriva ora? Cosa raccontare a queste persone? Ci vorrebbe tempo. Tempo e voglia. Per condurli passo passo a conoscere i morti e i perdenti di questa battaglia. Di questa guerra dell'informazione. Non ci sono infermiere virtuali. E la morte proprio perche' virtuale non ha bisogno di becchini.

Ma anche un mondo virtuale, artificiale, un luogo di divertimenti alla lunga stanca, genera tensione, genera risentimento. Come sempre una mattina ci si sveglia e si decide di andare a divertirsi e si scopre che al mattino ci sono solo le persone che puliscono il parco. Gli addetti alle pulizie, che lavorano alacremente per presentare il parco pulito e irreale. Per garantirci un altro giorno di infanzia.

Capitolo II —– Rendering delle emozioni

“Even if you are using a perfect network of remailers, you can still be tracked.”

Le emozioni sono sempre rintracciabili. Si trasformano. A volte in traumi psicologici, altre volte in malattie. Lasciano sempre un segno. Delle tracce. (Rendering: termine inglese che indica la rappresentazione e l'ombreggiatura di un oggetto virtuale).

Ci sono paure? Nel mio rapporto con la virtualita'?

Le paure si innestano, crescono e si nutrono con qualsiasi cosa venga loro vicino. Sanno riprodursi velocemente e viaggiano a velocita' di due megabit al secondo. Una larghezza di banda sufficiente per qualsiasi programma multimediale.

Quali sono le mie paure? Le mie paure legate al virtuale? Ho paura di rimanere escluso da questo nuovo modello comunicativo. Ho paura di non saperlo usare correttamente. Ho paura di non essere aggiornato. Ho paura di non risultare al corrente delle ultime novita'. Degli ultimi servizi. Di non conoscere come ottenere qualcosa. Di non saper dove cercarlo. Dove o come cercarlo.

Ho paura di non essere un protagonista. Un attore. Di dover essere sempre e comunque uno spettatore.

A tratti ho paura ad ammettere che gran parte di quello che trovo su internet non e' essenziale. E' superfluo. Non fa parte di quello di cui necessito. E' un surplus. Paura di ammettere che l'85% della popolazione mondiale non ha mai utilizzato Internet. Paura di dover ammettere di essere, ancora una volta, privilegiato. Di poter disporre ed occuparmi di qualcosa che non e' essenziale. Ho paura di dover ammettere di buttar via del tempo. Di sprecare a volte ore ed ore a gironzolare qua e la' senza meta. In un peregrinare senza limiti, e senza senso. Solo per monitorare i cambiamenti. Per tenere d'occhio la bestia. Per osservarla nel suo crescere.

Un'ansia profonda e un'incertezza tutt'altro che virtuale irrompe a tratti e mi invade. Un senso profondo di angoscia. Di incertezza. Sul futuro e sul prossimo e immediato presente. Sulla necessita' di porre in essere un impegno. Ma non sapere per quale impegno spendere parte delle proprie energie. Non saper decidere. Non sapere quale sia la scelta migliore.

La rete. Inutile! Ogni volta che devo parlarne una chiara e forte vibrazione mi scuote in profondita'. Questo ambiente di vita cattura la mia immaginazione e i miei sentimenti. C'e' il desiderio di abitare indefinitamente in questo ambiente. Di operare affinche' al suo interno si creino delle zone di autentica comunicazione.

Abbiamo investito in questo ambiente una carica emotiva cosi' grande che difficilmente riusciamo ora a staccarcene. La rete come simbolo di un nuovo mondo. La rete come nuove opportunita' di sviluppo. La rete come luogo di una democrazia possibile e di un mondo dove la poverta' non esiste. Da dove nasce questo nostro profondo attaccamento? O forse piu' correttamente: quanto eravamo soli e insoddisfatti per aver bisogno di investire emozioni e sentimenti tanto potenti e forti?

Amo questo ambiente. Lo amo profondamente. Ho investito pesantemente in questo ambiente. Ho investito tempo, emozioni e parte della mia vita. Ho investito tutte queste cose con convinzione.

Ho paura. Ho paura che la rete possa modificare la mia vita? No. Non solo. Non e' questo che mi spaventa. Sono abituato ai cambiamenti. Ho paura che la rete mi obblighi a prendere delle decisioni che regolarmente preferisco non prendere. La rete mi da' piu' potere e maggiore responsabilita'. Mi permette di scegliere. Mi permette non solo di schierarmi, ma mi permette di imparare. Imparare a crescere. Imparare ad entrare in contatto. Imparare ad aiutare. A non nascondermi.

E dall'altra parte la rabbia, l'angoscia, l'insoddisfazione di un circuito vizioso. Un girare intorno senza meta. Un visitare le solite cose. E un rimanere intrappolato in abitudini acquisite. In un gioco conosciuto. E non volerne uscire. Per non incontrare ancora l'angoscia, l'insoddisfazione, la paura che governano anche questa virtualita'.

In questo mare in cui ci muoviamo e' facile lasciarsi andare alla deriva. In questo ambiente simile al mare, alle sue onde, lasciarsi trasportare sembra un destino inevitabile. Ogni giorno il disertare gli impegni, il rinunciare alle fatiche sembra allettante. L'abbandonare i progetti alla deriva del mare, lasciare che sia lui ad occuparsi delle nostre idee, dei nostri pensieri, dei nostri obiettivi sembra sempre piu' la soluzione migliore. Abbandonarsi. Arrendersi. Alla forza potente dell'ambiente, della natura, della cybernatura. E' dolce questo non remare. Questo farsi trasportare. Questa rinuncia cosciente e volontaria a qualsiasi impegno, rotta o direzione.

Voglia anche di piangere. Profondamente inondare i propri occhi di lacrime. Liberatrici. Questo nuovo ambiente e' fonte inesauribile di comportamenti automatici che mettiamo in atto inconsapevolmente. Piangere. E liberarsi di un rumore insistente di fondo che non siamo piu' in grado di reggere. Di un'intensita' che non ci appartiene. Che ci trasforma in meccanismi e nasconde il nostro lato umano.

Voglia di rompere. Di rompere con questo falso legame. Con questa catena virtuale. Che mi divide. Mi duplica. Mi clona incessantemente. In una duplicita' di sensazioni, emozioni, riflessioni, che contemporaneamente sono sbagliate e giuste. Sono a tratti giuste ed a tratti falsamente interpretabili. Abbiamo accettato di duplicarci. Di clonare il nostro io entrando in questo territorio. Ma come fare ora a sopravvivere a questa impossibile lontananza da ciascuno dei nostri io? Come interagire con noi stessi? Dove ritrovare e come ricombinare gli elementi sezionati, infranti, disseminati nel cyberspazio e nella realta'? Come e dove raccogliere e ordinare il tutto? Condannati a una vita divisa. Schizofrenica. Precaria. Incapaci di definire il rapporto che ci lega con il nostro io e la nostra sempre piu' improbabile socialita'. Il pensiero e' stato frammentato. Distrutto. Polverizzato. Mercificato. E' definitivamente inutilizzabile. Out of service.

Capitolo III —– Iconoclastie

“Stinky INPEG bums, get out of here. We hate you. The Czech workers and miners hate you too. Go to your mums and never come back again. Every Czech hates you, bastards.” prague2000cz

Sentimenti ed espressioni di insofferenza, di incomprensione. Di negazione. Di ideologia pura o di cruda sovversione.

Sono a tratti insofferente. Per ogni tipo di regola. Per ogni tipo di convenzione. Mi irritano. Come mi irritano le persone che si ergono a difesa dei diritti degli indifesi. E lo fanno con tracotanza. Senza conoscere e apprezzare l'umilta' richiesta da questo tipo di lavoro. Nella rete a volte mi imbatto in considerazioni e giudizi pesanti. Scopro critiche taglienti e giudizi altrettanto taglienti. Mi soffermo e mi incuriosisco. Mi stupisco sempre della possibilita' che la rete ci offre di essere irriverenti. Di essere offensivi. Ideologici. Parziali.

La rete non esiste. La rete non e' mai esistita. La rete e' un'icona.

Una cultura delle Icone. Dei Simboli. Dei martiri. Cosi' si sta sviluppando la tecnologia. Quando si sviluppa senza una corretta coscienza tecnologica. Uno strumento potentissimo. Intrinsecamente autoritario. Il potere appunto delle icone.

Non sopporto i luoghi chiusi. Le divise. Le corporazioni. Gli ambienti di lavoro pubblici. I comuni. La rete, le reti mi permettono di scaricare la mia rabbia sugli altri.

Indymedia Italia. Un'esperienza sbucciata. Spuntata. Una reclame istituzionale della proliferazione delle clonazioni. Uno schiaffo all'indipendenza. Ai percorsi autonomi e alla ricerca personale e locale. Mi scuso se non dovesse essere cosi'. Questo e' quello che mi pare di capire.

Uno stimolo a smontare quell'esperimento e rimontarlo. La rete dovrebbe averci insegnato che i ruoli sono fluidi. Dovrebbe esserci la possibilita' di modificare velocemente struttura. Pelle. Consistenza. La velocita' in questo tipo di cambiamento e' essenziale. Altrimenti ci si ingessa in soluzioni che diventano insopportabili. Un elogio della velocita' Ed insieme un elogio della lentezza. Lentezza nella riflessione. Nel pensiero. Che e' e rimane analogico. Velocita' nel togliersi dalle scatole nel momento in cui siamo fuori luogo. O nel dichiarare chiuso un periodo e un tentativo.

Stop cyber Basta! Non lo sopporto piu'. Sto maturando un'allergia potente verso questa parola. La prima cosa che ho pubblicato online si intitolava Cybma. Una contrazione di cyber e mantra o manifesto o manuale a seconda dei casi. Pensavo di intitolare anche questo libro Cyber-*. Ci ho ripensato. Cos'e' questo cyber? Questo cyberspazio? Che qualcuno si e' inventato come un bosco incantato dove si nascondono le fate e i folletti. Non esiste alcun cyberspazio.

L'ho detto. Finalmente l'ho detto. Non esiste alcun cyberspazio. Nessun universo virtuale. Ci sono gli uomini. La loro ricerca di una vita migliore e gli strumenti che producono. Nessun cyberspazio all'orizzonte. Bene allora posso decidermi ad uscire e riprendere tranquillamente a camminare e a muovermi. Pericolo scampato.

In natura gli animali predatori sono soliti aggredire e sopprimere gli organismi e gli animali piu' deboli. Quelli piu' giovani o piu' vecchi. Quelli ammalati o privi di un ruolo specifico all'interno di un gruppo. I movimenti internazionali di protesta nati a Seattle si muovono con la stessa logica. Condividono con gli animali di cui sopra gli obiettivi e le strategie. Favorendo quella che si chiama, con un pizzico di eufemismo, selezione naturale. Come collocarsi tra i grandi mammiferi, i predatori di vario genere, all'interno di questo ecosistema complesso e variegato? Non e' facile. E' difficile. Rimane sempre poi l'attenzione e la curiosita' mediatica di seguire “live” gli appostamenti, gli agguati, il sangue dell'animale aggredito. Il fallimento o la riuscita della caccia. Da non perdere. L'interessante invece e' incunearsi tra i due schieramenti. Ricoprire il ruolo dei media. Asettici e spettatori di quello che accade. Imparziali. In mezzo. Per fare informazione.

Praga. Uno scontro che a mio avviso ha soprattutto una valenza funzionale. Metaforica. Aggiungere un'icona a quelle preesistenti che comprendono Seattle, Davos, Genova, Bologna, Melbourne. Icone. Ognuna con un proprio colore e con un proprio bollettino di vittorie e sconfitte. Come le medaglie sulla divisa di qualche ufficiale.

Ennesimo e potente simbolo del nuovo capitalismo, la rete si e' trasformata in un enorme centro commerciale. Uno Shopping mall universale. L'entrata, inutile dirlo, e' gratuita. E nessuno si meraviglia che lo sia. Un centro commerciale e' costruito appositamente per attrarre visitatori. L'alta concentrazione di negozi al suo interno assicura che i visitatori spendano comunque.

Capitolo IV —– Effetti collaterali

“We regard the Internet as the next utility. Just as you now expect to have water and electricity in a house, in the 21st century the Internet will be just another utility that gets people through the day.” Rob Sprenger

La rete dovrebbe essere somministrata solo sotto il diretto controllo di uno cyber-psicologo. Non si dovrebbe mai interromperne improvvisamente la somministrazione. Gli effetti collaterali della somministrazione sono di vario tipo e varia intensita'. I disturbi frequenti sia all'esordio che durante il decorso della malattia presentano entita' assai variabile.

Non sono piu' in grado di spingere. Preferisco stendermi ed attendere. Lasciare che tutto scorra. Che tutto passi. Assistere. Passivamente. Assecondare l'inerzia. E al di la' di un'icona, un mondo in movimento frenetico. Un'infinita' di notizie. Un'infinita' di percorsi possibili. Un'infinita' di possibili esperienze. Un'infinita' di possibili incontri. Un'infinita' di possibili scelte. Scegliere in internet e' un'attivita' che spesso passa inosservata. Cliccare su un link rappresenta una scelta. Visitare un sito rappresenta una scelta. Preferire un sito ad un altro ci rappresenta. Ci simula. Ci riflette. Dove andremo a specchiarci oggi. Su quale sito? Su quale portale?

Sento l'onnipotenza che il virtuale mi concede. Il potere di cercare, di rintracciare, di scavare nel passato, negli sgabuzzini, nei ripostigli, nell'immondizia delle news archiviate e in decomposizione. Il potere di contattare qualsiasi persona di cui io abbia l'email. Di poter entrare in contatto. Questo potere me lo concede anche il telefono. Ma l'email mi permette una modalita' virtuale di contatto. Dove la mia voce non entra direttamente in gioco. Dove la lontananza e' maggiore e il distacco accentuato. Questa distanza mi protegge. Mi rassicura. Mi ripara.

Un hacker dell'informazione. Un hacker di nuova generazione. Dell'infoware. Che non si sporca con i codici e con linguaggi di programmazione. Il genio del male allo stato puro. Pronto a incunearsi nelle piccole zone d'ombra che inevitabilmente ogni azione umana lascia dietro di se'. Si' perche' con le email e con il web, con la capacita' di formulare le domande esatte e con la capacita' di guardare nel posto giusto, tutto si apre incantevolmente ai nostri occhi. L'universo e' completamente in nostro potere. Tutto e' sotto il nostro controllo. Siamo onnipotenti. Onniveggenti. Tutto possiamo. Tutto possiamo raggiungere ed ottenere. E allora perche' non prenderci gioco degli strumenti tradizionali ed istituzionali delle fonti informative?

Vorrei poter accedere a tutte le informazioni possibili e immaginabili. Entrare ovunque e accedere a tutto quello che e' dato. Che e' immagine. Che e' video. Entrare dappertutto. Poter essere connesso in tempo reale a tutto. Sempre e comunque. Possedere quest'interfaccia interiormente. Non dover azionare dei meccanismi esterni. Accedere e basta. Esserlo sempre e comunque. Una vita potente. Possente. Una connessione ininterrotta.

Dove andare a sbattere la testa? Imboscarsi in qualche download di file o incunearsi in qualche ricerca estrema e voyeuristica dentro un motore di ricerca. Meglio che attendere il tempo necessario per il download di un pensiero autonomo. Meglio dell'impegno necessario per crackare un'ideologia. E allora vai col find. Dentro i motori di ricerca. O con programmi sempre piu' specializzati in compiti atomici e nucleari. Il nucleare? Non volevamo abolirlo? Non c'e' solo una cultura, reale, fisica, del nucleare. Ci sono strumenti di analisi nucleare e scissione nucleare dell'informazione. Generano potenti ondate di energie ed emozioni. Stimolano la lettura e rimpinguano i portafogli degli editori. Hanno pero' molte controindicazioni.

La nostra insoddisfazione nella nostra esperienza online si riflette concretamente nel nostro stato d'animo. Nella nostra capacita' di attenzione. Nella nostra capacita' di relazionarci con gli altri. La passivita', reale o virtuale che sia, genera traumi. Insoddisfazioni. Accresce le paure.

Un aumento del rumore e dei contatti a cui siamo sottoposti. Fra alcune decine di anni i nostri nipoti vedranno sempre meno stelle nel cielo, causa una sempre maggiore luce presente nelle nostre citta'. Un maggiore inquinamento luminoso. Saranno sottoposti anche ad un maggiore inquinamento da informazione. Che impedira' loro, sempre piu', di trovare del tempo per ascoltare se stessi.

L'accelerazione con cui entriamo nella rete e' sorprendente. Una volta entrati rimaniamo sospesi nel vuoto e percorriamo con lo sguardo l'orizzonte. Compiamo manovre ed azioni che avevamo solo sognato. Un avvitamento, un doppio looping, un'imbardata laterale prima di uscire. Di sconnettersi. Un'altra giornata da top gun.

La nostra insofferenza verso i rapporti personali. Verso la comunicazione. Le difficolta' insite al suo interno. L'inerzia da evitare. Questa nostra avversione si palesa chiaramente quando decidiamo quali strumenti di ricerca adottare. Si palesa nella nostra completa fiducia negli strumenti automatizzati. Nei meccanismi. Negli automatismi. Come ad esempio i motori di ricerca. Affidabili e potenti. Sicuri e fedeli. Soprattutto, non umani.

