c’è’”.. L’Oltranzabgrammy EvENto c’è EvENTy. È EvENTyPSé di per sé già EVENTONTOLOGRAMmy sacerdozio alle donne?
«Non posso dire apoditticamente di sì, ma penso che dietro la prossima riunione plenaria ci sia questa impostazione».
Lei è favorevole?
«Assolutamente sì, e non sono da solo. Che la donna non possa essere prete per il fatto che Gesù era un uomo e che avesse scelto solo uomini è un argomento molto debole. È una ragione culturale, non metafisica».
Cosa porterebbero le donne?
«La vita. E tanta ricchezza. Il cambiamento è necessario, anche perché si tratta di una discriminazione inaccettabile. Per preparare il mio lavoro ho parlato con moltissime donne di diversa estrazione sociale e culturale, cristiane e non cristiane: con una sola eccezione, tutte si sono mostrate favorevoli».
C’è ancora molta resistenza?
«Sì, non solo nella curia ma anche nella base. La novità fa sempre paura. Invece un criterio importante per misurare la vitalità spirituale di una persona è la sua disponibilità al cambiamento. Resistere alla vita è un peccato perché la vita è svolgimento continuo».
Questo vale anche per la Chiesa?
«Soprattutto per la Chiesa».
Lei che tipo di sacerdote è?
«Sono un prete felice. Ho sentito una voce interiore. E quando vivi la vita come risposta a una vocazione provi la felicità. Questo non significa che non ci siano stati momenti difficili ». Il fatto di aver molto vissuto prima di prendere i voti... «... anche ora vivo intensamente».
Sì, ma il fatto di aver avuto molte storie d’amore la rende un sacerdote migliore?
«Conoscere l’amore umano aiuta a conoscere meglio l’amore divino. Oggi posso dire che mi ha aiutato, mentre nel momento in cui lo vivevo avevo l’impressione che mi facesse male. Bisogna avere il tempo per elaborare l’esperienza».
I suoi rapporti con le gerarchie vaticane non sono stati sempre sereni.
«Si riferisce ad Antonio Maria Rouco Varela, ex vescovo di Madrid? Avevamo due modi molto diversi di intendere la presenza cristiana nel mondo. Potrei sintetizzarlo in due parole: alternativa oppure dialogo. L’alternativa ti porta a una visione chiusa del cristianesimo, separato da un mondo visto come sentinella di tutti i vizi. Il dialogo significa riconoscere nel mondo anche la bellezza e il bene. Dunque non ti impongo la mia verità assoluta, ma ti invito a metterti in dialogo con me per trovare insieme la verità. Francesco è un vero pontefice perché crea ponti intorno a sé».
Oggi lei lavora nell’ospedale di Ramón y Cajal. Come si accompagna una persona a morire?
«Ascoltando veramente ciò che dice, senza giudicare intellettualmente o caricare emotivamente. Ascoltare e basta, dimenticando se stessi, che è la cosa più difficile ».
Lei ha detto che morire da cristiani non comporta meno angosce che morire da laici.
«Un momento. Se sei davvero un credente ti aiuta. Non ti aiuta quando sei cristiano di nome ma non di cuore».
Ma si può vivere una buona vita senza Dio?
«Certo che si può vivere senza un Dio. Non si vive bene senza contatto con la fonte della pienezza, si chiami Dio, essere o vita. Persone come Einstein o Rousseau non erano credenti, ma capaci di esperienze spirituali profondissime».
Lei perché scrive romanzi? Pensava a sé quando fa dire a Pessoa: “Non scrivo ciò che penso, ma scrivo per pensare”?
«Uno ritiene ingenuamente che la scrittura serva per comunicare, ma questo vorrebbe dire che io so già cosa devo dire. In realtà la scrittura è rivelazione, nel senso che rivela a te stesso quello che devi scrivere. Non è un fatto solo intellettuale, ma più profondo, direi viscerale».
Ma perché poi lei è approdato all’elogio del silenzio? Non c’è un aspetto paradossale, ossimorico, nel biografare il silenzio?
«Solo in apparenza. Parola e silenzio sono le due facce di una stessa medaglia. Le parole vere, quelle che hanno la possibilità di toccare l’altro, nascono dal silenzio, ossia dall’intimità con se stessi. E approdano al silenzio perché la cosa più bella, quando leggi un libro, è il bisogno di ricreare tu stesso quello che hai letto. In fondo la letteratura è un invito a tacere».
