flora dora... stringhe der Physikx»fibre della maglia hanno accumulato. Oltre a riunire elettricità e magnetismo in un'unica cornice matematica, la teoria di Maxwell riuscì a mostrare – in modo inaspettato che le perturbazioni elettromagnetiche si muovevano con velocità sempre uguale, velocità che si scoprì essere quella della luce. Da ciò Maxwell dedusse che la stessa luce visibile non è che un tipo particolare di onda elettromagnetica, che oggi sappiamo essere in grado di interagire con gli elementi chimici della retina e di permettere il senso della vista. Fatto ancor piú importante, la teoria di Maxwell mostra che le onde elettromagnetiche sono viaggiatrici instancabili: non si fermano mai, né rallentano. La luce viaggia sempre alla stessa velocità. Tutto funziona bene, fino a quando non ci chiediamo (come il sedicenne Einstein) cosa accadrebbe se ci mettessimo a inseguire un raggio di luce alla sua stessa velocità. Un ragionamento intuitivo basato sulle leggi di moto newtoniane ci porta a concludere che arriveremo a raggiungere una velocità alla quale la luce ci sembra ferma. Ma secondo la teoria di Maxwell, e con molti dati sperimentali a conforto, la «luce ferma » non può esistere: nessuno ha mai tenuto un raggio di luce posato sul palmo. Da qui il paradosso. Per sua fortuna, Einstein non sapeva che i migliori fisici del mondo stavano lottando con questo problema (e molti stavano prendendo strade sbagliate); cosí si mise a rimuginare sui problemi delle teorie di Maxwell e Newton in modo molto personale. In questo capitolo vedremo come Einstein risolse il paradosso grazie alla sua teoria della relatività ristretta, e come questa cambiò per sempre la nostra concezione di spazio e di tempo. Forse può sorprendervi apprendere che la relatività ristretta si occupa soprattutto di capire come il mondo appare esattamente ai singoli individui, detti osservatori, che si muovono uno rispetto all'altro. Sembra una questione marginale, un puro esercizio intellettuale; al contrario, nelle mani di Einstein, e nei suoi sogni popolati di osservatori che inseguono raggi di luce, questa linea di pensiero giunge a conclusioni profonde su questioni basilari, anche legate alla nostra esperienza quotidiana. 1. Le pecche dell'intuizione L'esperienza comune ci mostra già in quali modi le osservazioni di un soggetto in movimento possono differire da quelle di uno fermo. Gli alberi a lato di una strada, ad esempio, sembrano muoversi incontro a chi guida ma appaiono fermi all'autostoppista seduto sul ciglio. Allo stesso modo il cruscotto della macchina è fermo per l'autista (si spera!) ma è in moto per l'autostoppista. Sono proprietà cosí note e comuni del mondo in cui viviamo che quasi non ci facciamo caso. Secondo la relatività ristretta, però, le differenze tra i due personaggi dell'esempio sono assai piú profonde. Einstein sostiene la strana teoria secondo cui due osservatori in moto relativo l'uno rispetto all'altro hanno diverse percezioni del tempo e delle distanze. Come vedremo, questo significa che due orologi identici, indossati da due simili osservatori, non segnano le ore in modo sincrono e quindi non concordano sugli intervalli di tempo trascorsi tra due eventi fissati. La relatività ristretta dimostra che questa affermazione non ha nulla a che fare con la precisione degli orologi, ma anzi che è una caratteristica vera e propria del fenomeno «tempo ». Allo stesso modo, due osservatori in moto relativo dotati di un identico metro campione non concorderanno sulle misure delle distanze. Anche in questo caso non abbiamo a che fare con imprecisioni degli strumenti o con errori nel loro uso: i piú precisi sistemi di misurazione esistenti ci confermano che lo spazio e il tempo – cioè le distanze e le durate – non sono esperiti allo stesso modo da tutti. La relatività ristretta risolve in modo assai preciso il conflitto tra la