Leggere, leggere, leggere e ancora leggere. Riempirsi di inutilita' al solo scopo di esplodere. Incapacita' di fermarsi. Incapacita' di accorgersi della saturazione ormai vicina. Siamo senza dispositivi di autoregolamentazione. Incapaci di smettere. Come bambini che continuano a mangiare fino a riempirsi e a vomitare. Insopportabili Siamo tutti degli amanti e ricercatori appassionati di notizie. Voyeur dell'ultima notizia. Come chiamarla? Questa controindicazione? Newsfilia? Niente a che vedere con la pedofilia naturalmente.

Capitolo V —– Asincronie

“Not the number of users, but the time spent on the Web, determines how successful a nation is in using the advantages of the Internet.” John Gantz

Messaggi che ci giungono. Diversi da quelli usuali. Sembrano a prima vista incongrui. Provocatori. Ci incuriosiscono. Ci stupiscono.

Attenzione Materiale altamente deperibile. Materiale altamente inquinante. Non biodegradabile. Ad alto contenuto di elementi tossici. Leggere attentamente la data di scadenza sul retro della confezione. Tenere lontano dalla portata dei bambini.

C'e' un presente anche online. E' il momento in cui leggiamo l'informazione. Una volta letta, l'informazione diventa obsoleta, passata. Spazzatura. Immondizia.

Il momento in cui leggiamo un'informazione online rappresenta il nostro presente. Ci giochiamo tutto in quegli attimi. In come leggiamo. In quanto leggiamo. In quali sono le informazioni che leggiamo. In quali sono le nostre reazioni alle notizie. Il nostro presente in rete e' rappresentato da quello che stiamo facendo. C'e' un attimo fuggente anche online. E non e' virtuale. E' reale. Sta a noi decidere come utilizzare quegli attimi. Se semplicemente come consumatori. Consumando avidamente news e news. O come lettori attivi. Che interagiscono con le notizie. Come attori. Persone che costruiscono qualcosa online. Che diventano agenti, faber virtuali del loro destino. Ma come essere attori, agenti nel virtuale?

Si puo' decidere di pubblicare online le foto delle proprie vacanze. Si puo' decidere di pubblicare online i propri pensieri. Le proprie riflessioni. Oppure l'impegno. Nell'evidenziare le forze inerziali. Le aperture che si riescono a intravedere o realizzare in un tessuto, in una trama densa e spessa.

Una cooperativa che si occupi di riciclare le informazioni inutilizzate. Di rifarle circolare. Di generare del valore aggiunto dagli scarti e dagli avanzi di una societa' opulenta. Possibile?

In internet i contenuti sono mutevoli. Non si e' sicuri di poter ritrovare quello che abbiamo appena letto. C'e' una precarieta' di fondo che assomiglia molto alla realta' della vita. E alla sua mutevolezza.

“If you are so against econ. globalization, then why do you use the net? Huh? I mean, the net is one of the greatest products of econ. globalization!! Please, wake up and stop your insanity, because it isn't going to work!”

“Orari sfalsati, flessibilita' ad oltranza, tempo parziale, impiego mobile del tempo, utilizzo del lavoro interinale fino al 30% o addirittura al 40% degli effettivi, bassi salari, gerarchia opprimente, fanno parte del quotidiano di buona parte di questa truppa della “nuova economia”. La concentrazione – per motivi di redditivita' e di economie di scala – di centinaia di salariati nel medesimo sito, allineati in sale immense, con il casco fissato alle orecchie e il naso incollato allo schermo del loro computer accentua il carattere opprimente di queste fabbriche del terziario dei tempi moderni.” Le monde diplomatique – Maggio 2000

“The extraordinary security measures in Prague are indicative of the increased surveillance and repression of activists worldwide, as law enforcement agencies cooperate to combat a new, increasingly mobile army of dissent.” Sarah Ferguson

Informazioni cresciute velocemente grazie a concimi chimici e in tempi rapidi. Per esigenze commerciali. Informazioni brevi. Leggibili. Come per la buccia dei pomodori. Informazioni facilmente deperibili. Con un tempo di vita medio di poche ore.

Capitolo VI —– FAQ (Frequently Asked Questions)

“A FAQ (rhymes with “back”) is a collection of the questions our users ask most often, and their answers. This is a great place to start looking for the solution to any trouble you're encountering.”

Cosa vogliamo? Cosa cerchiamo nel virtuale?

Come possiamo organizzare la nostra vita online? Quali percorsi scegliere? Quali fonti informative privilegiare?

Perche' siamo online? Perche' rinunciamo a una parte di vita reale per abitare un universo virtuale?

A cosa ci serve quest'informazione? Che tipo di informazione ci serve? Chi gestisce l'informazione online?

Quali sono le scelte significative nella nostra esperienza virtuale? Ci sono scelte che ci sono ancora concesse? Quali? Se scaricare una canzona di Madonna o una dei Metallica? Se leggere le news sulla CNN o su Repubblica? Se preferire Explorer o Netscape o Opera? Quali giochi scaricare? Quali programmi vale la pena di crackare? Sono forse queste le scelte che ci sono concesse?

Com'e' il nostro rapporto con il virtuale?

In un mondo fatto di icone. Diventare un'icona? Una maschera. Una metafora. Un personaggio. Recitare una parte? Simulare con convinzione? Oppure?

Perche' allora non fare il giullare? Raccontare le curiosita', le amenita' della rete. Le stranezze, le novita'?

Potrei mai rinunciare a tutta questa tecnologia? Potrei mai rinunciare alla rete?

Internet ci ha trasformato in “Nuovi consumatori”? Consumatori di news, di informazioni, di servizi gratuiti, ... Come interagire con questa “nuova merce”? Come spendere il nostro tempo e la nostra attenzione in questo nuovo ambiente?

Quali utopie si nascondono all'interno della rete? Quali mitologie vale la pena di contestare?

Come sviluppare in rete una “nuova comunicazione”?

La rete e' ancora uno strumento possibile per operare alternative? Come dovrebbero organizzarsi per sopravvivere in Internet?

Globalizzazione. Cos'e'? Cosa significa? Per modificare cosa? Per sovvertire quali poteri? Per quale politica?

Come si sviluppera' nei prossimi anni la rete? Quali nuovi spazi si apriranno?

Che fare? Distruggere la rete? Sabotarla? Minarne il funzionamento alle basi? Quali altre alternative abbiamo?

E' possibile un'esistenza analogica nell'ambiente virtuale?

“If you cannot find the answers to your questions in these FAQs, please see the Technical Support Pages for other ways to find your answers.”

Capitolo VII —– Pausa d'introspezione

“Be coeherent (and be 'hard', man: real seekers are quite concentrated fellows) write down your target and go for it (and NOTHING else until you find it!) “ Fravia

Bisogna spingere la nostra capacita' di introspezione in profondita'. Utilizzare tutti i possibili strumenti e le possibili tecniche per mettersi in pausa ed approfondire le nostre modalita' di comportamento.

“Devote a minimum of 30 minutes and a maximum of 60 to your search session, that's the best time range IMO, less isn't enough and more bores. Remember also that real queries are made in phases: phase one is 'broad', after a while (say a week, you must first digest and understand what you found) you go for a more concentrated approach, and then, last phase, you really find what you wanted (after having perused the newsgroups and searched the archies).” Fravia

Ripensare a come e' iniziata la nostra esperienza virtuale. Ai primi momenti. A cosa ci ha spinto ad entrare. A provare. Cercare di evidenziare se nell'entrare ci siamo portati emozioni, paure, aspettative. Verificare quali erano. Verificare come si sono trasformate queste emozioni.

Adottare le tecniche di rebirthing.

“Nata in California negli anni Settanta a opera di Leonard Orr, questa tecnica si propone di far rivivere (da qui il termine Rebirthing che in inglese vuol dire rinascita) il momento traumatico della nascita e di superarlo per accrescere la propria consapevolezza e imparare a convivere con le proprie emozioni.”

Rivivere i traumi della nostra nascita virtuale. Possibile?

Moderare la velocita' virtuale. Imparare a eludere gli stimoli all'accelerazione. Almeno fino a quando non riusciremo a reggere una velocita' maggiore.

Limitarne l'uso.

E' un alimento molto raffinato. Non contiene proteine. Non contiene carboidrati. E' solo un dolcificante. Uno zucchero. Molto raffinato. Bisogna limitarne l'uso.

Bisogna adottare una velocita' di utilizzo minore. Imparare a muoversi con una velocita' minore. Con lentezza. I cortocircuiti sono frequenti e possibili. Generano sofferenze. Traumi.

Deframmentare. Impostare una periodica e costante deframmentazione onirica. Prevedere il tempo per dormire. Sufficientemente. “L'Utilita' di deframmentazione dischi riorganizza i file, i programmi e lo spazio non utilizzato sul disco rigido del computer in uso, in modo da velocizzare l'esecuzione dei programmi e l'apertura dei file. A una maggiore frammentazione del volume corrisponde una peggiore qualita' delle prestazioni del computer in termini di input/output dei file.”

Sedersi. Piedi a terra. Fare le radici. Radicarsi. E poi chiedersi cosa ci interessa. Adoperare questo strumento potente per creare percorsi non di business, ne' alternativi, ma personali. Umani. E univoci.

Porsi con distacco di fronte alla nostra attivita' online e guardarla dal di fuori. Fermarsi a pensare a cosa facciamo quando siamo online. Chiederci che cosa cerchiamo online? Non barare. Acquisire maggior sicurezza. Per non agire solo in base alle paure. Ma in base a autentici desideri e speranze.

Provare a utilizzare tecniche e strategie di hacking per entrare in se stessi. Metterci l'impegno e la tenacia che utilizziamo per quell'attivita'. Un routing del dolore. Un ping delle emozioni. Per verificare direttamente le zone attive. Per individuare le matrici.

“Brain. And hands. Brain for thinking, hands for typing. And believe me or not, I'm not gonna explain =P. Besides, all the sources are in front of you. They're not crypted in any way. Explore them and learn if you really want to.” Ivanopulo

Decostruire richiedera' molto tempo. Non per il gusto cinico di distruggere quello che e' stato costruito. Ma per riprendere le redini della nostra vita. Riconsiderare le cose reali, e presenti. Riordinare il tutto. Riprendersi dalle visioni. Riprendere fiato. Ricominciare a respirare l'ossigeno reale. E assaporare ritmi e frequenze piu' alla nostra portata.

Sciogliere i blocchi, permettere all'energia di scorrere liberamente e di fluire dalle mani come vibrazione terapeutica. Ne deriva un maggior vigore fisico, una migliore resistenza alle malattie oltre che una migliore predisposizione positiva che combatte efficacemente ansie e stress.

Capitolo VIII —– Live

Sono seduto davanti al computer. Tastiera ben posizionata per una scrittura comoda. Piedi a terra. Entrambi. Schiena diritta. Eccomi pronto per fare domande. Per ottenere le risposte.

Come vorrei questo libro? Intelligente? Forse non e' la cosa piu' importante. Come vorrei questo libro? Autentico? Autentico. Non simulato, non finto, non costruito. Che possa raccontare un percorso.

Perche' scrivo questo libro? Per uscire dall'isolamento. Vorrei fosse l'occasione per aprire dei dialoghi. Vorrei fosse l'occasione per condividere con altri situazioni e sensazioni.

C'e' un grande senso di impotenza nel rapporto che vivo quotidianamente con l'accesso. Impotenza. E un pizzico di rassegnazione. E alcune convinzioni. Che si irrobustiscono. La convinzione che niente in realta' sia cambiato. Che non ci sia niente di nuovo. Che siano cambiate le modalita' dell'accesso. Solo le modalita'. Che tutto il resto sia immutato. Che, come accade nella storia umana che conosco, a volte cambino delle modalita'. Ci siano inevitabilmente dei cambi di ruolo. Ma la sostanza non si trasforma. La convinzione che come in tutti i momenti di trasformazione sia necessario fare molta attenzione alle scelte che si operano. Non fidarsi di quello che “si dice” o di quello che si legge. Ma chiedersi interiormente quale sia la scelta migliore. Quale sia la scelta corretta. La risposta verra'. Basta aver voglia di ascoltarla.

L'accesso? E' importante? Non e' importante. E' importante come lo si usa.

Perche' accedo alla rete? Perche' mi connetto? Perche' la rete e' uno specchio del mondo reale. Mi permette di rendere ancora piu' virtuale e piu' lontano il mio rapporto con la realta'. Di nascondermi ancora piu' in profondita'. Ma allo stesso tempo crea delle zone di disconnessione. Il momento del passaggio apre delle possibilita' di riflessione. Apre una zona d'ombra. Una zona che bisogna attraversare obbligatoriamente per accedere. Che e' la zona, la fase della scelta. Scegliere di connettersi. Riapre dunque delle possibilita' piu' profonde. Quelle delle scelte. E fare scelte e' comunque un momento importante. Quando si impara a farle, si impara a sbagliare. E prima o poi anche a fare quelle giuste.

Come utilizzare al meglio la rete? Per garantirsi una vita con piu' spazi personali. Per limitare gli spostamenti per motivi di lavoro. Per consentirci la creazione di comunita' di interesse slegate dalla vicinanza fisica. Per ottimizzare i consumi ed evitare gli sprechi.

Imparare a fare le domande. E cercare di ottenere delle risposte. Non lasciarsi trasportare da un sito all'altro inconsapevolmente. Fare domande. Innanzi tutto fare domande. Anche nel nostro rapporto con le news.

Qual e' attualmente il mio rapporto con le news? E' un rapporto strano. Succube. Alla ricerca di essere sempre informati. Da dove nasce questa esigenza? Dalla paura. Dalla paura di far brutta figura. Dalla paura di non corrispondere al ruolo che ricopro. Quello di chi si occupa di internet.

Imparare a non farsi comandare dalle paure. Imparare a svincolarsi dai ruoli predefiniti.

La mobilita' dei ruoli e' reale o fittizia in rete? E' una mobilita' falsa. I ruoli non cambiano. Ognuno dovra' imparare a rivestirne di diversi. Dovra' imparare a rivestire i panni di ruoli diversi a seconda della necessita'. I ruoli rimangono tali e quali.

La rete ci aiuta ad andare in profondita'? No.

La rete ci aiuta ad andare in profondita'? No.

Ho ripensato al mio inizio. Agli stimoli che mi hanno spinto ad entrare in rete. Ad approfondire l'accesso. Mi e' tornato in mente un film-documentario. Trasmesso su raitre, intorno al 1995. In cui si parlava della prima comunita' virtuale italiana. Little Italy.

“Benvenuto al server WWW di Little Italy. Little Italy e' un laboratorio vivente per la realizzazione di una societa' e di un'economia digitali e distribuite.”

Un salto nel passato?

“Little Italy ha uno scopo essenziale: la socializzazione. In questo comunita' si svolgono molte attivita', tutte improntate alla socializzazione: ricerca di regole di cooperazione, co-costruzione di leggi e di regole, co-costruzione di luoghi, co-gestione di funzionalita' regolatrici. Le attivita' pedagogiche sono limitate a spazi situati in luoghi specifici (sala delle conferenze, universita', ecc...). Sono possibili relazioni personali staccate dal contesto di LI (rooms personali).”

In questo film-documentario si descriveva la vita di alcuni studenti. La loro nuova vita virtuale all'interno di Little Italy. Cosa si prometteva? Si prometteva una duplice identita'. La possibilita' di costruirsi una seconda vita. Di affetti, di lavoro e di relazioni. Al di fuori di quella reale. Una nuova casa. Nuovi amici. Nuove esperienze. Una nuova societa'.

Capitolo IX —– Nofollow

Dice al robot di non indicizzare la pagina e di non analizzare la pagina alla ricerca di collegamenti.

Tra il business e la controinformazione, tra le news istituzionalizzate e le azioni di cyberprotesta, tra la ricerca del profitto e il rifiuto di una logica di mercato, tra le start up e i movimenti contro la globalizzazione, tra questi estremi un incerto e sottile percorso personale. Tra i bagliori e le grida altisonanti, tra le luci fantasmagoriche e invitanti, tra la semplicita' del non dover scegliere ma solo accodarsi a scelte gia' fatte e' difficile preferire percorsi personali. Esiste una terza via. Come sempre d'altronde. Probabilmente la piu' impegnativa. L'unica autentica. Quella che passa attraverso noi stessi. Anche online. Come allora evitare i bagliori e ritrovare ogni giorno la voglia e il desiderio di incamminarsi per un sentiero inesplorato? Come imparare a sottrarsi con intelligenza a frastuoni e luccicanti presentazioni flash per preferire una ricerca autentica?

In una cerimonia in cui mi spoglio dei miei abiti virtuali. Rappresentati dai miei strumenti e delle conoscenze acquisite. Nello spirito piu' vero della condivisione. Ritornare nudo.

Anche nel virtuale ci sono cose non dette. Ci sono limiti invalicabili. C'e' il buio. E allora portare luce anche nella rete. Inondare questa struttura di luce. Che rischiari anche i luoghi piu' scuri. Dove una densa oscurita' impenetrabile ci riveste. Affrontare un reality tour del Virtuale. Una periferia e un suburbe virtuale. Dove in piccole case. In piccoli appartamenti si organizzano i traumi quotidiani. Si stipano le paure di tutti noi. E convivono con noi. Le solitudini. Le paure. Le angosce. Profonde. Di ritrovarsi in un universo senza luce. Soli e insoddisfatti. Dove piangere non e' concesso. Dove non c'e' spazio per il pianto.

Non ho teorie da esporre. Non ho nuove teorie da esporre sul web. Sulla sua conformazione. Sui suoi modelli. Non ho icone. Non ho niente. Ho solo un rapporto quotidiano con l'accesso. Che sperimento da mesi. Che riempie la mia vita. Che riempie i miei impegni.