Il silenzio come l’unica etica possibile. Lei lo fa dire a Thomas Bernhard.
«Sì, per me è stato fondamentale. È Bernhard a teorizzare che tutto è citazione. La letteratura nasce dalla letteratura. Anche i miei romanzi nascono ai margini dei libri altrui».
Lei si definisce scrittore erotico, mistico e comico. Ma cosa tiene unite cose così diverse?
«L’ironia è lo stile, misticismo ed erotismo sono i contenuti. Sia la mistica che l’eros cercano l’unità: ricompongono la separazione nell’unione dello spirito e dei corpi. Quanto alla leggerezza, è quella che genera l’allegria del lettore».
A proposito di leggerezza, ne Il debutto fa a pezzi Kundera e molti altri. Grandi scrittori, ma piccoli uomini.
«L’ironia ha anche una funzione liberatoria. Quasi una dichiarazione di principio: ecco i miei maestri, ma non voglio restare schiacciato sotto queste bestie della letteratura ».
Ma perché introdurre il tema corporale: l’organizzatrice slovacca che si lascia possedere da tutti i grandi intellettuali?
«Ho voluto mostrare un inganno. Noi ci illudiamo di possedere libri e persone. Ma, dal momento che non è possibile padroneggiare tutta la letteratura, la cosa più facile è accedere al corpo degli scrittori».
La sua critica ricorrente verso gli scrittori è di preferire la scrittura alla vita.
«Per molti la letteratura è un modo vicario di vivere la realtà. Credo invece che ciascuno dovrebbe fare un’opera d’arte non solo della scrittura, ma anche dalla propria vita. Thomas Mann l’ha capito benissimo. Proust e Kafka, al contrario, hanno sacrificato le loro esistenze alla letteratura».
Primum vivere. Ma i sacerdoti vivrebbero meglio con una donna al loro fianco?
«I tempi sono maturi anche per questa svolta, ma è solo una mia opinione personale. E nel Pontificio Consiglio, no, di questo non si parlerà».
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CREATIVITA’: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A “UNA” DIMENSIONE. —– Gli ingredienti della creatività: audacia, confronto, follia e relax (di Isaac Asimov) 30 ottobre 2014, di Federico La Sala
Isaac Asimov: vi spiego la prima legge della genialità
- Contattato dal Mit, nel 1959 il re della fantascienza scrisse questo testo inedito
- Illustrava gli ingredienti della creatività: audacia, confronto, follia e relax
di Isaac Asimov (la Repubblica, 30.10.2014)
L’AUTORE Isaac Asimov (1920- 1992) scrisse più di 400 libri – Pubblicato con l’autorizzazione della Asimov Holdings ( Traduzione di Fabio Galimberti)
IN CHE modo una persona arriva ad avere un’idea nuova? Si può presumere che il processo di creatività, qualunque cosa sia, sia essenzialmente lo stesso in tutte le sue diramazioni e varietà, e quindi che l’evoluzione di una nuova forma d’arte, di un nuovo congegno, di un nuovo principio scientifico, comporti sempre degli elementi comuni. La cosa che ci interessa maggiormente è la “creazione” di un nuovo principio scientifico o di una nuova applicazione di un vecchio principio scientifico, ma possiamo parlare in generale.
Un metodo per indagare il problema è quello di prendere in considerazione le grandi idee del passato e capire in che modo sono state generate. Si pensi per esempio alla teoria dell’evoluzione attraverso la selezione naturale, creata da Charles Darwin e Alfred Wallace. Ci sono molte cose in comune, in questo caso.
Tutti e due avevano viaggiato in posti lontani, tutti e due avevano osservato strane specie di piante e animali e il modo in cui variavano da un posto all’altro. Tutti e due erano smaniosi di trovare una spiegazione per questo fatto, e tutti due ci riuscirono solo dopo aver letto il Saggio sulla popolazione di Malthus. Tutti e due videro che il concetto di sovrappopolamento ed “estirpazione” (che Malthus aveva applicato agli esseri umani) si adattava bene alla dottrina dell’evoluzione attraverso la selezione naturale (se applicato alle specie in generale). È evidente, quindi, che quello che serve non sono solamente persone con una buona preparazione in un certo campo, ma anche persone capaci di fare un collegamento tra l’oggetto 1 e l’oggetto 2, che normalmente non sembrano collegati.