Uscire da schemi esclusivamente commerciali. Perche'?

Non serve allora scrivere un libro. Basta partecipare a dei gruppi di discussione. Scrivere quotidianamente. Perche' allora un libro? Perche'? Per rompere degli schemi che sembrano imperare in rete. Che prevedono articoli brevi e spensierati. Racconti poco dettagliati. Per impormi un impegno di maggior respiro. Un impegno nella costruzione di qualcosa di piu' complesso.

Spogliarsi anche delle nostre precostruite concezioni politiche. Ammettere la propria sconfitta sul piano personale e sociale.

Difficile abbandonare un'impostazione che vede il controllo al centro di tutto. Che parte dalla paura di perderlo. Dalla paura di non essere in grado. Di essere inadeguati. Di essere incapaci. Dalla paura che possiamo essere sorpassati. O lasciati indietro. Dalla paura di risultare non aggiornati. Da tutte queste paure, come sempre, nasce e non puo' che nascere una concezione e uno stile di vita che vuole controllare. Tenere sotto controllo i cambiamenti. Controllare quello che esce e quello che entra. Controllare la nostra vita virtuale e reale. Tenerla sotto controllo.

Dall'altra parte la fiducia e il coraggio. L'apertura. Il non controllo. L'oltrepassare le paure e le fobie per affrontare con coraggio le esperienze quotidiane.

Permettiamo alle cose, reali e virtuali, di accedere. Permettiamoci dei tempi da dedicare a noi stessi. Anche nel virtuale. Stabiliamo i tempi in cui siamo a disposizione e i tempi in cui siamo in rete per noi stessi.

Dimentichiamoci del virtuale. Come ipermondo. Impariamo ad utilizzarlo come uno strumento. Ad utilizzarlo solo quando e' utile. Utilizziamolo con fiducia. Senza paure. Senza accumulare ricchezze di informazioni o di strumenti. Senza attaccamenti.

Come fare? Come fare a spogliarsi di tutto quello che abbiamo accumulato. Ricchezze di conoscenze. Di esperienze. Di strumenti che abbiamo imparato ad utilizzare. Di trucchi. Di piccoli segreti. Di stratagemmi. Di scorciatoie. Come fare a spogliarsi di tutto questo? Come abbandonare i nostri domini? Abbandonare le nostre ricchezze virtuali? Come fare?

Privilegiare in rete un'attivita' di riflessione. Scegliersi un'attivita' concreta. Che non risulti solo un'attivita' di ricerca e di zapping da un motore di ricerca ad un altro. Da un articolo ad un altro. Che non sia solo un continuo download di programmi, di installazione e prova degli stessi. Non e' un comandamento, un imperativo, ma una conquista.

Capitolo X —– Riciclare le icone

“It is important to realize that the hopes of technophiles have often been used to sell technology for commercial gain.” H. Rheingold

Come ci libereremo delle multinazionali? Stanno diventando obsolete. Per quanto facciano non sono ormai piu' possibili nell'universo virtuale. Non sono compatibili. Ci saranno sicuramente grandi cambiamenti. Lotte acerbe di potere. Ma questi dinosauri scompariranno. Vale la pena di scommetterci. Cosa prevarra'? Un nuovo modello. Molto piu' difficile da circoscrivere. Molto piu' difficile da analizzare. Mutante.

LowBot. Un programma di nuova generazione. Un software che si incarica di accedere alla rete e fare alcune ricerche. Esattamente cercare territori e ambienti virtuali dove ci siano basse frequenze. Scandagliare il web. Escludendo i siti aggiornati troppo di frequente. Quelli tipicamente di news e tendenzialmente commerciali. Escludere altresi' i siti che non sono aggiornati. Quelli morti o in via d'estinzione. Ricercare i siti in cui ci siano delle frequenze medie. Umane. Dei ritmi e delle scansioni abbordabili. Come se si trattasse di distinguere il tono della voce di una persona. La sua frequenza nel parlare. E' difficile riuscire a muoversi, organizzare, parlare, rispondere, senza cadere nella tentazione di creare nuove icone. Nuovi simboli. Nuove bandiere. E' difficile. Bisogna essere molto presenti a se stessi per evitare questi tranelli. Questi trabocchetti.

La tentazione di costruire, progettare icone diventa pressante. Indissolubile dall'agire, dal pensare e dal programmare quotidiano. Il mondo delle bandiere, dei codici, dei manifesti, dei proclami, del brand, della marca, delle icone e' un mondo in continua espansione. Produce. Si rinnova. Si rigenera con vigore e potenza. Genera distanze. Nasconde e occulta. Mente. Dissimula.

Come riempire di contenuti virtuali la realta'? “Come rendere la realta' virtuale?” E immettere in essa tutte le nostre energie ed aspirazioni, emozioni e paure che abbiamo trasferito nel cyberspazio. Il senso esatto di questa scoperta mattutina era: fare in modo di downlodare nella realta', nella nostra vita fisica e concreta, quello di importante che abbiamo trovato e coltivato nel cyberspazio. Nel virtuale. Una nuova icona per il nostro desktop mentale. Un nuovo programma per affrontare la realta'.

Portare la filosofia open source nella realta'. Riscoprirla nella realta'. Verificare la sua tenuta nel reale. Forse e' questo il modello che dobbiamo importare, clonare nella realta' quotidiana?

Diventare manager dell'open source. Ovvero aprire anche i nostri compiti aziendali al supporto o alla collaborazione di altre persone. Anche il nostro stipendio. Quando c'e'. Imparare a mettere in rete ed aprire anche i nostri compiti e mansioni aziendali. Con un nuovo modello che prevede la nostra capacita' di aprirci alla collaborazione di altre persone. Diventare degli hub di informazioni. Raccogliere poi il meglio. Dividere i ricavi. Possibile?

Focalizzarsi sul concreto. Sul vicino. Sul locale. E' difficile. E' un terreno duro di lotta, di scontro. Di possibili, quasi certe sconfitte. Di solitudini. Di difficolta' di dialogo. Di incomprensioni. Di paure. Di eccessivo coinvolgimento.

L'apertura di spazi comunicativi e' una scelta. Ma non deve essere fine a se stessa. In un comportamento autolesionistico o deliberatamente sventato di apertura di un dialogo impossibile con tutto il mondo.

Se questa e' solo una fase di trasformazione non e' importante buttarcisi a capofitto. Non e' indispensabile apprenderne immediatamente il linguaggio. Non e' indispensabile. Quando le icone si trasformeranno in pulsanti allora non dovremo piu' far fatica ad apprenderne l'uso. O comunque l'apprendimento sara' molto piu' semplice e immediato.

La profondita' di un lavoro o di un impegno, reale o virtuale, incide comunque su un contesto sociale e politico. Arriva, per cosi' dire, in profondita' a toccare il nocciolo del problema. E lo alimenta. Alimenta le introspezioni, le aperture, i cambiamenti.

“Come prepared with costumes, instruments, dancing shoes, skatebords, bicycles, and whatever you want. 2 sound systems will be pumping, as well as a circus, bands, and whatever you mayhem bring... Once there, the party will go on until we feel like it's over.” Reclaim the Streets.

Share: ultima icona da riciclare. Un capitolo ancora tutto da scrivere. Su come condividere la rete con gli altri. Sulla dimensione sociale e politica degli abitanti dell'accesso.

Organizzare seminari di Rebirthing virtuale. Per web manager, addetti stampa, dipendenti delle start-up ed esperti

Archivio Testi

Titolo Testo: “Cybma” Autore: Giorgio Viali Data: 20 aprile 2000

Prefazione: File

Ho provato più volte a scrivere questa prefazione. Ho fatto molti tentativi. Tutti sbagliati. Cercavo di scrivere una prefazione formale. Staccata. Obiettiva. Il risultato, ogni volta, era deludente. Piatto. Innocuo. Mediato. Non rappresentava per niente i contenuti e le modalità di scrittura di questo libro. Ho ritrovato ora il mio modo usuale di scrivere. Diretto. La voglia di evitare i formalismi. Di essere immediato. Di esprimere quello che si è. Senza paure. Con la certezza che questo è l'unico modo possibile per fare dei percorsi, virtuali o reali che siano, che ci permettano di imparare. La tentazione di inserire citazioni importanti, ricette preconfezionate, links significativi era grande. Sono riuscito a non dimostrarmi accondiscedente. Per ottenere dei risultati bisogna mettersi in gioco in prima persona. Agire. Interagire. Connettere. Scegliere. Cercare. Scrivere. Tutto questo ed altro in prima persona. Giorgio Viali

20 aprile 2000

Parte Prima: Setup

Devo aver fatto un sogno. Me lo ricordo vagamente. Dovrei prendere carta e penna e scriverlo, come mi ha consigliato Ron Young. Dovrei. Ricordo qualcosa vagamente. Questo dolore alla schiena che mi tormenta tutte le mattine. Finirà prima o poi? Devo decidermi a fare qualcosa. Oggi vado in piscina. Ormai è da un pezzo che non vado più a camminare. Sempre seduto davanti al computer. Con la testa sempre là. Devo imparare a saper dire di nò. Che faccio? Mi alzo o rimango ancora a letto? Certo che Marzia non la finisce mai di asciugarsi i capelli. Aspettiamo che parta per andare a lavorare. 6,20 di solito. Poi mi alzo. Giada? Dorme. Ma si muove spesso. Speriamo non si svegli. Allora ... Cosa dovrei fare oggi? Terminare l'articolo. Pensare ad un racconto. Ad un libro. Scrivere al Mulino per chiedere se posso avere l'email di Luciano Paccagnella. Guardare sul sito del Mulino se c'è, nella sezione novità, il libro che Paccagnella ha appena pubblicato. “Non rientra nella politica della nostra casa editrice pubblicare un libro scritto a più mani.” I collage non sono apprezzati. Il mio libro: Uomini virtuali. Che farne? Continuare ad insistere? Abbandonare il progetto? L'idea era buona. Un libro sulla socialità online. Un tema non di moda. Ma interessante. Permetteva di rileggere in modo alternativo il futuro preconfezionato proposto dalla New Economy. Era una buona occasione. Pensare anche ad un nuovo dizionario virtuale. Allora ricapitoliamo. Finire di scrivere l'articolo. Pensare ad un altro articolo. Il nuovo dizionario. Garassini permettendo. E un racconto. Come strutturarlo? Meglio che mi alzi. A far qualcosa di concreto. Marzia è già partita. Giada dorme. Bene. Accendiamo il computer. L'articolo? Quale argomento? Digital divide? Che ne dici? Come impostarlo? Di cosa parlare esattamente? Ha senso parlare di Digital Divide, quando a monte c'è un real divide? Una differenza reale, concreta, materiale, sui beni primari, essenziali.

Eccomi di nuovo davanti al computer. Marzia sta preparando da mangiare. Giada è davanti alla televisione. Aldo, Giovanni e Giacomo. Ed io qui alle prese con un libro che vorrei scrivere. Con il mio quotidiano virtuale da approfondire e sviscerare. Meglio spostare la tastiera. Per scrivere meglio. Quali argomenti potrei affrontare adesso. Tra una pausa per sistemare la lavastoviglie che non vuol saperne di funzionare come tutti gli altri bravi elettrodomestici e un'altra pausa fra poco quando Marzia mi chiamerà ad impastare la torta. Uova fresche arrivate oggi da un'amica di Marzia. Per fortuna che lavora. Lei. Lavora. Io passo le giornate a confrontarmi con i miei sogni, le mie speranze, le opportunità che la New Economy quotidianamente mi presenta. Ma che difficilmente riesco a sfruttare a fondo. Forse sbaglio qualcosa? Net slaves. Un libro uscito in America. Schiavi della rete. Nuovo modello di schiavitù. Ad metalla nell'antichità. Condannati ai lavori forzati nelle miniere di metallo. Ad virtualia oggi. Condannati a lavorare nel rarefatto mondo incosistente e incerto della nuova economia del Web. Sempre lavori forzati. Ma in Italia siamo ancora in una fase di scoperta. Il grosso della truppa si sta muovendo ora. E verrà ad ingrossare i nostri plotoni dentro queste miniere virtuali. Stanno arrivando. Molti si stanno equipaggiando per entrare in questo nuovo ambiente, e si stanno chiedendo nel momento di fare i bagagli quale sia l'abbigliamento più corretto, e quali i bagagli indispensabili. Stanno arrivando. In molti. E sono ancora inesperti. Si guarderanno intorno un bel pò prima di riuscir a capire dove sono e prima di riuscir a riflettere su quanto sta succedendo. Incerti su dove andare al primo viaggio. Incerti su cosa cercare. Incerti su come funziona questo strumento che ha per loro le caratteristiche di un ambiente magico. Dove tutto può accadere. E noi? Che abitiamo questi lidi ormai da un pò di tempo cosa dobbiamo fare? Noi che non siamo scesi a troppi compromessi. Che abbiamo cercato di non farci prendere la mano. Che siamo arrivati con un'incredibile curiosità e con una grande voglia di scoprire e imparare. Noi cosa possiamo fare? Forse solo stare a guardare ed aspettare che anche loro riescano a destreggiarsi tra browser, posta elettronica, irc, icq e quant'altro. Quanto ci vorrà? Quanto tempo è voluto a noi per imparare ? Per verificare cosa si nasconde effettivamente dietro facciate sgargianti e scintillanti e gif animate e colorate. Quanto ci abbiamo impiegato? Qualche anno? Parlo per me. Spero che qualcun altro abbia imparato più in fretta. Eppure vorrei poter far qualcosa. Ma mi trovo nella spiacevole situazione di non poter fare granchè. Forse la cosa migliore sarebbe investire in questo nuovo strumento. Investirci tempo ed emozioni. Consegnare a questo mezzo contenuti che abbiano comportato un lavoro. Un impegno di ricerca.

Un collage. Facile fare un collage. Il copia e incolla ci permette veramente di assemblare materiale eterogeneo in brevissimo tempo. Se dovessi fare un articolo. E mi fosse concesso di prepararlo in inglese e in italiano, penso che potrei farlo in brevissimo tempo. Una ricerca in Internet, una scelta del materiale più interessante e di quello più recente e un copia e incolla e nel giro di una, due ore, potrei presentare un articolo completo. Interessante. Pertinente. Corretto e impeccabile. Tranne per il fatto che gran parte del materiale non sarebbe comunque farina del mio sacco. Non è facile scrivere. Ed oggi Internet mi permette di svicolare, di tergiversare, di adottare scorciatoie sempre più efficienti. Di far di tutto pur di non dover confrontarmi con la tastiera. Eppure è importante. Tirar fuori qualcosa di proprio. A costo di poter risultare banale, di far brutta figura, di non essere letto. A costo di tutto questo, rimane ancora conveniente ed utile, scrivere in prima persona. Di cose che ci riguardano. Immediate. Quotidiane. Marzia canta. Sembra contenta. Aldo, Giovanni e Giacomo? Mi sembra stia per finire. La torta Marzia si è arrangiata ad impastarla. Però mi ha fatto scendere per cercare una pentola. Non ho trovato mio padre. Volevo invitarlo a mangiare a casa mia stasera. Forse è ancora fuori. Sono passate le 18,30. Volendo potrei collegarmi. Tariffa ridotta. Telecom grazie. Che dire. I monopoli sono senza tempo. Antigone virtuale: Telecom-Creonte. Muore il fratello di Antigone. La Telecom impone un editto. Antigone lo diserta. Pur di seppellire il fratello. Che fare contro i tiranni ed i monopoli? Rimetterci la vita? Niente idealismi. Solo compromessi. Consiglia Degli Antoni. Saggezza dell'esperienza. Incoscienza della gioventù. Antigone non per niente è giovane. Ed i compromessi sono un abito che si impara a portare con l'età. E'un vestito stretto, poco appariscente, dai colori sobri. Resistente e caldo. Solo confezionato con lana grezza. Punge. Disertare il virtuale? Come potrei? Impensabile. Perchè dovrei abbandonare questo territorio? In cambio di cosa? Quale altra possibilità di perdermi potrei trovare in giro? In quale altro sogno potrei immergermi così totalmente?

Intorno a quale trama potrei aggregare dei personaggi? Intorno a quali tematiche costruire un libro? Non sembra facile. Eppure vorrei metter nero su bianco. E descrivere, segnare dei percorsi, inventare delle metafore, esprimere convinzioni profonde, metterci una parte di me stesso. E allora? Quale potrebbe essere il fulcro di tutto? L'argomento centrale? Lo strattagemma per iniziare? La finzione da inscenare? Potrebbe trattarsi semplicemente di una scelta. Una scelta da compiere. Come sempre nella vita. Ecco. Il tema allora potrebbe essere semplicemente il dover fare una scelta. Una scelta inserita in un contesto quotidiano. In un contesto quotidiano di vita in Internet. Operare una scelta. Scegliere. Come sempre tra il bene e il male. Tra le forze oscure e la luce della verità. In Internet come in qualsiasi altro territorio umano le scelte sono quotidiane. Sono di casa. In questo mondo virtuale il dover scegliere, la fatica e la gioia di scegliere non è scomparsa. Come sempre all'inizio sembra poco importante. Ma col tempo acquista un'importanza fondamentale. Scegliere in Internet. Scegliere cosa fare, dove andare, come comportarsi. In questo territorio parallelo sempre più affollato saper scegliere diventa, come ovunque, importante. Fa la differenza. Scegliere quali siti visitare, scegliere come spendere il proprio tempo online, scegliere quali informazioni privilegiare, quali fonti informative, scegliere che tipi di rapporti coltivare, scegliere se rimanere spettatori o diventare attori, se ascoltare in silenzio o aprire un dialogo con qualcuno. Scegliere i propri modelli, i propri miti e i propri padri virtuali. Mali necessari anche quì. Virtuali ma necessari. Aggregare allora tutto questo materiale intorno ad una scelta. Che potrebbe sembrare marginale ma che si rivela come ogni scelta importante, definitiva. Sperimentare metodologie di scelta. E in questo senso importanti. Perchè potrebbero segnare una svolta nel quotidiano mediatico. Non mi interessano le conseguenze. Che Antigone muoia. Che Dedalus passi la notte fuori casa, perchè ha deciso di lasciare le chiavi all'usurpatore di turno. Non mi importa il seguito. Mi importa il quesito. La scelta. Il momento. L'attimo della scelta. Attimo dove si esprime il meglio di noi stessi. Quello che noi siamo. Quello che noi abbiamo appreso. La fiducia che abbiamo o che abbiamo perso.

Scrivere in prima persona. Non rifugiarsi dietro la finzione che questo io sia qualcun altro. Sia virtuale. Perchè mai? Forse solo per inventare strade che non siano troppo immediate e semplici. Ma come sempre non utilizzate per arrivare alla meta. Non arriviamo mai in un posto direttamente, per la strada più semplice. La vita si diverte a portarci un pò a spasso prima di farci arrivare in luoghi importanti. Un libro lineare. Come tutti i libri che conosco. Senza link all'interno del testo. Una sezione di link al termine. In fondo al libro. Dopo aver letto il tutto possiamo prenderci la briga di provare. O addirittura senza link. Senza nessun link. Nessuno. Come fosse un libro normale. Quali sono le cose che apprezzo quando leggo qualcosa in Internet? Quali le caratteristiche che deve avere un articolo in Internet? Quali le cose che mi colpiscono? Quali quelle che mi sorprendono? Un approccio personale l'ho sempre apprezzato. Giobbe in Internet. Trasportare la storia di Giobbe in Internet. Prima l'email inizia a non funzionare. Poi il sito web di Giobbe subisce un crash. Poi tagliano la linea telefonica a Giobbe. Che rimane senza più niente. Solo. E parla con degli amici che vengono a trovarlo. Giobbe. E il Signore poi gli restituisce il tutto centuplicato. Nuovi figli. Nuovi averi.

CyberMaria. Una droga virtuale. Una esperienza intensa. Al limite dell'immaginazione umana. Difficile dare delle indicazioni precise di dove trovarla. Non è mai nello stesso posto. Per non finire nelle reti della polizia. Che già da tempo è alla caccia di questo nuovo, sovversivo, sortilegio. Alcuni riferimenti comunque posso darli. Indirizzi emaill di cybernauti che la usano e sanno dove procurarsela. Una nuova forma di esperienza allucinogena. Virtuale. Non fisica. Di una potenza straordinaria. Complessa. Intellettualmente completa. Si assume diretttamente leggendo e rileggendo dei brani ogni volta diversi, distillati giorno per giorno da abili artigiani dell'impossibile. Ti prende all'improvviso. Non dà alcun tipo di assuefazione. Allarga la mente. Ti rende un tutt'uno con il Web. Con l'universo. Con il mondo intero. Con le varie manifestazioni del naturale. 3 volte ho avuto la fortuna di sperimenmtare questa esperienza. Un rituale preciso da osservare. Ogni volta diverso. Da eseguire con concentrazione. Fissando i disegni e le icone di una pagina Web. In silenzio profondo. Scendere in profondità. Aprirsi ad un nuovo universo di sensazioni del Web. Sentire la vita, sentire l'unità dietro la molteplicità delle esperienze mediatiche. Superare il peregrinare quotidiano di sito in sito, di incarnazione in incarnazione e raggiungere l'Infinito. Fondersi con il Web. Diventare un tutt'uno con lui. Sentirsi parte di quel respiro, di quel battito, di quella vita. E scoprire un senso di appagamento, di certezza, di realizzazione che mai abbiamo provato. Trasformarsi in byte e viaggiare dentro la rete, sottoforma di impulsi, di pacchetti di byte, pervadere la rete. Essere dovunque, entrare ovunque. Essere presente ovunque. Far parte fisicamente dei routers e degli switchs della rete, sentire dove pulsa più forte il sangue, dove scorrono più velocemente i dati, e lasciarsi trasportare da quest'esperienza di massima realizzazione. Respirare. Arrendersi. Inspirare. Espirare. Sciogliersi in questo mare di informazioni e assaporarne la consistenza fisica. Sentirse la dinamicità. Prevederne i corsi ed i ricorsi. Scoprirne la bellezza profonda. Svanire. Come lacrime nella pioggia.

Mi immagino un futuro non molto lontano in cui anche i lavori manuali, ripetitivi, arriveranno e invaderanno il Web. Come l'invio di mail di pubblicità da consegnare una per una al domicilio virtuale del destinatario. Per impedire la selezione delle mail da parte di programmi anti spamming. O come l'assunzione di un sempre più grande numero di commessi virtuali. Quotidianamente al lavoro dietro le vetrine del Web. In attesa di clienti e potenziali acquirenti. Connessi 24 ore al giorno. In attesa. E al servizio del cliente nel momento in cui arriva. Scordiamoci il Web come lo immaginiamo ora. Scordiamoci negozi senza commesssi in cui poter entare e muoverci liberamente. Fra non molto i commessi ci intercetteranno all'arrivo nel negozio virtuale e ci chiedereanno gentilmente se ci serve una mano. Ci proporranno le ultime novità. Ci illustreranno i prodotti. Ci intratterranno nei momenti di indecisione. Commesssi virtuali. Una nuova professsione. Basta un computer, una connessione ad internet veloce ed il gioco è fatto. Telelavoro di qualità. Oppure pensare a cyber bambini lavoratori. Indiani o pakistani. Seduti 18 ore al giorno davanti ad un computer a sottomettere in continuazione pagine ai principali motori di ricerca. Che raggiungeranno potenzialità di aggiornamento e di rilevamento molto più sofisticate di oggi. E allora ci sarà bisogno di manovali del Web che si incarichino di compiere operazioni necessarie ma ripetitive. Altro che catena di montaggio. Saranno pagati a cottimo. A seconda della velocità di esecuzione. La concorrenza sarà mondiale. E i computer saranno incaricati di verificare le nostre performance giornaliere e stabilirne il compenso. Capi Ufficio impeccabili. Precisi e imparziali.

Una nuova professione. Munita di una macchina forografica virtuale, ovvero di un programma di acquisizioni di immagini, una amica si è decisa ad inventarsi questa nuova professione. Viaggia in Internet e si occupa di scattare fotografie, rigorosamente digitali, dei posti che visita, delle persone che incontra, scegliendo l'angolazione migliore, valutando di volta in volta la qualità della luce. Mi chiedeva come potrebbe personalizzare maggiormente questo lavoro? Come creare delle possibilità maggiori di angolazione, di chiaro scuro, di notte e giorno in un ambiente come il Web? Forse che prossimamente il Web emulerà sempre più la realta? E si accenderanno le luci di notte e sorgerà il sole ad una certa ora. Generalmente poco prima dell'ora in cui arrivano i commessi e qualcuno apre le saracinesche dei negozi?

Poteri reali nel virtuale Come irrompere nelle sedi del potere con strumenti virtuali, come entrare nei santuari dove si consumano le spartizioni dei poteri, gli accordi politici di alto livello?

Nuova economia. Vuol dire, forse, incertezza sui termini e sulle modalità in cui svolgerò il mio lavoro? Questo non mi preoccupa. Una volta che sò quello che voglio. Una volta che ho deciso quello che sto cercando, una volta che non permetterò a qualcun altro di invadere eccessivamente un territorio che considero personale. Una volta che ho delle certezze su quello che voglio sia il mio modo di lavorare, la flessibilità delle regole non mi preoccupa. Cosa mi preoccupa allora? Cosa manca? Cosa non va? Ho 38 anni, mi occupo di informatica, scrivo per alcune riviste, seguo alcuni percorsi indipendenti. Ma porto a casa un terzo di quello che porta a casa mia moglie. Se questo vuol dire nuova economia non sono molto contento. Le prospettive non sono entusiasmanti, viste le premesse. Forse è il caso che inizi a pensare a professioni alternative da sfoderare dal mio cappello al momento buono. Se non riuscirò a sopravvivere in questo mondo. Senza però ingannare ignare vittime che chiedono un sito web di due o tre pagine e sperano di acquisire clienti in tutto il mondo e si preparano ad essere investiti da una valanga di ordini e da un incredibile aumento dei clienti. E allora? Escluso il sussidio statale, esclusa la possibilità di guadagnare sui sogni degli altri? Che mi resta? Da fare o da tentare? Forse non sono sufficientemente flessibile? Sempre che flessibile in questo caso non voglia dire diventare cinico e profittatore. E allora ?

Evitare lo zucchero. Evitare le informazioni raffinate. Cariano i denti dell'intelletto. Un'alimentazione informativa corretta. Certificare la grezzezza dell'informazione. Non raffinarla. Utilizzarla nelle sua interezza. E soprattutto non clonarla. Personalmente ho quasi deciso di eliminare completamente lo zucchero dalla mia alimentazione.

Sedersi di fronte al computer. Piante dei piedi appoggiate a terra. Schiena diritta. Prestare attenzione. Anche alle schermate inutili. Quelle del boot d'avvio. Focalizzarsi. Estendere la propria attenzione. Essere presenti sempre. Attenti. Coscienti. Combattere contro le disattenzioni quotidiane e la polvere che si accumula ovunque. Anche quella che si deposita sulla tastiera del computer.

Un monaco virtuale, un intellettuale virtuale, un hacker dell'informazione. Luoghi comuni. Indubbiamente. Che fare per non rimanerci intrappolati? Non aver paura di fare domande. E farne tante. Continuamente. Chiedere. Se non chiediamo non otterremo risposte. E quali sono le domande che vorrei fare riguardo alla virtualità? Quali i quesiti importanti e fondamentali a cui vorrei avere risposte chiare e illuminanti? A che ci serve la virtualità? Che cos'è esattamente? Perchè solo ora si parla di virtualità? Perchè non se ne è parlato ad esempio quando è arrivato il telefono. Anche le comunicazioni telefoniche sono virtuali. Non sono reali. Nel senso che le persone che si parlano sono fisicamente lontane. Anche la televisione è virtuale. Quello che vedo alla televisione non c'è. E allora come mai tutto questo parlare di virtualità proprio ora? E'solo una fase iniziale? La fase della scoperta e dello stupore? Fino all'arrivo del prossimo fenomeno ancor più virtuale? C'è o non c'è questa virtualità? Dove si nasconde? Più aumenterà la virtualità più avremo bisogno di poggiare saldamente i piedi a terra. Non dobbiamo dimenticarci di noi stessi. Viaggiare in lungo e in largo per il cyberspazio. Attraversarlo e riattraversarlo. Immergerci nell'immenso oceano di informazioni e di dati e di immagini. Ma una volta battezzati uscire dall'acqua e tornare alla vita. Rinati. Nel Web. Mondi. Pronti per riprendere la difficile sfida della quotidianità.

Contrapporre allo strapotere dell'e-business, dell'e-people, il potere immaginativo e visionario e ludico di un nuovo prefisso. Come? Quale prefisso? Sarebbe una battaglia persa. Non si può fermare il vento con le mani. Magrini grazie. Non si può fermare il vento con le mani. Quali alternative ci rimangono? Quali territori sono ancora in nostro possesso? Le grandi multinazionali stanno già preparando campi attrezzati per ospistarci in campi profughi? Ci chiuderanno in una riserva? Questa è l'alternativa? Possibile che la virtualità non ci assista anche nella possibilità di creare e proporre alternative vincenti? Non ci permetta di arrivare più in profondità nelle nostre analisi e nelle nostre scelte? Possibile che sia così difficile trovare progetti e proposte condivisibili e convincenti. Importanti. Essenziali. E' facile nelle situazioni in cui le contrapposizioni sono nette distinguere e scegliere. Ma se anche le contrapposizioni diventano virtuali. Illusorie. Incerte. Indefinite. Si avvicina il momento più critico. Imparare a muoversi anche in questo nuovo territorio. Imparare a conoscerlo per sopravvivere. E'un terrritorio fatuo. Dai confini inafferrabili, con barriere e montagne altissime pronte a sbarrarci la strada. Ma in questo territorio i percorsi di uscita, le possibilità di aggirare le trappole che sembrerebbero imminenti e inderogabili, queste possibilità di fuga esistono. Dovremo imparare a riconoscerle. Farle diventare parte delle nostre conoscenze. Della nostra cultura. Intesa come capacità di distiguere il bene dal male.

Anche in Internet la conoscenza e la cultura partono dalla capacità di porre domande. Di interrogare. Gli oracoli oscuri dei Motori di Ricerca. Di andare da loro per chiedere lumi. Se non ci sono domande allora la nostra esistenza trascorrerà felicemente tra un portale e un altro. Nella tranquillità e nella sicurezza di percorsi quotidiani sicuri e affidabili. I portali sono più che sufficienti per soddisfare queste nostre esigenze. Il bello, il nuovo, l'ignoto invece ci si presentano quando abbiamo delle domande da fare. Quando cerchiamo delle risposte. Quando domandiamo. Ad un amico piuttosto che ad uno sconosciuto in Irc, ad un motore di ricerca piuttosto che ad un newsgroup. Lo sconosciuto, e con esso la possibilità di imparare, ci si presenta quando iniziamo a porre delle domande. Quando da spettatori diventiamo attori. Quando la spinta ad approfondire qualcosa ci porta in luoghi sconosciuti, su rotte lontane da quelle commerciali, per arrivare inevitabilmente a incontrarci con l'individualità di qualcun altro. Con il lavoro e la ricerca di qualcun altro. Con l'home page di qualche umano. Lontano. Sconosciuto. Straniero.

Come rendere disponibile questo libro? Come confezionarlo? Che tipo di carta virtuale utilizzare? L'ideale sarebbe confezionarlo in PDF. Portable Document Format. Della Adobe. Ma non ho mai apprezzato il fatto che questa Azienda abbia sempre limitato la sua generosità al reader, al lettore, e non abbia mai pensato di rendere pubblico e disponibile anche l'Exchange, il programma che permette di confezionare i Pdf. Scelte. Scelte da rispettare? Non ho mai potuto sopportare i monopoli. Non sarebbe difficile procurarsene una copia illegale. In Internet non avrei che da scegliere da dove scaricare il programma. Non è questo il punto. La possibilità di procurarmi questo programma è immediata. Una breve ricerca nei siti warez e sicuramente prima di stasera potrei utilizzare il programma che già conosco. Non è questo il punto. E' che non voglio utilizzarlo. E allora. Html. Scelta obbligata. L'unico formato povero disponibile a tutti. Gratuitamente accessibile. Nella fruizione e nella creazione.

Percorsi. Traiettorie da seguire. Scie di comete che si sono perse nel vuoto e nel buio dell'universo. Rapidi bagliori ad ovest. Fermarsi un attimo ed immaginarsi all'interno di Internet, in quest'universo di dati che viaggiano veloci, pronti a saziare anche il palato più delicato. Informazioni. Satelliti di un conoscenza e di una visione del mondo sempre più ingorda. Sempre più insicura. Sempre più all'esterno. Eppure chiediamocelo. L'informazione è un alimento necessario. Indispensabile? E' una esigenza profonda dello spirito umano? Perchè cerchiamo continuamente l'informazione. L'ultima news. L'ultimo bollettino o l'ultima novità. Perchè siamo disposti a rinunciare a sonni tranquilli pur di dimostrare di sapere, di essere aggiornati. Forse che questi dati ci permettono di prevedere con maggiore accuratezza quello che può succedere nell'immediato prossimo futuro. Ci danno un piccolo ma insostituibile vantaggio di prospettiva. Ci permetteno di possedere dai dati che si rivelano un'arma potenziale. Un sapere che diventa solo una necessità? Informazione come bene consumabile. Non è una novità che ha portato Internet. Ma internet ci sta abituando ad un universo informativo diverso. Più complesso da gestire. In continuo cambiamento.