Sicuramente nella prima metà del XIX secolo moltissimi naturalisti avevano studiato il modo in cui le specie si erano differenziate fra loro. E moltissime persone avevano letto Malthus. Ma quello di cui c’era bisogno era qualcuno che avesse studiato le specie, che avesse letto Malthus e che avesse la capacità di incrociare le due cose. È questo il punto cruciale, la caratteristica rara che dev’essere trovata. Una volta che qualcuno lo ha stabilito, il collegamento diventa ovvio.
Thomas Huxley avrebbe esclamato, dopo aver letto L’origine delle specie : «Che stupido a non averci pensato!».Ma perché non ci aveva pensato? La storia del pensiero umano induce a ritenere che è difficile pensare a un’idea, anche quando tutti i fatti sono lì, sul tavolo.
Per fare questo collegamento serve una certa audacia. E dev’essere così, perché ogni collegamento che non richiede audacia è un collegamento che può essere fatto da tante persone contemporaneamente e che non si sviluppa come un’“idea nuova”, ma come un semplice “corollario di un’idea vecchia”.
È soltanto dopo che un’idea nuova appare ragionevole. Inizialmente è il contrario: sembra il massimo dell’irrazionalità presupporre che la terra sia tonda invece che piatta, o che sia lei a muoversi invece del sole, o che un oggetto, una volta messo in movimento, necessiti di una forza per fermarsi e non di una forza per continuare a muoversi; e così via.
Una persona disposta ad andare contro la ragione, l’autorità e il senso comune è necessariamente una persona molto sicura di sé. Dato che persone di questo tipo nascono di rado, sicuramente apparirà eccentrica al resto della popolazione. Una persona eccentrica sotto un certo aspetto spesso è eccentrica anche da altri punti di vista.
Di conseguenza, la persona che ha maggiori probabilità di arrivare ad avere un’idea nuova è una persona che ha una buona preparazione nel settore in questione e che ha abitudini non convenzionali. Una volta trovate queste persone, la domanda successiva è: è meglio metterle insieme in modo che possano discutere il problema tra loro, o informare ognuno del problema e lasciare che lavorino per conto proprio?
La mia sensazione è che quando si parla di creatività sia necessario l’isolamento. Tuttavia, una riunione di persone del genere può essere auspicabile per ragioni che non hanno a che fare con l’atto di creazione in sé e per sé. Due persone non avranno mai lo stesso identico magazzino mentale di nozioni.
La mia sensazione è che lo scopo delle sessioni di elucubrazione non è escogitare idee nuove, ma educare i partecipanti a fatti e combinazioni di fatti, teorie e pensieri in libertà. Il mondo in generale disapprova la creatività, ed essere creativi in pubblico viene visto particolarmente male. Il creativo, quindi deve avere la sensazione che gli altri non troveranno nulla da ridire. Il numero ottimale di partecipanti alla riunione non dev’essere molto alto. Probabilmente sarebbe meglio organizzare una serie di riunioni a cui partecipano ogni volta persone diverse, invece di un’unica riunione con dentro tutti. Per ottenere i migliori risultati, deve esserci una percezione di informalità. La giovialità, l’uso dei nomi di battesimo, le battute, le prese in giro rilassate, secondo me sono fondamentali: non in quanto tali, ma perché incoraggiano i partecipanti a prendere parte alla follia della creatività.
L’elemento che probabilmente inibisce più di tutti è la sensazione di responsabilità. Le grandi idee del passato sono venute da persone che non erano pagate per avere grandi idee, ma che erano pagate per fare gli insegnanti, i funzionari dell’ufficio brevetti, gli impiegati pubblici, o non erano pagate affatto.
Le grandi idee sono spuntate come questioni secondarie. Sentirsi in colpa perché non ci si guadagna lo stipendio perché non si ha avuto una grande idea è il modo più sicuro, secondo me, per precludere ogni possibilità di grande idea. Pensare ai parlamentari, o ai cittadini in generale, che sentono parlare di un gruppo di scienziati che si gingillano, elaborano progetti irrealizzabili, magari raccontano barzellette sconce, tutto a spese dei contribuenti, fa venire i sudori freddi. In realtà lo scienziato medio ha sufficiente coscienza civica da non voler avere l’impressione di fare una cosa del genere nemmeno se nessuno dovesse venirlo a sapere.