Quali i temi findamentali di oggi? Proviamo un attimo a fermarci e a chiedercelo. Quali sono i temi centrali di oggi? Dove si stanno combattendo oggi battaglie virtuali che determineranno il nostro futuro. Come conoscerle? Come combatterle? Come informare le persone di quello che accade. Non è Echelon che mi preoccupa. Una aspirapolvere, come l'ha definita qualcuno, che si occupa di aspirare tutto quello che può. Insieme ad un sofisticato sistema di selezione e di individuazione per parole chiavi. Terrorismo, bombe, attentato, nucleare,... Questo non mi preoccupa. Militari che si divertono a giocare con un elettodomestico. Non è questo quello che mi preoccupa. I terreni di battaglia si sono spostati. Da un pò di tempo si sono spostati, come sempre al di fuori della visuale degli uomini. Bisogna riuscire a capire quali sono i terreni in cui hanno messo piede i potenti. Ma il metodo per combatterli è semplice e incredibilmente povero. Non servono armi potenti. Servono persone che sappiano distinguere tra il bene e il male. Che sappiano non rispondere ai bisogni indotti che i nuovi media e i nuovi mercati impongono. Certificano, studiano, monitorano, sviluppano e creano. Bisogni indotti. La capacità di scegliere cosa è importante per noi. La capacità di valutare. La chiarezza dei nostri obiettivi. Cosa vogliamo esattamente. Com'è la qualità della nostra vita reale. Il virtuale sta rubando del tempo alla nostra vita reale? Sta rubando del tempo alla nostra vita familiare? Difficile capire quando questo succede. Difficile capire quando la linea di demarcazione tra l'uso e l'abuso viene superata. Difficile capirlo e rendersene conto. In un nuovo mondo, popolato di nuovi media, è importante imparare a conoscerli. Imparare a distinguere quali fonti siano attendibili e quali invece non lo siano. Intrecciare una fitta rete di relazioni. Evitare di isolarsi. Compiere lo sforzo di non aver paura di chiedere agli altri. Imparare a chiedere. Formulare domande. Impariamo a difenderci dagli aspetti negativi. Cerchiamo dentro di noi le possibilità di sviluppare e creare qualcosa. Ognuno di noi ha delle grandi possibilità. Ci manca a tratti la fiducia in noi stessi. Cosa posssiamo fare perchè i nuovi media ci permettano di vivere in modo migliore? Come possiamo utilizzarli per migliorare le cose intorno a noi. E la qualità degli oggetti che ci circondano. Gli strumenti si perfezionano, diventano più pervasivi e invadenti. Impariamo a conoscerli ed utilizzarli. Impariamo a fidarci di questi strumenti. Non possono farci del male. Gli uomini possono farci del male. E ci sarà sempre qualcuno che non avrà altra possibilità che far del male agli altri. Internet dunque come strumento per proseguire una battaglia che ci vede impegnati ad aiutare tutti ad avere eguali possibilità. Ad eliminare discriminazioni. Ad aiutare gli oppressi. A permettere una maggiore giustizia e a sconfiggere i soprusi. Internet come strumento di eguaglianza. Non intesa come strumento per rendere tutti uguali e non permettere a qualcuno di avere di più, ma come strumento che deve permettere a tutti di avere il minimo indispensabile. Assicurare a tutti una dignità. Il minimo per poter vivere dignitosamente. Solo in questo potremmo utilizzare questo strumento.

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Un Cyber Mantra. Ne abbiamo bisogno. Per immergerci in noi stessi. Per riflettere su quello che sta accadendo. Per uscire da schemi troppo professionali. Troppo didascalici ed ordinati. Ed invadere questo terreno con l'esuberanza umana di chi vuole scoprire e imparare. Qualche vecchio saggio ci stà già aspettando da qualche parte. Sà che siamo in cammino. Sà quando arriveremo. E sà di cosa abbiamo bisogno. Questo lo sappiamo anche noi. Solo che come spesso accade abbiamo bisogno che qualcun altro ce lo dica. Che qualcun altro rompa il velo che nasconde il nostro vero io.

Internet è un mezzo. Uno strumento. Un medium. Come Carlo Massarini. Un medium è un qualcosa che sta nel mezzo, tra noi e i contenuti. Massarini come presentatore di Mediamente, è per noi come un'interfaccia grafica. Il vero tesoro di Mediamente sta nella cultura espressa dagli intervistati, dai testi di riflessione che possiamo trovare là e leggere. Massarini quindi è un'interfaccia. Internet è come Carlo Massarini. E' un'interfaccia, uno strumento, un medium, un presentatore, che ci connette a informazioni, materiali e persone che hanno qualcosa da raccontarci, qualcosa da insegnarci, qualcosa da offrirci, esperienze di vita, di lavoro, sogni, preoccupazioni, idee, emozioni,... Internet è come un libro. Ma è la parte fisica del libro, l'insieme di carta e cartoncino che compongono il libro. La sua infrastruttura. Di biblioteche ce ne sono molte. Molto spesso poco utilizzate. Ma internet, oltre ad essere una biblioteca è anche un'edicola, anche un centro commerciale, anche una banca, anche uno sportello amministrativo, una agenzia assicurativa, un consulente, finanziario, psicologico, medico. Internet dunque può essere un libro, una rivista, un depliant, un modulo amministrativo da compilare etc etc. Ad ognuno trovare all'interno di questo contenitore, di questa scatola, di questa struttura virtuale, ad ognuno trovare quelllo che più lo interessa. Da questo dunque ricaviamo come Massarini sia un'interfaccia. Un libro sia un'interfaccia. Internet oltre ad essere come Massarini è anche come un libro. Quindi Anche Massarini è come un libro.

In Biblioteca, quella fisica, ho trovato un libro di Alain Touraine, recentemente tradotto in italiano, dal titolo “Come liberarsi del liberismo”. L'ho aperto e letto velocemente. Non tutto. E' un libro leggero da leggere, stimolante, giovane, entusiamante. Di un giovanotto del 1925. Più vecchio di mio padre. Che è del 26. Un libro che parla di liberismo e di globalizzazione. Puntuale, preciso, acuto, in grado di riportare i problemi al loro giusto posto. Di riportare ideologie, finzioni, capitalismi e liberismi alla loro origine, al punto nodale, all'inevitabile centro delle problematiche, ovvero riportare il tutto alla persona. All'uomo. E in particolare all'uomo che non ha. Che è senza. Senza lavoro, senza casa, senza prospettive. Senza documenti. Al centro del problema, al centro del dolore. Là dove si manifesta il dolore di questa società. La parte malata. Che è malata e rappresenta un sintomo di una società ingiusta, ma rappresenta anche l'inderogabile necessità di provvedere a risanare queste posizioni per poter continuare a sopravvivere. Pena l'aumento del dolore e dei conflitti sociali e anche la morte. Non siamo per interventi chirurgici. Che si chiamano guerre, repressioni, barriere. Ma siamo per una pausa di riflessione. L'organismo comunità ha in sè le potenzialità, nel suo insieme per guarire. Per rendere a tutte le persone la propria dignità umana.

Il nostro rapporto con Internet è un rapporto uno a uno. Come il rapporto che abbiamo con un libro. Siamo soli. Nella nostra stanza. E leggiamo. In silenzio. Possibilmente con concentrazione. E tutta la persona è connessa al libro. Intenta a capire. Intenta ad apprendere. Intenta ad un incontro che non è che virtuale. L'incontro con i personaggi del libro, o con l'autore stesso del libro. E' un incontro uno a uno. Non è un rapporto collettivo. In cui un gruppo di persone si ritrovano insieme per parlare, per discutere, per apprendere. E' un rapporto solitario. In quel momento siamo soli con noi stessi. Lo stesso accade davanti al monitor del computer. Se Internet diventa uno strumento per isolarsi non può che essere inutile. Internet diventa importante quando, oltre a strumento di conoscenza, informazione, diventa uno strumento di incontro. Di incontro e di scambio. Quando in Internet riusciamo ad intrecciare delle relazioni, dei confronti che non siano più solo ed esclusivamente virtuali, come quelli che potremmo avere con dei personaggi di un libro o con l'autore di un libro, allora Internet diventa uno strumento di incontro, di collaborazione, di scambio di idee, di condivisione di progetti, di lavoro comune. Rappresenta quindi in questo caso un potente mezzo di aggregazione. Uno strumento sociale. Di relazioni sociali. E dove c'è comunicazione si forma cultura e conoscenza.

Siete di casa nel cyberspazio? Avete imparato a muovervi in questo nuovo ambiente? Avete iniziato a scoprire e sperimentare gli aspetti positivi e negativi di questa nuova vita interconnessa? Di cosa avete bisogno per continuare a muovervi correttamente all'interno dei New Media e della New Economy? Avete bisogno di un cyber mantra da recitare, con concentrazione, prima di connettervi? O siete alla ricerca di un cyber manuale? Oppure preferite la lettura impegnata di un cyber manifesto? Quello che vi serve sicuramente è una buona dose di “attenzione”. Una “New Attention” per una “New Economy”. Impariamo dove trovarla. Come farla crescere. Potrebbe tornarci utile. Per regalarci una vita attenta. Attenta alla qualità della nostra vita. Attenta ai bisogni e ai diritti degli altri. Con cui condividiamo questa nuova società interconnessa.

Dalla parte dei senza. Come possiamo metterci dalla parte dei senza? In Internet come metterci dalla parte di chi non ha? Non ha cosa? Non ha l'accesso ad Internet? Non vorrei sembrare banale. Ma mi pare non sia questo il punto. Permettere a tutti d'accedere ad Internet non risolve i problemi. Forse bisogna comunque mettersi dalla parte di chi è senza. Senza lavoro, senza casa, senza documenti, prima. Una volta risolti questi problemi potremmo anche occuparci di fornire a tutti un accesso ad Internet. Certo, ma nel frattempo? Noi abbiamo accesso ad Internet. Posso permettermi di approfondire nuovi percorsi, senza la preoccupazione di non aver niente da mettere in tavola, anche se poi il vivere e rapportarsi agli altri in questa situazione, in cui non ho un lavoro normale è comunque un rapportarsi complesso, doloroso a tratti.

Alla ricerca di un cyber guru. Che ci indichi la strada. Che ci dia la possibilità di comprendere la molteplicità e l'unità del tutto. Che ci permetta di esprimere compassione, gioia e felicità nei confronti di tutti gli esseri umani. Virtuali e non. Nel cyberspazio alla ricerca di una dimensione spirituale che come umani portiamo con noi ovunque andiamo. Alla ricerca di un cyber ashram dove depositare i nostri bagagli e assaporare le parole del maestro. Seguire i suoi insegnamenti. Bearci delle sue parole. Vivere nella sua luce. Immergerci nel suo carisma. Rivitalizzare la nostra dimensione spirituale. Estenderci ed espanderci fino ai confini del cyberspazio e entrare in profondità all'interno della nostra mente rele e virtuale. Arrenderci agli insegnamenti del maestro. Pronti ad imparare e intonare cyber mantra gioiosi e festosi. Sorridenti muoverci nel riscoperto cyberspazio come anime che cercano di fuggire le reincarnazioni infinite e i dialup quotidiani per giungere finalmente a capire l'essenza nostra e del tutto. “Donaci maestro un cyber mantra da recitare quando saremo soli, quando ritorneremo nel mondo, quando parole come new economy, copyright, privacy, download, cercheranno di cancellare quanto abbiamo imparato.” Nel Cyberspazio anche alla ricerca di percorsi inediti che ci conducano a riscoprire la nostra spiritualità. Ma dove trovare i guru? Come entrare nelle communities dove seguaci e seguaci lottano quotidianamente per accaparrarsi un sorriso o un cenno del capo del maestro? Come attraversare momenti impervi e difficoltà per arrivare a riposare nella luce abbiagliante dell'infinito. Come continuare a cercare?

Insieme alla nostra dimensione spirituale portiamo in Internet anche la nostra dimensione sociale e politica. E allora eccoci alla ricerca anche di un cyber manifesto. Un condensato di saggezza politica che ci illumini nel momento delle scelte politiche e sociali quotidiane. Tracce di percorsi e tentativi per arrivare a condensare verità in movimento e per combattere forze inerziali che ogni giorno mutano. Utili nei momenti di maggior sconforto. Quando sembra che la rete sia solo un parco dei divertimenti, quando sembra che in rete nessuno pensi o si occupi di impegno sociale e politico. Utile nei momenti di solitudine. Utile comunque. Particolarmente all'inizio. All'inizio di un cammino che potrebbe portarci ad approfondire queste tematiche e ad aggregarci a progetti e atti concreti di solidarietà.

Cybma. E' l'unione di due parole. Abbreviate per semplicità. Di cui una è una costante (la parola Cyber) e sta ad indicare la posizione fisica e mentale dove ci troviamo ad agire e l'altra è una variabile (ogni volta diversa, ma) . Cyber-ma. Ovvero: cyber manuale, cyber mantra, cyber manifesto, cyber manovale, cyber Marie, cyber maturità, cyber matricola, cyber marginale.

Nel tentativo di approfondire la completezza del nostro essere umano anche in rete, approfondiamo i campi dell'agire umano. I campi del nostro impegno virtuale. Impegno politico e sociale, impegno spirituale, impegno nel lavoro quotidiano. Per un tentativo di percorrere sentieri interrotti, link interrotti e ritrovarci di fronte ad una pagina bianca. Simbolo della purezza della nostra anima. O nello stupore che ci coglie quando rimaniamo sopraffatti da innumerevoli finestre che all'improvviso si aprono dal nulla e scuotono e smuovono la tranquillità della nostra vita. Imprevisti. Spazi mentali aperti da un link spezzato, da una lettura attenta di esperienze e riflessioni altrui, da inaspettati avvenimenti. Dallo stupore che sembra ancora così presente in questo cyberspazio. Dalla meraviglia. Altro ingrediente abbondante nell'ecosistema virtuale.

Cyber mantra, cyber manifesto, cyber manuale. cyb-ma. cybma. Una molteplicità di approcci al molteplice mondo che come umani abbiamo ricreato nell'ambiente virtuale. Pronti ad intraprendere percorsi di ricerca e di scoperta, di impegno e di solidarietà, di spiritualità e di meditazioni, di divertimneto e di apprendimento, di gioco e di comunicazione, di comunità e di solitudine, che anche il cyberspazio ci propone. Cyber maestro. Cyber maddalena. Cyber magia. Cyber malattia. Cyber marketing. Cyber martire. Ed altro ancora.

In verità la rete, Internet, è sempre stata un terreno dove difficilmente hanno attecchito cyber manifesti o cyber mantra. Internet è fondamentalmnete una struttura che non apprezza la staticità tipica di un manifesto virtuale, o la ripetitività di un mantra, sempre identico a se stesso. Internet, fondamentalmente e metodologicamente, è un ecosistema vivo, aperto. Apprezza e considera tutto quello, e solo quello, che è vivo, che è in movimento, cio che è mutevole, che racchiude in sè qualcosa di vitale. Non apprezza le cose statiche, denigra e deride, squalifica le cose vecchie. Si nutre solo di cose nuove, e di continue innovazioni, dei continui e repentini cambiamenti, delle quotazioni quotidiane. Che sia vera vita? Rimane comunque un mondo che racchiude in sè una distanza, una frattura, una lontananza dalla vita reale, anche se la lontananza in oggetto è infinitesimamente più piccola rispetto a quella a cui eravamo abituati con i libri prima, e la televisione poi. Promette disintermediazione, immediatezza e invece riproduce modelli millenaristici e secolari, e modifica solo la distanza. Riduce ulteriormente la distanza senza comunque arrivare alla realtà? In Internet comunque manifesti, mantra non trovano terreno fertile. Mentre nutrimento per crescere trovano tutte quelle iniziative che si riproducono con forti ritmi, che innovano continuamente, che garantisco all'utente notizie, documenti, immagini sempre nuove.

Come conciliare allora la staticità di un libro con la natura di Internet? Come conciliare l'immobilità di un racconto, di un trattato, con la immediatezza di un media quale Internet? Difficile dirlo. Potrebbe sembrare che questi vecchi strumenti siano sorpassati. Siano inadeguati e anacronistici rispetto alle modalità di sviluppo e di comunicazioni dellla rete. Potrebbe sembrare un controsenso presentare in internet un testo compiuto, definito, circoscritto quando in internet siamo abituati a ridefinire il tutto rapidamente, siamo abituati a rielaborare le informazioni in tempo reale, siamo abituati a riconsiderare le modalità di apprendimento e di esperenzialità che ci hanno accompagnato per tanti anni. Presentare un testo con queste caratteristiche nell'epoca di internet potrebbe equivalere al piantare una lapide. Un monumento a futura memoria. Statico, immobile, inutile, indiscutibile, immodificabile. Come uscire da questa situazione? Come agire allora in internet? Come lavorare allora in Internet? Come presentarsi e presentare il proprio lavoro?. Il modello dell'intervento giornalistico rimane allora l'unico approccio plausibile? Il modello del commento veloce, rimane l'unica possibilità reale? E' finita con internet l'era della produzione letteraria come l'abbiamo finora intesa? C'è la possibilità solo di interventi veloci e leggeri. Veloci come il pensiero, e consoni all'attenzione umana?

Questo testo si allunga quotidianamente. Diventa qualcosa di solido, di consistente. Sembra mettere radici e affondare sul terreno della ricerca. Resiste ancora timidamente alla intemperie atmosferiche e sembra apprezzare il clima primaverile attuale. Cresce. E'piacevole ritrovarsi a scrivere. Seduti al computer. Certo devo confrontarmi con questo stile esile e frammentato. Con questa incapacità di costruire metafore, e simboli, personaggi e avvenimenti più complessi. Robusti. Solidi. Anoressico. Anche nella virtualità. Anche nella scrittura. Magro. Di costituzione. Marzia si è alzata adesso. Giada è all'asilo. Anche se questa mattina e ieri sera aveva un po' di tosse. Ha iniziato a dormire nella sua camera. Questa mattina si è svegliata alle sette e ha chiamato. Mi ha raccontato il sogno, il brutto sogno che ha fatto. Una biscia la protagonista. Che la spaventava. Che cercava di morderla. Sto scrivendo un articolo. Argomento l'arrivo degli uomini ad occupare posizioni fino ad ora occupate da software e robot. Uomini alla conquista di territori fin a poco tempo fà zona incontrastata dei motori di ricerca. Uomini che si trasformano in guide, in esperti, pronti ad aiutarci nelle nostre ricerche. Uomini che hanno deciso di spostare una parte della propria vita ed attività professionale nel Web. Uomini che hanno stretto accordi con nuove aziende che operano in Internet per fornire loro la propria attività lavorativa. Ancora essenzialmente part time. Ma non ci vorrà molto perchè possa trasformarsi in attività lavorativa a tempo pieno.

Riflettevo in questi giorni sul fatto che mi piacerebbe riuscire ad inserire all'interno di questo testo degli interventi o dei racconti di altre persone. Rendere quest'opera aperta ad interventi diretti di altre persone. Inserire tra una riflessione ed un altra, un racconto, un saggio, una riflessione di qualcun altro. Non ho capito come potrei concretizzarla. Non ho capito quale potrebbe esserne il senso? Anzi per l'esattezza continuo a chiedermi anche qual'è il senso di questo scritto. Come considerarlo? Quali sono le sue finalità? Quale il lettore a cui è destinato? Come pubblicizzarlo? Quale la campagna di marketing? Quale il risultato? Quali le motivazioni? ... Un'infinità di domande. Continue. Proviamo allora a rispondere ad alcune di queste domande. Direi che innanzitutto mi piacerebbe poter costruire qualcosa di complesso. Mi piacerebbe assemblare un prodotto robusto. Che possa crescere con tranquillità. In grado di passare da una fase di infanzia ed adolescenza ad una fase di maturità. Mi piace poi l'idea di poter scrivere qualcosa per Internet. Di produrre qualcosa per il Web. Rompendo in qualche modo la tradizione di presentare in Internet solo testi brevi, articoli in formato notiziario. Rompere con la tendenza che vede in Internet solo e per la maggior parte elenchi di link. Dettagliati elenchi di link, aggiornati elenchi di link, completi elenchi di link, oppure notizie giornalistiche e aggiornamenti modello Ansa. Poi mi piace l'idea di presentare un modello di scrittura e di racconto personale. Un modello che combini notazioni di vita umana ed esperienze virtuali. Che esplori come mi muovo quotidianamente tra virtuale e reale. Un modello di racconto che privilegia il rapporto che si crea tra l'uomo, il singolo e la tecnologia. Un racconto immediato. Trasparente. Perchè la trasparenza è un modello di vita a cui dobbiamo abituarci. Con cui dovremmo convivere sempre più spesso. E poi anche per esercitarmi nello scrivere. Scrivere è un'attività che si acquisisce con l'esercizio. Ripetuto e quotidiano. Quello, appunto, che sto cercando di fare. Per verificare quali siano esattamente le mie capacità. Per controllare se nascoste da qualche parte le mie doti di scrittore aspettino di essere risvegliate. Per diventare un “Content provider”. Ovvero chi si occupa di fornire i contenuti ad un sito Web. Una figura importante. Che comincia ad acquistare giustamente una posizione. Dopo l'epoca dei tecnici, come sempre, e la storia lo insegna, arriva l'era dei professionisti. Io, professionista non posso dire di esserlo. Mi piace pensare che potrei diventarlo. Mi piace pensare che questo esercizio di scrittura possa servirmi a diventarlo. Non perchè desideri far parte di quella schiera di persone, professionisti solo di nome, che si arroccano dietro un titolo acquisito in qualche modo e pensano di poterlo conservare solo impedendo che qualcuno lo rubi. Ma perchè poter essere responsabile dei contenuti editoriali di un sito è indubbiamente una profesione stimolante e gratificante.

Silenzio, prego. Proviamo un attimo a fermarci. Solo il rumore della ventola del computer. E quello dei tasti premuti sulla tastiera. Esame di coscienza quotidiano. Di cosa scrivere oggi. Di qualcosa che sia veramente importante. Determinante. Nodale. Qual'è il centro della nostra esperienza in Internet? Quali sono le problematiche più importanti su cui è necessario soffermarsi. Di cui è obbligatorio parlare. Quali? Pausa. Silenzio. Imparare a non isolarsi. Imparare ad uscire dall'isolamento. Imparare a rompere le forze inerziali che ci impediscono di compiere i primi passi per stabilire dei contatti. Ho sempre ritenuto che questo fosse un tema centrale della vita online. Se si tratta di vita online, deve essere una vita che permette, incoraggia, stimola i contatti e le relazioni. Inutile ricordare quanto per ciascuno di noi, per le nostre capacità di apprendimento, per la nostra capacità di crescita, di scoperta, di gioco, di riflessione, siano importanti le relazioni. Siano importanti gli altri. Ed allora ecco affacciarsi il discorso sulle relazioni, sui contatti online e, più avanti il discorso sulle comunità virtuali. Terreno difficile da affrontare, terreno minato da vivere. Sono due discorsi distinti. Rappresentano due livelli distinti della nostra socialità online. Il primo livello ha a che fare con le relazioni con singoli. E ha a che vedere con qualsiasi tipo di relazione nasca e si sviluppi con singoli altri abitanti virtuali. Non ha importanza per me, per il momento stabilire se poi questi incontri, queste frequentazioni, si trasformino in conoscenze face 2 face. In incontri reali. A me interessa far presente quanto sia fondamentale iniziare ad utilizzare internet per intrecciare relazioni, per stringere contatti. Siamo animali sociali anche nel Web. Chi più chi meno. Tutti siamo disponibili a iniziare a parlare con qualcuno, e nel caso la conversazione sia piacevole a cercare di protrarla. Cercare di ripetere quell'esperienza. L'altro grande tema ha a che vedere con la costituzione di vere e proprie comunità online. Gruppi di persone che formano un'unità intorno a un tema o ad un progetto. E la forza, la convinzione che li lega a questo progetto diventa la colla o il cemento di un'unità complessa che prende il nome di comunità. Sono, nella mia esperienza, strutture flessibili che tendono al raggiungimento di un obiettivo preciso. Nascono come progetti a termine. Con un obiettivo che ha una collocazione spazio temporale precisa. E quando questo obiettivo viene raggiunto le finalità della comunità si esauriscono. Quando una comunità raggiunge il suo scopo esaurisce la sua motivazione d'essere. A quel punto viene meno la motivazione, la colla, la forza che univa saldamente un insieme di singoli. Esistono anche molte comunità che non hanno obiettivi specifici, hanno regolarmente una vita media molto più lunga, hanno però una coesione interna molto minore, hanno una frequentaz

Micro Sovversioni #MicroSovversioni

Un Racconto Per un Monologo Per un Video Monologo di Giorgio Viali

Scritto: 14 luglio 2001

Lunedi' 9 luglio sono andato alla festa di Radio Sherwood a Padova ad ascoltare Toni Negri e Massimo Cacciari. “Dal Fordismo alla Globalizzazione” ricordando Luciano Ferrari Bravo, una discussione sui suoi ultimi scritti. Martedi' 10 sono stato a Trento ad ascoltare Svetlana Broz, che presentava il suo libro (non ancora tradotto in italiano) dal titolo “Uomini giusti in tempi malvagi”. Mercoledi' 11 ho ascoltato Paolo Crepet che parlava del suo ultimo libro: “Non siamo capaci di ascoltarli”, sul difficile dialogo tra generazioni diverse.

Non mi sarei mai aspettato di incontrare Marta a Padova. E' stato piacevole rivederla. All'improvviso. E non aver il tempo di realizzare che era lei. Non aver il tempo di elaborare quello che stava accadendo. Vederla e immediatamente toccarla. E poi ridere. Allegramente. E realizzare che era li'. Davanti a me. Che mi guardava e sorrideva anche lei. “Devi uscire a Padova Ovest e poi seguire le indicazioni per lo Stadio Euganeo” cosi' mi aveva detto, al telefono, una ragazza che lavora a Radio Sherwood. Sono uscito a Padova Ovest e ho seguito le Indicazioni per lo Stadio Euganeo. Ho parcheggiato nell'ampio parcheggio esterno. Ho chiuso la macchina e sono entrato nel recinto che delimitava il Festival. Qualche bancarella. Alcuni stand dove mangiare. Non c'era molta gente. Ma i giornalisti erano gia' al lavoro. Intorno a Massimo Cacciari due giornalisti e un cameramen. E poco piu' in la', sotto un tendone bianco, dove era allestita una mostra di dipinti, Toni Negri. L'ho visto di spalle. Ho intuito che era lui dal fatto che fosse circondato da cameramen e giornalisti. Dai capelli bianchi della nuca e dalla corporatura. Solida e robusta. Mi sono avvicinato. E l'ho visto. Era proprio lui. L'immagine della sua faccia corrispondeva alle tracce e ai punti di riferimento grafici che avevo del suo volto. Braccia conserte. A casa. Parlava. Alle sue spalle un grande dipinto. Non ricordo esattamente l'immagine del dipinto. Ricordo un fiore, uno sfondo nero. La miseria umana e la poverta' subita. La violenza. La paura. La speranza anche. La speranza che non ci sia piu' nessuno che debba subire ancora. Toni Negri parlava. E ad un certo punto i suoi occhi e la sua voce non sono piu' riusciti a soffocare emozioni profonde che aspettavano solo d'uscire, di rivelarsi. Qualcuno dei giornalisti aveva riproposto, di nuovo, qualche domanda sul G8, sulla globalizzazione. E l'emozione, braccia conserte, era esplosa nella sua voce e nel suo sguardo. Parlava e la sua forza, il suo impegno, la sofferenza anche, il desiderio di cambiamento, l'incapacita' di abdicare alla liberta', l'intransigenza, tutto questo ( e altro), contemporaneamente, rompeva e scardinava il consueto, devastava lo stereotipo del politico imperturbabile, riportava prepotentemente nella politica il sentire e l'emozione. Poi qualcuno l'ha sottratto ai giornalisti e ai cameramen. E Toni Negri, con tutto il gruppo dei relatori, si e' seduto attorno ad un grande tavolo. Mentre giornalisti, cameramen, fotografi si sono sparpagliati qua' e la'. Qualcuno, a debita distanza, seduto. Qualche altro fermo in piedi. In attesa, tutti, della prossima occasione. Non so quanti anni abbia. Non lo so' proprio. Non gliel'ho chiesto. Non sto parlando di Toni Negri. So' l'eta' di Negri. La stampa riportava che compira' 68 anni in agosto. Parlo di Marta. Non so' quanti anni abbia. Non lo so' proprio. Provo anche a chiedermelo. Potrebbe averne 26, 27. Ma non ne sono sicuro. Non ho ricordi precisi del mio incontro con Marta. Solo piccoli frammenti di quello che e' succeso. Un bacio quando ci siamo salutati. La gioia di averla incontrata. Cosa abbiamo fatto? Di cosa abbiamo parlato? Cosa stava facendo nel momento in cui l'ho vista? Non lo ricordo. Per quanti sforzi faccia non ricordo esattamente dove eravamo. Ricordo solo di averla sfiorata sul fianco e di aver poi visto i suoi grandi occhi. Ricordo la mia sorpresa. L'incredulita' di vederla li'. Una grande gioia. Mista ad una consistente incertezza. Sul da farsi. Sulle mie emozioni. Non so' quasi niente di Marta. E forse e' proprio questo che mi attrae. Apprezzo il suo carattere aperto. La sua sensibilita' che si intravvede chiaramente. La sua capacita' di sorprendermi. Come quando dimostra di conoscere persone che non conosco. E che giocano un ruolo ben definito all'interno di connessioni antagoniste e di movimenti interconnessi. Ricordo Beatrice, la sua amica. Parlo con entrambe. Ho un gran bisogno di parlare. Di raccontarmi. Cerco di non esagerare. Si parla della serata. Di Toni Negri. Di Massimo Cacciari. Marta mi dice che avrebbe voluto parlare con Toni Negri. Chi non avrebbe voluto farlo? Le dico che quando sono arrivato Negri parlava con i giornalisti. Si dispiace di essere arrivata tardi. Ma andiamo con ordine. Ho incontrato Marta al termine dell'incontro. Subito dopo che Massimo Cacciari aveva concluso la serata. E Toni Negri era salito velocemente in un'automobile pronta per accompagnarlo in questura a firmare per una liberta' ancora non completamente matura. Andiamo con ordine. Ho lasciato i relatori intenti a leggere il menu, seduti al tavolo del ristorante. Pronti per ordinare. Cosa ho fatto poi? Mi sono informato su dove si teneva l'incontro. E qualcuno mi ha detto che l'incontro si sarebbe tenuto nel grande palco allestito al centro della festa. Lo stavano ancora preparando. Stavano sistemando le luci. C'era gia', sul palco, una lunga serie di sedie allineate. Pronte. Sono ritornato sui miei passi e sono entrato in uno stand-libreria. C'erano tutti (oltre ad altri che non conosco), tutti i libri di cui ho sentito parlare. Di cui ho letto le recensioni. Tutto quel piccolo universo culturale stampato che gravita intorno ai movimenti anti-globalizzazione. Territorio che confina con le tematiche della comunicazione virtuale. Con il consumo intelligente. Con il subcomandante Marcos. C'era anche un piccolo scatolone. I libri all'interno dello scatolone erano scontati del 50%. All'interno un libro di Howard Rheingold. Titolo: La realta' virtuale. Lo prendo im mano. Lo tocco. Lo apro. Cerco la data di pubblicazione:1992.
Passo poi a guardare i libri non scontati. Disposti, allineati con ordine sopra tavoli bianchi. Ricordo tre copie di No Logo. Brillanti. Ricordo di non aver resistito alla tentazione di toccare il libro. Di aprirlo. Sul retro, se non ricordo male, una fotografia dell'autrice. Naomi Klein. L'unico libro che avrei voluto acquistare era un libro sulla Macedonia. “Gli altri Balcani”. Associazionismo, media indipendenti e intellettuali nei paesi balcanici. Me lo aveva segnalato, quello stesso giorno, alla mattina, al telefono, Paola. Dell'Osservatorio sui Balcani. Responsabile referenti nei Balcani. L'ho preso in mano. E ho riflettuto sul fatto che, invece di essere a Padova, avrei potuto essere a Skopje, capitale della Macedonia. Ho riflettuto sul fatto che avevo quasi organizzato tutto per andare in Macedonia. Per andare a vedere quanto stava e sta accadendo. Per aiutare, in qualche modo, il difficile processo di pace di quel paese. Poi i relatori, arrivano. A gruppetti. Ultime interviste prima di entrare nell'arena per i giornalisti ritardatari. Poi tutti sul palco. Tutti trovano posto, su sedie di plastica verdi, omogenee. Tanta altra gente, seduta o in piedi, intorno, aspetta. Comicia gia' ad essere scuro. Si provano i microfoni. Poi inizia a parlare Giuseppe Caccia. Non ricordo cosa ha detto Caccia. Ricordo chiaramente il suo tono di voce. Ricordo di aver percepito una tensione nella sua voce, ma non era emozione. L'emozione era presente in piccole dosi, quasi sempre sotto controllo. La tensione e un parlare veloce, energico e intenso, assumevano un ritmo serrato. In un rincorrersi veloce di frasi, di definizioni, che si perdevano velocemente tra la gente che ascoltava. Il discorso e' passato velocemente. Non e' stato breve. Ma e' stato continuo, senza interruzioni, senza sbalzi. Senza scarti. E dopo un breve intervento del rappresentante degli studenti della Facolta' di Scienze Politiche di Padova ha parlato Massimo Cacciari. E si e' entrati di prepotenza al centro del dibattito. La figura di Luciano Ferrari Bravo e il suo lavoro intellettuale hanno cominciato a definirsi nei contorni e ad assumere caratteristiche e connotazioni precise. Iniziavo a intravvedere un territorio e iniziavo ad avere la possibilita' di orientarmi e di collocare Luciano Ferrari Bravo all'interno di un contesto. Non conoscevo quest'autore. Mi ero imbattuto sicuramente in qualche suo scritto. Ma per me, lunedi' sera, Luciano Ferrari Bravo era un eminente sconosciuto e il titolo del suo libro “Dal Fordismo alla Globalizzazione” aveva contribuito a rendermelo indifferente, invece che alimentare la mia curiosita'. Tutti, oggi, parlano di postfordismo. Tutti, e ancor di piu', parlano, oggi, di globalizzazione. Era il motivo per cui avevo deciso di non andare all'incontro. Cacciari ha parlato a lungo. Con competenza. Senza emozione. Ma con consapevolezza. Con la lungimiranza di un uomo navigato, esperto del mare della filosofia. Con l'occhio di chi sa' riconoscere percorsi fasulli da innovazioni autentiche. Di chi sa' orientarsi compiutamente nel territorio del lavoro intellettuale universitario. Un po' disilluso. Un po' staccato. Elegante. Impeccabile come sempre in un completo dal colore intenso ma inusuale. Mi ha dato l'impressione di esser diventato piu' riflessivo e di aver compreso l'importanza delle sfumature, soprattutto quelle umane. Mi ha sorpreso la sua capacita' di selezionare alcuni percorsi di Luciano Ferrari Bravo, percorsi che sento vicini. Mi ha sorpreso la descrizione di Cacciari di un tessuto reticolare. L'importanza di porre l'attenzione alle peculiarita' di ogni nodo della rete. Perche' ogni nodo della rete assume connotazioni, valenze, prospettive diverse. Perche' ogni nodo ha capacita' strutturali e funzionali diverse. Potenzialita' diverse. E' fondamentalmente diverso. Mi e' piaciuta la rappresentazione di questo tessuto reticolare. Dove non si e' in presenza di una rete astratta. Ma di un tessuto concreto. Vitale. Connesso. Cacciari ha poi portato l'attenzione sull'interpretazione di federalismo di Luciano Ferrari Bravo. Un federalismo che si trasforma completamente e assume solida vitalita' perche' viene ridefinito e collocato in un contesto nuovo. Quello della nuova realta', disomogenea e impermeabile alle vecchie categorie e agli stereotipi univeristari. Il federalismo assume allora una sua peculiarita', la discussione sul federalismo assume motivo d'essere. Dentro un contesto vitale dove si dissocia dalla figura dello stato e da definizioni giuridiche collaudate, per assumere una connotazione positiva, propositiva e antagonista. Un mettere al centro quello che usualmente e' marginale, tutti quei movimenti, quelle realta' vitali che sono invece la forza reale del tessuto sociale e politico. Un tocco da maestro. La dimostrazione dell'abile capacita' di Luciano di trasformare, sovvertire e rendere antagonisti stereotipi altrimenti estremamente pericolosi. Il microfono poi passa nelle mani di Negri. E l'emozione sgorga subito prepotente. La sua passione, la sua intransigenza salgono subito in superficie. Violentemente. Prepotentemente. Alimentate da una inesauribile energia sotterranea, supportate da una vita intera di pensieri e azioni. Di scontri e di passioni. Negri non ha potuto fare a meno di ripercorrere dall'inizio il percorso di Luciano Ferrari Bravo. Partendo dai suoi primi scritti. “La sua azione intellettuale è un modello di analisi marxista radicata nella lotta degli uomini, dalle teorie sull'imperialimo alla critica dello Stato nazione. Luciano ha intuito il declino del keynesismo circondato dal silenzio impotente del movimento operaio. Da lì siamo partiti per costruire una nuova teoria sovversiva, di resistenza allo Stato globale, di antagonismo non subalterno al dominio capitalistico sul mondo”. Ma l'attenzione di Negri si posa fin da subito su considerazioni metodologiche. Sul metodo di lavoro di Luciano. Negri ce ne parla. Ce lo descrive. Luciano raccoglie piu' informazioni possibili, le inserisce e le accumula pesantemente all'inizio del lavoro. Sembra voler riempire la discussione di possibilita' e percorsi gia' delineati. E poi dopo averci sommersi, dopo averci spiazzato, dopo averci completamente confusi, inizia un lavoro attento e preciso di analisi e di ricollocazione e ridefinizione di tutti gli elementi in gioco. Con una intensita', con una volonta', con un metodo puntuale e sempre verificato. La figura e le caretteristiche intellettuali di Luciano Ferrari Bravo continuano cosi' a definirsi sempre con maggior precisione. Ma ancor maggiormente si definisce e si manifesta il carattere di Negri. La sua forza emotiva, il suo materialismo congenito, la sua perentoria binarieta', il suo manicheismo strutturale. Un dualismo emotivo che impera e travolge. Che svela la realta' e che si configura come l'unica possibilita' che abbiamo per trasformare la materia stessa. L'unica possibilita' per accedere al sapere, e l'unica via per trasformare il reale. L'emozione incontenibile, la passione, l'indipendenza di Negri non possono non far breccia. Attraversano e infrangono fragorosamente quello spazio asettico e impersonale che tutti noi cerchiamo di assegnare alla politica e alle relazioni sociali. Elimina improvvisamnete ogni possibile scusa. Ci colloca inesorabilmente di fronte alle nostre responsabilita'. Alle necessita' inderogabili degli altri. Alle emozioni che la politica ha sotterrato lontano e che cerca di clonare virtualmente. L'intervento di Negri non lascia spazio a possibilita' di fuga. Ci accerchia. Non ci da' tregua. Ci impone un confronto diretto. Ci presenta l'intensita' della presenza umana. Intrisa di carne e di emozioni. Come ignorare questo messaggio? Come fare a nascondere quel territorio inerte, lontano, nascosto che rappresenta il nostro impegno sociale e politico? Come e dove nasconderci ancora? Come non ripartire? Non riprovare? Come non permettersi un'altra possibilita'?Da portare avanti con passione e con metodo. Con tenacia e con ostinazione. Con consapevolezza e amore. Cosa aggiungere a questo mio racconto? Mancano ancora molti particolari di quanto e' successo. Qualche altra persona che ho incontrato. Qualche altro libro che ho sfogliato. Non posso non raccontare che al termine del primo giro di interventi l'incontro e' stato chiuso da una replica di Toni Negri e da un ultimo intervento d Massimo Cacciari. In una chiusura emblematica. Forte. Aperta. Dove le posizioni dei due relatori si distanziavano e prendevano inesorabilmente delle connotazioni e delle posizioni diverse. L'incontro si chiudeva con un piccolo accenno di confronto, di discussione. Si chiudeva nel momento in cui iniziava la possibilita' di un dialogo. Che rimaneva appena abbozzato, appena accennato. Infantile. Prendeva le forme di una contrapposizione. Di una diversita' di opinioni. Rimandando fortemente ad una necessaria e inevitabile indipendenza e autonomia delle posizioni di ciascuno. A questo punto ho incontrato Marta. E quando se ne e' andata, con i suoi amici, sono rimasto al festival a gironzolare. In fondo, sulla destra, su un grande schermo proiettavano un film.