Io suggerirei di assegnare ai partecipanti di una sessione di elucubrazione compiti non impegnativi da svolgere (scrivere un breve rapporto o una sintesi delle conclusioni) e pagarli per questo. In questo modo la riunione formalmente non sarebbe pagata e questo renderebbe tutto molto più rilassante. Se sono completamente rilassati, sgravati da responsabilità e impegnati a discutere cose interessanti, ed essendo per loro stessa natura persone non convenzionali, saranno i partecipanti stessi a creare strumenti per stimolare la discussione.
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KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A “UNA” DIMENSIONE. —– LE DUE CULTURE (C. P. Snow). Armonicamente: arte e scienza a confronto (P. Greco). Rec. di Michele Emmer. 9 luglio 2014, di Federico La Sala
NOTE introduttive SUL TEMA. Le radici del problema:
ARITMETICA E ANTROPOLOGIA. UNA DOMANDA AI MATEMATICI: COME MAI “UN UOMO PIU’ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO?” (Franca Ongaro Basaglia). Non è il caso di ripensare i fondamenti?!
Questione antropo-logica – Life out of Balance!!! – DONNE, UOMINI E MATEMATICA. Se le donne non “contano”, non sanno nemmeno contare; e gli uomini, se “contano”, altrettanto non sanno nemmeno contare!!! La punta di un “iceberg”: una “nota” del “disagio della civiltà”
GIAMBATTISTA VICO: OMERO, LE DONNE, E I “NIPOTINI” DI PLATONE (FLS)
Due culture un pensiero
Nel libro di Pietro Greco la «fusione» tra arte e scienza
Dobbiamo incoraggiare la crescita di una capacità intellettuale equivalente al bilinguismo: ascoltare, imparare e contribuire
di Michele Emmer (l’Unità, 09.07.2014)
«I CAMBIAMENTI NELL’EDUCAZIONE NON PRODURRANNO MIRACOLI. LA DIVISIONE DELLA NOSTRA CULTURA CI RENDERANNO PIÙ OTTUSI DI QUELLO CHE POTREMMO ESSERE; NON PORTEREMO ALLA NASCITA DI DONNE E UOMINI CHE CAPIRANNO IL NOSTRO MONDO COME PIERO DELLA FRANCESCA FECE CON IL SUO, O PASCAL, O GOETHE. Con un po’ di fortuna però, possiamo educare una larga parte delle nostre menti migliori, in modo tale che non siano ignari delle esperienze creative sia nell’arte che nelle scienze».
Il 6 ottobre 1956 veniva pubblicato sul New Statesman un articolo di Charles Percy Snow che poneva un problema che sarebbe poi stato sviluppato in una conferenza ed un libro tre anni dopo. Il libro era intitolato The Two Cultures (Le due culture) e metteva a confronto la cultura scientifica e quella umanistica. Toccava temi molto sentiti, tanto che il libro scatenò una lunga polemica che spinse Snow qualche anno dopo, nel 1963, a pubblicare una appendice al libro che si conclude con le parole citate all’inizio.
Nella introduzione alla edizione del 1993 Stefan Collini, professore di letteratura inglese all’università di Cambridge scrive: «Dobbiamo incoraggiare la crescita di una capacità intellettuale equivalente al bilinguismo, una capacità non solo di esercitare la lingua delle nostre rispettive specializzazioni, ma anche di ascoltare, imparare e contribuire eventualmente a più ampi approcci culturali».
Insomma stiamo parlando di interdisciplinarità, termine che indica un argomento, una materia, una metodologia o un approccio culturale che abbraccia competenze di più settori scientifici odi più discipline di studio. In particolare dei rapporti tra arte e scienza. Argomento di innumerevoli studi e ricerche che hanno dato luogo a migliaia di pubblicazioni in tutto il mondo nel corso di anni.
Il lavoro di Snow è da quando è stato pubblicato il suo volume il punto di partenza e di riferimento delle Due Culture. Non fa eccezione il libro curato da Pietro Greco Armonicamente: arte e scienza a confronto (Mimesis edizione, 2013). È un argomento arte e scienza in cui il primo problema è di restringere e selezionare i temi da trattare. Tante sono le scienze, tante sono le arti.