Martedi', nel tardo pomeriggio, sono partito per Trento. Mi sono fermato a fare benzina prima di entrare in autostrada. Tra un sorpasso e un altro, in un momento di tranquillita', mi e' venuta la tentazione di verificare quando scadeva l'assicurazione. Ricordavo chiaramente che il bollo scadeva in agosto, ed ero convinto che anche l'assicurazione scadesse nello stesso periodo. Prendo il tagliando e mi accorgo con grande sorpresa, che l'assicurazione e' scaduta il 6 luglio 2001. Panico. Che fare? Tornare? Decido di continuare. E poi di tornare per la strada normale. Arrivo a Trento. Parcheggio prima possibile. Lontano dal centro e da possibili controlli della Polizia. Chiedo informazioni su come arrivare in Piazza Dante. Percorro un sottopassaggio. E sbuco davanti alla stazione. Piazza Dante e' proprio li'. E il Palazzo della Regione e' a poche centinaia di metri. Quando entro nel Palazzo e salgo al secondo piano mi accorgo di essere uno dei primi ad essere arrivato. Mi siedo. E aspetto. La giornata di martedi' e' passata velocemente. Pensando a Marta. A quella complicita' che mi pareva di aver letto nei suoi occhi. A quella completa solidarieta' nei momenti di dialogo. Al suo sorriso. Alle sue parole. Alle sue espressioni. A quanto ci eravamo detti. A quel bacio finale. Un bacio formale. Staccato. Senza un abbraccio. Ma denso di rispetto. Caldo. Intenso. Con la voglia e la tentazione di telefonarle. Di sentirla. Per verificare. Per confrontare sentimenti ed emozioni. Con la speranza di rivederla presto. Ma cosa avrei detto a Marta se mi avesse chiesto cosa faccio. Di cosa mi occupo. Come mi guadagno da vivere. Faccio fatica a parlarne anche con me stesso. Cosa fai? Di cosa ti occupi? Come ti guadagni da vivere? E' piu' d'un anno che non lavoro. Che ho deciso di resistere. Che ho deciso di contrastare per quanto e' possibile un collocamento che considero estraneo. Insoddisfacente. Inaccettabile. E' piu' d'un anno che, con intensita', con coraggio, cerco percorsi alternativi. Difficili da raccontare. Difficili da comprendere. Cosa faccio? Di cosa mi occupo? Come mi guadagno da vivere? Scrivo. Mi occupo di informazione. Sto cercando di mettere in discussione alcune modalita' consolidate di produzione e di consumo dell'Informazione stessa. In un piccolo, quotidiano, movimento di resistenza, di coraggio, di costante tensione con l'ambiente che mi circonda e che si premura di presentarmi dei parametri e dei modelli che non riesco a incarnare. Nel frattempo la sala dell'Incontro ha iniziato a popolarsi. Una quarantina di persone. Niente in confronto con le duemila che il Manifesto stimava esser intervenute a Padova all'incontro con Toni Negri. Un piccolo pubblico. Prima di entrare nella sala mi decido a parlare con il ragazzo e la ragazza che avevano allineato una serie di piccole pubblicazioni su cui campeggiava il logo dell'Ics (Consorzio Italiano di Solidarieta'). “E' tempo di pace”, questo il titolo del libretto. Mi presento. Mi riconoscono. Entrambi. La ragazza si presenta. E' Paola. Ci siamo sentiti al telefono il giorno prima. Lunedi'. Le avevo chiesto informazioni sulle iniziative e sui progetti attualmente in corso in Macedonia. Mi aveva detto, gentilmente, di contattare l'Ics. Avevo allora telefonato all'Ics. E sorpresa delle sorprese, mi ero sentito chiedere, cortesemente, di ritelefonare dopo il G8. Come? Non ci posso credere. Chiedo informazioni su progetti in corso in Macedonia e una segretaria, cortese, dopo aver parlato con qualcuno, mi chiede di ritelefonare dopo il G8? Se non fosse successo non ci crederei. Non mi sono arrabbiato nel momento in cui mi e' stato chiesto di ritelefonare. E forse ho sbagliato. Sono rimasto troppo colpito dalla singolarita' della risposta. Dal suo valore simbolico. Sono rimasto stordito. Paola allora mi aveva chiesto di mandarle una mail. Assicurandomi che avrebbe fatto il possibile per darmi una risposta. Se riuscivo a pazientare qualche giorno. Entriamo insieme nella sala rosa. L'aria condizionata si sente appena appena. E l'incontro inizia. Con la presentazione cortese e ospitale di Passerini. Consigliere regionale e responsabile del Forum per la Pace di Trento. Passerini introduce Svetlana Broz e la sua interprete. Svetlana Broz e' una nipote di Tito. Medico cardiologo, ha vissuto le trasformazioni della Jugoslavia da un punto di vista privilegiato. Soprattutto per la sua scelta coraggiosa di prodigarsi, prima, ad aiutare la popolazione e per la decisione, poi, di scrivere un libro che parlasse non delle atrocita' e della miseria umana ma ricercasse, con uno scarto improvviso, orgoglioso e coraggioso, ricercasse gli uomini giusti che erano vissuti in quei tempi malvagi. Dando prova di un coraggio e di una generosa profondita'. Svetlana Broz inizia a parlare, tradotta non senza difficolta. E ci racconta come e' nata l'idea del libro. Come abbia scritto quel libro. Con quali difficolta'. Quanto inusuale sembrasse la sua idea. E quanto, allo stesso tempo, fosse necessaria. Svetlana Broz, a tratti, sorride. Ha uno sguardo apparentemente forte. Sicuro. Solido. Ma inaspettatamente, nella sua voce, trapelano momenti di intensa emozione. Si intravede, sotto quello sguardo orgoglioso, un universo emozionale delicato e profondamento ferito. Una vita difficile. Momenti di grande difficolta', episodi di incontro con una sofferenza umana violenta. Paralizzante. Devastante. L'esperienza del campo di concentramento. Esperienza non diretta, ma forse proprio per questo ancora piu' scardinante e incomprensibile. Seguo, da un po' di tempo, percorsi e traiettorie che a tratti sembrano lontani e inconciliabili, a tratti si avvicinano fino a sfiorarsi e sembrano sovrapporsi fino a costruire un unico e intenso flusso di azioni ed emozioni. Altre volte, invece, questi percorsi si svolgono parallelamente. Mantenedo una equidistanza che sembrerebbe impossibile. Geometrica. Sono fondamentalmente due percorsi. Il primo. L'originario. Parte dall'Informazione. Da una ricerca attenta e una riflessione inconsueta e spregiudicata sul ruolo dell'Informazione. Sul ruolo e sul consumo dell'Informazione. L'altra traiettoria si occupa della Macedonia. E si innesta sulla prima, anzi parte, nasce dalla prima e poi diventa indipendente. E a tratti si ricongiunge con le riflessioni sull'Informazione, arrichisce quella tematica di nuovi stimoli oppure ne ricava nutrimento. Ho scritto vari articoli sull'Informazione. Ho contattato varie realta'. Per verificare sul campo l'attendibilita' di alcune mie considerazioni. Per saggiare la bonta' delle stesse. Soprattutto per comprenderne l'aderenza alla realta'. La consistenza. La non virtualita'. Parlare di Informazione potrebbe sembrare un discorso astratto. Virtuale. Filosofico. Lontano e inconsistente. Ma non lo e'. Ci confrontiamo quotidianamente con l'informazione. La consumiamo. La produciamo. In un universo materiale, economico e sociale dove l'informazione gioca un ruolo importante. Centrale. Ma spesso dimenticata. Nascosta. Difficile da raggiungere. Perche' e' essenzialmente una componente determinante. Coinvolgente. Potenzialmente antagonista e sovversiva. Come dire? Una zona rossa. Un luogo impenetrabile. Dove pochi hanno il permesso di entrare. Fare Informazione vuol dire impegno concreto. Capacita' di confronto diretto con quanto accade. Vuol dire scegliere di cosa occuparsi, scegliere cosa leggere. Scegliere cosa fare. Come agire. Cosa chiedere. Cosa dare. In una correlazione cosi' semplice ma cosi' profondamente determinante. Dalle riflessioni sull'Informazione e' partita ad un certo punto l'attenzione per quanto accade in Macedonia. La Macedonia, un piccolo stato, nato dallo smenbramento della ex-Jugoslavia, sta vivendo da alcuni mesi una situazione di gravi tensioni interne. Dove tutti i presupposti, tutti i segnali, tutte le indicazioni, segnalano una situazione pericolosa, ancora sotto controllo, che potrebbe pero' sfociare in una devastante guerra civile. I contati , le trame che lentamente sono andato tessendo, iniziano a interagire e a dimostrare una loro concreta utilita'. I dialoghi instaurati. La continua proposizione di tematiche legate all'Informazione. Le domande che mi sono state rivolte. L'attenzione che qualcuno mi ha dedicato. La tensione che l'Informazione di per se' determina. Tutte queste, e altre componenti, si ricompongono a tratti fino a formare un disegno, una struttura, un framework, che permettera' di pensare e costruire esperienze e progetti innovativi. A Padova ne ho parlato brevemente con Giuseppe Caccia. E ne ho parlato anche con una responsabile di Radio Sherwood. Non ricordo il suo nome. Me ne scuso. Mi ha guardato. Incerta. Indecisa su come classificarmi. Ma solo per un attimo. Poi, il mio abbigliamento e il mio lessico, l'hanno indotta a collocarmi inesorabilmente in un territorio lontano. Straniero. Emarginato. Non indossavo la divisa che si aspettava. Una divisa antagonista, che le avrebbe permesso di riconoscermi senza la fatica di guardarmi negli occhi. Eppure l'Informazione per una Radio dovrebbe essere motivo continuo di confronto. Di analisi. Di riflessione. Di attenzione. Di verifica. Di osservazione. Luogo privilegiato per un'informazione aperta. Aperta lato utente. Un'informazione attiva. Un'Informazione che non sia chiusa. Che non informi solo e perentoriamnete su quanto e' gia' accaduto. Come un bollettino di guerra che si limita ad elencare i caduti. L'informazione dovrebbe produrre aperture. Emozioni. Possibilita' di riflessione. Stimoli al confronto. I proclami di Luca Casarini cosi' presenti e centrali nell'informazione di Radio Sherwood rappresentano un'informazione chiusa. Un proclama. Un bollettino. Hanno un senso sovversivo nella stampa tradizionale, commerciale. Ma proprio non hanno un senso sulla stampa e sull'Informazione alternativa. Rappresentano qualcosa di chiuso. Profondamente inutile. Una Informazione che diventa rassicurante, come l'intrattenimento. E il consumismo. Seguo con attenzione quanto Svetlana Broz e l'interprete ci raccontano. Il perche' di quel libro. Le difficolta' nello scriverlo. La difficolta nel far capire agli altri l'importanza del lavoro. Il progetto della costruzione di un Giardino dei Giusti. Dove si piantera' un albero per ogni Giusto. L'interprete a tratti si fa' aiutare da Paola. Si scusa. Senza addurre motivi formali della sua difficolta'. Apertamente chiede aiuto quando non riesce a trovare la parola corretta. Paola aiuta. Ma senza troppa generosita'. Al termine della presentazione del libro, dopo la lettura di un piccolo brano del libro, si da' spazio alle domande. E questo spazio di confronto diventa la parte piu' importante della serata. Apre un momento di confronto. E anche di scontro. Mi e' rimasto impresso l'intervento intenso, apparentemente controllato, di una signora che ha vissuto, direttamente, l'epoca della pulizia etnica del regime del MarescialloTito. Il nonno della Svetlana Broz. Ha ricordato come in quegli anni le minoranze etniche, quella italiana inclusa, erano state costrette ad abbanfonare la Jugoslavia. L'istria per l'esattezza. Per andare a vivere altrove. Le parole pacate, le varie repliche, l'interesse sentito per una risposta che diventava personale, nascondevano un profondo abisso di incomprensione, una emozione ancora viva e attiva, una ansia e una rabbia ancora presenti, dopo tanti anni. Ho avuto anch'io la possibilita' di fare una domanda. Veloce. Sulla situazione in Macedonia. Svetlana Broz mi ha fatto capire quanto sia preoccupata. La Macedonia sembra non aver imparato niente. A dimostrazione di quanto sia difficile apprendere e imparare, anche quando si e' circondati da persone che hanno gia' sperimentato percorsi che si sono rivelati devastanti. La Macedonia e' fino ad ora rimasta esclusa dalla violenza etnica e nazionalista che ha invece colpito violentemente gli altri stati della Jugoslavia. Ed ora sembra esser pronta a ripetere gli stessi errori degli stati vicini. Sembra pronta a percorrere la stessa strada. Svetlana Broz e' preoccupata. E' convinta che ci siano tutte le premesse per una violenta e cruenta guerra civile. Quando le chiedo se pensa che un intervento della Nato possa aiutare la situazione mi dice semplicemente che preferisce dieci giorni di tregua ad un sol giorno di guerra. E mi ricorda che non e' una politica. E che non sa' dare una risposta alla mia domanda. Ricorda quanto sia rimasta sorpresa del fatto di esser andata in Macedonia durante una delle ultime tregue. Ricorda di aver lasciato la Macedonia tranquilla. Ricorda il suo stupore e la sua increduliota' nell'apprendere, qualche giorno dopo, dalla televisione come una gran folla avesse assediato il parlamento macedone, chiedendo eplicitamente la distrubuzione di armi ai civili. L'incontro si e' poi chiuso con alcune domande che hanno improvvisamento affrontato il problema di come vivere dopo aver sperimentato l'odio e la violenza. Di come affrontare il ricordo. Di come pensare al futuro, costruire il presente, senza dimenticare e sotterrare il passato. In questo, tutto personale, percorso di avvicinamento alla realta e alla situazione macedone, ho attraversato varie fasi. Come giornalista avevo deciso che sarei andato in Macedonia. Per vedere direttamente quanto stava accadendo. Per raccontarlo agli altri. Per sensibilizzare l'opinione pubblica. Poi ho deciso di non partire. Non so perche'. Me lo chiedo adesso. Per verificare da dove sia scaturita questa decisione. Perche' non sono andato in Macedonia? Avevo la possibilita' di farlo. Lontano da dirette incombenze e oneri familiari. Slegato da immanenti impegni lavorativi. Perche' ho deciso di non andare? Mi son chiesto se la mia presenza la' fosse importante. Necessaria. E non son riuscito a darmi una risposta affermativa. Andare solo per fare informazione mi era sembrato inaccettabile. Avevo gia' contattato una serie di macedoni. Avevo chiesto aiuto per trovare una sistemazione decorosa ma non eccessivamente costosa a Skopje. E molti mi avevano risposto, con insolita sollecitudine, rendendosi disponibili ad aiutarmi. Andare in Macedonia, andarci per agire concretamente, implicherebbe la scelta di stabilirsi la'. Non di andare e tornare con una tabella di viaggio preordinata. Con una scadenza precisa. Andare in Macedonia avrebbe un senso solo nel momento in cui si decide di impegnarsi concretamente la'. Nella quotidianita'. Nel lavoro. Nella solidarieta'. Nel confronto e nel dialogo. Un compito molto difficile. E ancora da venire. Almeno per me. Ho seguito, seguo tutt'ora, le novita' sulla situazione macedone. Ed e', ad oggi, l'unica deroga che mi permetto alla decisione che ho preso di sospendere, a tempo indeterminato, il consumo di tutta l'Informazione commerciale. Ho deciso, ancora tre settimane fa', di eliminare ogni informazione mediata dell'enterteiment televisivo, dell'enterteiment della carta stampata e da quello dell'accesso e delle connessioni virtuali. Turn off the corporate media. Una campagna che sempre di piu' mi sentirei di riproporre e consigliare. Che pur se limitata nel suo approccio eminentemente negativo, di rifiuto, puo' servire a ridurre l'assunzione di un'informazione che non ha altra finalita' se non quella di catturare la nostra attenzione e il nostro tempo libero. Un'informazione che ha il compito reazionario di controllare, di nascondere, di allontanarci dai punti vitali della nostra emotivita' e del nostro impegno. In definitiva dalla vita stessa. Ma torniamo a noi. L'unica deroga a questa decisione mi permette di seguire sui media commerciali le informazioni sulla Macedonia. Ma come aiutare la Macedonia? Che si puo' fare? Dover ammettere che siamo troppo piccoli, insignificanti, per contribuire ad uno sviluppo pacifico di quella convivenza statuale mi sembra una risposta troppo semplicistica. Mi sembra troppo comodo. E allora? Non ho trovato altra soluzione che quella di attivare resistenze e sensibilita', emozioni locali, quotidiane, per testimoniare una solidarieta' a chi subisce la' una situazione di disagio, di sconfitta e di violenza. Non ho trovato altra soluzione che attivare attenzione, mail, possibilita' di incontri informali per discutere, intrecciare trame e tessere contatti. Si puo' fare altro? Spero di scoprirlo al piu' presto. Prima di uscire dalla sala rosa saluto Paola. La guardo. Si vede chiaramente che e' stanca. Le raccomando di riposarsi. Di prendersi del tempo per se stessa. Paola. Alta. Occhi profondi. Uno sguardo e una vitalita' attiva. Non lascia spazio a possibili contatti emotivi. Non sembra averne il tempo. La saluto. Ritorno alla macchina. Decido di ritornare in autostrada. Con cautela. E' tardi. Non avrebbe senso tornare per la strada normale. Sarebbe troppo lungo e impegnativo. Il rientro e' tranquillo. Poco traffico. Arrivo a casa. Ripenso a Paola e a Marta. Provo a confrontarle. Penso al fatto che non mi sono ancora deciso se telefonare o meno a Marta. Il numero di cellulare ce l'ho. Decido di telefonarle il giorno dopo. Nel pomeriggio. Bene.