Il libro è diviso in capitoli, «Scienza e arte», «Scienza e letteratura», «Scienza e musica», a loro volta temi vastissimi. Per ogni tema vi sono quattro interventi più una lunga introduzione del curatore. Che parte da Leonardo Sinisgalli, poeta, scrittore, ingegnere con la passione della matematica, pubblicitario e fondatore della rivista (di arte e scienza e tecnica è il caso di dire) La civiltà delle macchine.
Di matematica ed arte si parla molto nella introduzione. Anche perché nel corso degli anni si sono mostrati molto più aperti i matematici e gli scienziati in genere verso la cultura umanistica che non gli umanisti nei confronti della scienza. Molti matematici hanno parlato dell’estetica nella ricerca matematica, come linea guida della investigazione, si trovano molte citazioni interessanti a proposito. Anche se non si può esagerarne l’importanza, visto che usualmente chi parla di arte e scienza senza essere un matematico non conosce in prima persona i meccanismi della ricerca matematica. Le citazioni diventano la fonte principale per costruire i discorsi sul tema arte e matematica.
Parole chiave: intuizione, emozione, creatività. Uno degli argomenti principe è la questione delle avanguardie artistiche e le nuove idee sulla fisica agli inizi del Novecento. Cubismo e relatività, argomento molto citato e molto poco studiato in modo dettagliato; rimando a questo proposito al volume conclusivo sull’argomento di Linda D. Henderson The Fourth Dimension, non Euclidean Goemetry and Modern Art (seconda edizione, 2013).
Tra gli argomenti trattati non potevano mancare nei diversi articoli la simmetria, i solidi Paltonici, la sezione aurea per arrivare ai frattali, che qualche anno fa hanno ridato vita alla questione della bellezza nella scienza, nella matematica. Interessante l’articolo di Danila Bertasio sullo «strappo avvenuto tra arte, scienza e tecnologia, quasi tre secoli fa, che ha comportato conseguenze generalmente positive per la scienza e la tecnica, forse negative per l’arte».
Il tema su cui gli articoli sono più puntuali e dettagliati è quello della musica. In particolare l’articolo di Silvia Bencivelli «nella nostra inclinazione per la musica c’è qualcosa di innato, su cui poi incidono la cultura, l’educazione e l’esposizione a musiche di un certo tipo. Biologia e cultura si combinerebbero così».
Per concludere ecco una citazione ovviamente, sempre da musica e scienza: «Forse è questa l’armonia del mondo del nostro tempo, profondamente diversa da quella pitagorica: non è l’epifania del numero puro e della proporzione geometrica, ma piuttosto la manifestazione di un universo di infinite possibilità».
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KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A “UNA” DIMENSIONE. —– Perché l’Italia è diventata il Paese dell’incultura scientifica (di Carlo Rovelli) 9 luglio 2014, di Federico La Sala
VICO CON NEWTON: “NON INVENTO IPOTESI”! E CON UN OMAGGIO A SHAFTESBURY, CON LA “TAVOLA DELLE COSE CIVILI”! – VICO, PENSATORE EUROPEO – 0GGI, PIU’ DI IERI. Teoria e pratica della “Scienza Nuova”. Note per una rilettura
POLITICA, FILOSOFIA, E MERAVIGLIA.
STORIA DELLA QUESTIONE INFAME: COME L’ITALIA, UN PAESE E UN POPOLO LIBERO, ROVINO’
Perché l’Italia è diventata il Paese dell’incultura scientifica
L’amara riflessione di un fisico teorico sulla scuola e sui saperi in Italia
Sui gravi deficit accumulati. E sul fatto che le discipline umanistiche prevalgano sulle altre
di Carlo Rovelli (la Repubblica, 09.07.2014)
PENSO che la scuola italiana sia fra le migliori del mondo. Paradossalmente, penso lo sia soprattutto per chi vuole dedicarsi alla scienza, come ho fatto io. Non per caso giovani italiani brillano in tutti i migliori centri di ricerca del mondo. Hanno qualcosa che altri paesi fanno fatica a offrire: non solo fantasia e creatività, ma soprattutto un’ampia, solida e profonda cultura. Sono convinto che studiare Alceo, Kant e Michelangelo offra a uno scienziato strumenti di pensiero più acuminati che non passare ore a calcolare integrali, come fanno i ragazzi delle scuole d’élite di Parigi.
Sapere, conoscenza, intelligenza, formano un vasto complesso dove ogni parte si nutre di ogni altra. La nostra intelligenza del mondo si basa su tutto ciò insieme. Questo insieme è la cultura. Non voglio dire che per fare buona scienza sia strettamente necessario avere tradotto versi di Omero dal greco, o leggere Shakespeare, però penso che aiuti molto. Mi sono trovato spesso a lavorare con colleghi di formazione assai diversa.
Uno dei miei collaboratori (e amici) più stretti ha studiato nei college libertari dove si fuma marijuana e poi nelle top università degli Stati Uniti: non sa chi è Virgilio, ma ha una capacità di pensiero critico che io non ho. Un altro viene dal quell’amalgama di civiltà asiatica antica ed educazione inglese che è la scuola indiana, e ha una sottigliezza di pensiero analitico che io non avrò mai. Ma la capacità di guardare lontano e individuare i problemi chiave è venuta alla nostra collaborazione dalla scuola italiana, dall’ampiezza della sua prospettiva storica e culturale.
Questo la nostra scuola sa offrirlo. Al contrario, è la scienza che manca nella scuola, anzi, manca drammaticamente nella società italiana. L’Italia resta pericolosamente un paese di profonda incultura scientifica, sia confrontato con gli altri paesi europei, dove la scienza è rispettata profondamente, come non lo è da noi, sia forse ancor più confrontato con i paesi emergenti, che vedono nella cultura scientifica la chiave del loro sviluppo.
L’Italia è un paese di profonda incultura scientifica nella mancanza di scienza seria a scuola; nell’incapacità di avere discussioni dove si ascoltano con attenzione argomenti e contro-argomenti; nella diffusa ignoranza di scienza delle nostre élite, fin nel nostro parlamento, e peggio ancora nella stucchevole prosopopea di chi si fa vanto di non capire nulla di scienza.
In Italia, quando si dice “cultura” si pensa spesso, ahimè, a musei e opere liriche, quando non ai formaggi col miele delle valli. Cose preziose, per carità, ma non è qui la cultura. La cultura è la ricchezza e la complessità del nostro sapere, l’insieme degli strumenti concettuali di cui dispone una comunità per pensare a sé stessa e al mondo. Cultura classica e scientifica sono facce complementari di questo insieme, che si rafforzano l’una con l’altra.
La cultura del nostro paese è ricca, stratificata, e vivace. Se aziende italiane vendono dappertutto nel mondo, disegnatori italiani guidano lo stile del pianeta, se l’Italia è fra le dieci potenze economiche del mondo, è perché, nonostante la nostra caratteriale auto-disistima, siamo un popolo colto e intelligente. Ma l’incultura scientifica del paese è una nostra debolezza severa. I paesi più ricchi come i paesi emergenti sanno che senza cultura scientifica adeguata un paese oggi diventa rapidamente arretrato.
Il nostro paese arretra. Un paese lungimirante come la Cina oggi investe nella fondazione di università una fetta considerevole della sua ricchezza; giovani cinesi sono mandati in giro per il mondo, per raccogliere sapere e riportarlo a casa; nel mio piccolo gruppo di ricerca, a Marsiglia, ce ne sono quattro. Lo stesso stanno facendo i paesi arabi più lungimiranti. La stessa Africa sta costruendo centri di cultura e di educazione avanzata.
L’Italia le sue università le sta smantellando. La sfida per il futuro passa attraverso la cultura anche scientifica del paese. In America come in Canada come in Inghilterra le università sembrano alberghi di lusso o ville patrizie, e sono rispettate come templi del sapere; in Italia le migliori università sembrano caserme decrepite.
E pensare che la scienza moderna è stata inventata in Italia... L’Italia è innamorata del suo Rinascimento, come quegli uomini che per tutta la vita continuano a raccontare la loro giovinezza, ma si dimentica spesso del frutto forse più straordinario del maturo Rinascimento italiano: uomo di musica e di lettere, profondo conoscitore e amante dell’antichità classica, di Aristotele e Platone, uomo completo del Rinascimento.