Mercoledi' l'ho passato aspettando che arrivasse il pomeriggio. Avevo deciso di telefonare a Marta. Ho pensato a lungo a cosa le avrei detto. Cosa potevo dirle? Mi pareva che non fosse importante cosa le avrei detto. Ma come lo avrei detto. Non erano importanti le parole che sarebbero uscite dalla mia bocca ma la mia capacita' di trasmetterle una emozione, di farle percepire una apertura di sentimenti. La voglia di mettermi in discussione. Di sorpassare dei limiti imposti da regole e consuetudini che smorzano e inaridiscono la nostra emozionalita' invece di permetterne lo sviluppo e la crescita. Cosa le avrei detto? Ciao. Tutto bene? Ti disturbo? E poi avrei dovuto chiederle direttamente, senza nascondermi dietro perifrasi, dietro passaggi intermedi, avrei dovuto dirle che volevo rivederla. Mi sembrava la cosa piu' corretta da dire. Una frase chiara. Una scelta. Ma non tanto per dimostrarmi sicuro. Quanto per assumermi fino in fondo la responsabilita' di quello che dicevo. Di quello che le chiedevo. Passo le mie giornate davanti al computer. Leggo. Scrivo. Seguo un piccolo numero di mailing list, curo il sito di umanamente, controllo le mail e rispondo quando ce n'e' bisogno. Cosa potrei fare per sovvertire ed emozionare anche questo settore della mia vita. Come potrei procedere, non per decostruire, non per un'operazione di reversing, ma per aprire e riattivare comportamenti che sono diventati inerziali? Domanda difficile. La tecnologia ci ruba parte della nostra vita. Si incunea all'interno della nostra mente puntellandosi ovunque, inserendosi in qualsiasi spazio vuoto. La tecnologia non e' essenziale. Imparare a convivere con essa e imparare ad usarla intelligentemente e' un compito arduo e faticoso. Sono riuscito da tempo a smettere di rincorrere le ultime novita' e le ultime innovazione tecnologiche. Mi rifiuto costantemente di utilizzare strumenti eccessivi per compiti semplici. Scrivo regolarmente sul Notepad di Windows. Mi e' piu' che sufficiente. Sono riuscito a neutralizzare parte della gran quantita' di informazioni e di news che in realta' non sono che intrattenimento. Cerco di mantenermi sempre attento e vigile. Ma questo nuovo strumento ha delle potenzialita' notevolissime. Naturalmente anche notevoli potenzialita' di irretirci in un universo virtuale, senza sbocchi, senza emozioni, senza forze. Dove l'inerzia mentale si adagia, satura e sazia. La tecnologia e' uno strumento che mi permette di comunicare. Mi permette di comunicare con gli altri. Ma tutte le possibilita' che offre, che farebbero pensare ad un “aumento” della capacita' comunicativa umana in realta' si dimostrano inutili. Il faccia a faccia, reale o virtuale, rimane ancora l'unica possibilita' di comunicare che possiamo permetterci. La giornata di mercoledi' passa velocemente. Cosa avrei fatto quella sera? Non lo sapevo ancora. Dipendeva da quello che mi avrebbe detto Marta. Dipendeva da cosa decideva. Avrei potuto andare a Bologna. A trovarla. Oppure avremmo potuto incontrarci in un territorio intermedio. Pensavo a Ferrara. Citta' che conoscevo per avervi frequentato alcuni anni di Universita'. Oppure avremmo potuto andare insieme a qualche incontro. E poi esserci fermati a parlare sul tardi. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, potevo decidere di andare a Genova, dove alla mattina del giorno dopo, avrei potuto partecipare all'incontro su “Globalizzazione e conflitti” organizzato dalla Biennale delle riviste culturali. La serata era aperta. Ed era piacevole lasciarla cosi' sospesa. Non sapere cosa sarebbe successo. Non sapere cosa avrei fatto. Non sapere se avrei rivisto Marta. Alle 5 e mezza del pomeriggio decido di telefonarle. La comunicazione e' disturbata. Si sente a tratti. Nel momento in cui le chiedo se possiamo vederci la linea cade. Ritelefono. La comunicazione e' ancora disturbata. Altro tono di voce. Le chiedo quando posso ritelefonare. Sei e mezza. Esco. In corpo una strana euforia. Gli occhi che brillano. La consapevolezza di aver superato dei limiti che non esistono ma che sembravano presenti e attivi. Gioia, paura, inconsapevolezza. Scendo in garage e prendo la bicicletta. Mi viene in mente che quella sera avrebbe dovuto esserci un Incontro con Paolo Crepet. Un incontro che era previsto per il 6 giugno, ma che era stato poi spostato all' 11 di luglio. Mi ricordo di averlo letto sul Giornale di Vicenza. Ricordo anche che me ne aveva parlato Rebecca. Occhi dolci. Ma incerti. Spaventati. Profondi e delicati. Rebecca insegnante di scuola materna. Lei me ne aveva parlato. Mi era sembrata molto interessata. Interessata alla presentazione del libro e a Paolo Crepet. Decido di vedere se e' a casa. Suono il campanello. Una, dua, tre volte. Ma non risponde nessuno. Al parco giochi sotto casa intravedo sua figlia. Le dico di dire alla mamma che l'avevo cercata. Vado al supermercato. Per ingannare l'attesa. E anche per comprare qualcosa da mangiare. A casa non c'e' piu' niente. Poi ritorno. Sono le sei e mezza appena passate. Ritelefono. La comunicazione e' ancora disturbata. Chiedo a Marta nuovamente se possiamo vederci. Marta mi dice di essere impegnata per tutta la settimana. Sicuramente anche per la prossima. C'e' il G8. Non faccio a tempo a dirle ciao, grazie, e la conversazione termina. E la gioia di aver comunque provato si somma alla tristezza di non esser riuscito a far capire il significato della propria scelta e della telefonata. Non so che fare. Rimango un po' stordito. In silenzio. Ma solo un attimo. Il tempo di riprendermi e suona il citofono. E' Rebecca. Vuole sapere perche' la cercavo. Le chiedo se sarebbe venuta ad ascoltare Paolo Crepet. Mi dice che non si ricordava dell'incontro. Che non sapeva se ci sarebbe andata. Che avrebbe deciso piu' tardi. Ritorno al computer. Mi collego ad Internet. Leggo qualcosa. E mi scopro a pensare che forse la manifestazione antagonista che si svolgera' a Genova non e' altro che un bisogno simbolico di aprire tutte le Zone Rosse. Quei territori dove la violenza controlla la tranquillita' di una vita senza emozione. Quegli spazi asettici dove la vita scorre ordinata e dove l'economia dei sentimenti, prima dei beni, riesce a regnare silenziosamente. Ripenso ad alcune proposte che aveva fatto Leonardo Montecchi. Alla necessita' di mettere in atto delle spettacolarizzazioni della Zona Rossa. A ritualizzare la lotta per l'apertura di quegli spazi puliti e ordinati. Soffici e insonorizzati. E proseguendo nella riflessione mi chiedo se la manifestazione di Genova non sia essa stessa un rituale per tutte le persone che sono rinchiuse all'interno di zone rosse. Mi chiedo se anch'io non sia, nella mia quotidianita', all'interno di una zona rossa. Protteto da frontiere ben controllate. In un territorio dove i poveri, gli emarginati, gli emigranti non possono accedere. In un ambiente che i media provvedono accuratamente a insonorizzare. Riempiendoci la vita di news fasulle e chiuse e di bisogni mediatici indotti. Mi chiedo dunque se l'appuntamento di Genova non sia gia' di per se' un Rituale. Un rituale per imparare ad aprire quelle zone rosse dove confiniamo la nostra vita, un rituale per prendere coraggio e coscienza della nostra situazione. Sempre che invece non sia solo una ritualizzazione per mascherare, ancora una volta, e inesorabilmente l'esistenza della vera zona rossa. La sua collocazione principale. Per sviarne lo sguardo e portare altrove l'attenzione. Mi faccio una doccia, mangio qualcosa e poi scendo in garage a prendere la bicicletta. Sono le 21 passate. L'incontro probabilmente sta per iniziare. Guardo se vedo Rebecca. Al parco giochi non c'e'. Decido di andare comunque all'incontro. Girando l'angolo di casa la vedo. Mi fermo e le chiedo cosa fa'. Ha un attimo di incertezza. Leggo chiaramente la sua voglia di venire. Leggo nei suoi occhi l' interesse, ma anche l'indecisione, la fatica di rompere anche quel piccolo legame che la lega a rimanere a casa. Verrebbe sicuramente se insistessi. Ma non mi sento di farlo. Mi dice di andare pure. Che poi le avrei raccontato. C'e' un bel po' di gente. Quando arrivo l'assessore alla cultura sta presentando Paolo Crepet. Mi fermo in fondo alla piazza, seduto sulla bicicletta. Le sedie sono tutte occupate. E diversa gente e' in piedi ai lati. Paolo Crepet, questo signore robusto e autorevole prende con tranquillita' la parola. E inizia a raccontare. Racconta. Con tranquillita'. Con sicurezza. Parla di regole e di bambini, di punti di riferimento e dell'emozione. Della creativita' e del lavoro. Racconta. Intrattiene. Ma e' un intrattenimento che non ha niente a che fare con l'intrattenimento dei media. Impersonale e lontano. E' un raccontare reale. Concreto. Interpreta con tranquillita' uno spettacolo dove e' importante il clima, la complicita' profonda che si instaura tra chi ascolta e il relatore. Uno spettacolo che punta sulle emozioni che riesce ad innescare piu' che sul contenuto intellettuale. Paolo Crepet e' un abile giocoliere delle parole. Ha imparato ad utilizzarle per comunicare. Per aprire non solo la propria mente, il proprio pensiero, ma anche la sua ricerca continua, la sua voglia di domandare, la convinzione dell'importanza delle emozioni. Parla del nostro rapporto con i figli. Della nostra incapacita' di instaurare rapporti sinceri e profondi. Del nostro arrenderci e nasconderci dietro la televisione, dietro le reazioni dei figli, dietro difficolta' che sembrano insormontabili. Parla del lavoro, della nostra profonda incapacita' di non far niente, di dedicarci del tempo, di dedicarci attenzione. Dei cambiamenti profondi a cui dovremo abituarci, dell'importanza di preparare a questi cambiamenti i nostri figli. E' una serata piacevole. Dove qualcuno al centro del Nord Est piu' opulento viene a svelare quanto poco importante sia il denaro. A dire, con una ovvieta' disarmante, che i soldi non fanno la felicita'. Che ci sono altre cose. Che il lavoro non e' tutto. Che dobbiamo permetterci delle possibilita'. Al termine della presentazione l'assessore apre uno spazio per le domande. Arriva la prima domanda. EPaolo Crepet mi ha dato l'impressione di voler esagerarecon abbondanza nel rispondere. In modo da evitare altri possibili interventi. Il dialogo, lo abbiamo imparato, non e' una cosa da tutti i giorni. E la capacita' di dialogare, di rompere gli schemi anche nel momento del faccia a faccia, nel momento piu' significativo della nostra esistenza, nel momento in cui incontriamo l'altro, non e' una cosa indolore. Nel pomeriggio, leggendo alcuni articoli sulla Macedonia, mi ero imbattuto in un'intervista che Mario Boccia, fotoreporter e giornalista, aveva fatto a Labina Mitovska. Una giovane attrice macedone, nota soprattutto per aver girato un film intitolato “Prima della pioggia”.
“Non posso accettare nemmeno lontanamente l'idea che quello che ho visto in Bosnia, quelle distruzioni così cariche di sofferenza umana, possano accadere anche qui”. Rifletto su un appello per la Pace in Macedonia che un volontario dell'Ics mi ha inoltrato. Firmato dalla Tavola della Pace di Perugia. Dove le richieste formali, le dettagliate e puntuali osservazioni e proposte mi avevano lasciato perplesso. Mi ritrovo di nuovo al centro del problema. Alla domanda su cosa fare, su come intervenire. E mi chiedo. Perche' non rinunciare ad un intervento militare e pensare e progettare una forza di pace civile? Fatta di famiglie. Di persone. Che decida di vivere in Macedonia e aiuti, con la sua esperienza, e con la sua diversita', un difficile processo di pace? Il 15 luglio, era stata indicata come probabile data in cui la forza militare della Nato, composta da tremila soldati, di cui 450 italiani, avrebbe iniziato la sua missione in Macedonia. Le trattative, seguite al cessate il fuoco, si sono dilatate e ad oggi non si prevede, a breve, alcun intervento militare della Nato. Inutile dire che mi sarebbe piaciuto parlarne con Toni Negri. Perche' no' anche con Paolo Crepet. Ma sarebbe stato troppo semplice. E certamente non avrei avuto da loro la risposta che sto cercando.

Micro Sovversioni

Un Racconto Per un Monologo Per un Video Monologo di Giorgio Viali

Scritto: 14 luglio 2001