Sto parlando di Galileo, l’iniziatore della scienza moderna, primo a capire come interrogare la Natura, primo a trovare una legge matematica che descrive il moto dei corpi sulla Terra, primo a guardare nel cielo cose che nessun umano aveva mai prima potuto immaginare.
Il sapere scientifico moderno, che ha cambiato il mondo, ci ha permesso di vivere come viviamo, ci ha dato la ricchezza fiammeggiante della conoscenza di oggi, ha visto nascere una parte importante di sé in Italia, raccontato in una limpida lingua italiana da uno fra i migliori scrittori che abbia avuto il nostro paese, sempre lui: Galileo. Mi piacerebbe che l’Italia fosse orgogliosa di Galileo, non solo di Raffaello.
Mi piacerebbe che l’Italia si allontanasse dall’idea che la cultura sia solo arte antica, o culto sterile del proprio passato; che l’Italia desse alla cultura e alla cultura scientifica in particolare la dignità che deve avere nella formazione di una persona.
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CREATIVITA’: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETA’ DELL’UOMO A “UNA” DIMENSIONE. —– «Changing the Ideology and Culture of Philosophy» (Sally Haslanger) 8 luglio 2014
Sebben che siamo donne non ci fa paura la filosofia
Il «pensiero femminile» è socialmente discriminato: un condizionamento negativo
La “rabbia” di una filosofa americana del Mit: in questo campo siamo discriminate, molte di noi costrette a lasciare
di Franca D’Agostini (La Stampa, 25.03.2012)
Sally Haslanger è una delle più brillanti filosofe americane: in un articolo su Hypathia confessa che da quanto è arrivata al Mit, nel ’98, si è più volte domandata se non fosse il caso di lasciare la filosofia “C’ è in me una rabbia profonda. Rabbia per come io sono stata trattata in filosofia. Rabbia per le condizioni ingiuste in cui molte altre donne e altre minoranze si sono trovate, e hanno spinto molti a lasciare. Da quando sono arrivata al Mit, nel 1998, sono stata in costante dialogo con me stessa sull’eventualità di lasciare la filosofia. E io sono stata molto fortunata. Sono una che ha avuto successo, in base agli standard professionali dominanti». S’inizia così «Changing the Ideology and Culture of Philosophy», un articolo di Sally Haslanger, una delle più brillanti filosofe americane, apparso su Hypathia .
C’è un problema, che riguarda le donne e la filosofia: inutile negarlo. «Nella mia esperienza è veramente difficile trovare un luogo in filosofia che non sia ostile verso le donne e altre minoranze», scrive Haslanger. E se capita così al Mit, potete immaginare quel che succede in Italia. È facile vedere che, mentre in tutte le facoltà le donne iniziano a essere presenti (anche se rimane il cosiddetto «tetto di cristallo», vale a dire: ai gradi accademici più alti ci sono quasi esclusivamente uomini), in filosofia la presenza femminile scarseggia.
Non sarà forse che le donne sono refrattarie alla filosofia, non la capiscono, non la apprezzano? Stephen Stich e Wesley Buchwalter, in «Gender and Philosophical Intuition» (in Experimental Philosophy, vol. 2), hanno riproposto il problema, esaminandolo nella prospettiva della filosofia sperimentale: una tendenza filosofica emergente, che mette in collegamento le tesi e i concetti filosofici con ricerche di tipo empirico (statistico, neurologico, sociologico, ecc). La prima conclusione di Stich e Buchwalter è che effettivamente sembra esserci una «resistenza» del «pensiero femminile» di fronte ad almeno alcuni importanti problemi filosofici. Stich e Buchwalter si chiedono perché, e avanzano alcune ipotesi, ma non giungono a una conclusione definitiva.
Le femministe italiane di Diotima avrebbero pronta la risposta: la filosofia praticata nel modo previsto da Stich e compagni è espressione estrema del «logocentrismo» maschile, dunque è chiaro che le donne non la praticano: sono interessate a qualcosa di meglio, coltivano un «altro pensiero». Ma qui si presenta un classico problema: in che cosa consisterebbe «l’altro pensiero» di cui le donne sarebbero portatrici? Se si tratta per esempio di «pensiero vivente», attento alle emozioni e alla vita, come a volte è stato detto, resta sempre da chiedersi: perché mai questo pensiero sarebbe proprio delle donne? Kierkegaard, che praticava e difendeva una filosofia di questo tipo, era forse una donna?