nostra intuizione del moto e le proprietà della luce. Però c'è un prezzo da pagare per questo: due individui in moto l'uno rispetto all'altro non saranno d'accordo sulle rispettive misurazioni di distanze e tempi. E passato quasi un secolo dal giorno in cui Einstein svelò al mondo la sua impressionante scoperta, eppure quasi tutti pensiamo ancora a spazio e tempo in termini assoluti. La relatività ristretta non ci è ancora entrata nel sangue: non la sentiamo giusta. Le sue conclusioni non trovano spazio nelle nostre percezioni intuitive. La ragione per questo rifiuto è molto semplice: gli effetti della relatività ristretta dipendono dalla velocità con cui ci si muove; sulle automobili, sugli aerei o persino sullo Shuttle questi effetti sono minuscoli. Certo, le differenze di percezione tra chi sta fermo e chi vola in aereo esistono davvero, ma sono cosí piccole che nessuno le nota. Ma stiamo per imbarcarci su un veicolo fantascientifico che viaggia a velocità prossima a quella della luce, dove la relatività ristretta si mostra in tutta la sua evidenza. Certo, siamo nel campo della fantasia, ma vedremo che esistono davvero esperimenti ingegnosi in grado di mostrare in modo preciso le proprietà dello spazio e del tempo previste da Einstein. Per avere un'idea degli ordini di grandezza, facciamo un salto nel passato. E il 1970, e le macchinone dalla cilindrata enorme sono ancora in voga. Il nostro amico Slim ha appena speso tutti i suoi risparmi in uno di questi mostri; oggi va con suo fratello Jim a provare la macchina su una strada larga e diritta, dove lanciarsi a tutto gas. Mentre riscalda il motore, il fratello lo aspetta piú in là munito di cronometro. Slim però vuole un'altra conferma della sua velocità, e cosí porta con sé un cronometro identico. Non conoscendo Einstein, nessuno metterebbe in dubbio il fatto che, in assenza di guasti, i tempi misurati dai due fratelli siano uguali. Ma a causa della relatività ristretta, se secondo Jim la macchina ha impiegato diciamo 30 secondi a compiere il percorso, per Slim i secondi sono «solo» 29,99999999999952. Certo è una differenza così piccola che un cronometro manuale non saprebbe rilevarla, né se è per questo – un orologio atomico della piú alta precisione. Non ci sorprende che la nostra esperienza quotidiana non faccia trapelare nulla sul fatto che il tempo dipende dallo stato di moto. La stessa cosa succede per le distanze. In un altro test, Jim usa un accorgimento ingegnoso per misurare la lunghezza dell'auto: fa partire il cronometro quando la punta del cofano lo raggiunge, e lo ferma quando tutta la macchina gli è sfilata davanti. Poiché Jim conosce la velocità di Slim (diciamo 200 all'ora) è in grado di calcolare la lunghezza moltiplicando il tempo per la velocità. Anche qui, chi mai penserebbe che il risultato di Jim sia diverso da quello ottenuto da Slim a macchina ferma. Eppure la relatività ristretta dice proprio cosí: se Slim trova una lunghezza di 4,80 metri, i calcoli di Jim portano invece a 4,79999999999958 metri. Una differenza anche in questo caso minuscola, che nessuno strumento di misura potrebbe rivelare. Differenze microscopiche, certo, ma che mostrano comunque una pecca insanabile nella concezione comune di un tempo e uno spazio immutabili e universali. Al crescere della velocità relativa di Slim e Jim, la frattura diventa sempre piú visibile. Per vedere effetti apprezzabili, dobbiamo arrivare a velocità comparabili con quella della luce, che è la massima velocità possibile; il suo valore, secondo la teoria di Maxwell e le misure sperimentali, è pari a circa 300 000 chilometri al secondo, cioè piú di un miliardo di chilometri all'ora: un raggio di luce fa il giro della Terra sette volte al secondo. Se la macchina di Slim viaggiasse ad esempio a 900 milioni di chilometri all'ora (circa l'84 per cento della velocità della luce), secondo Jim la sua lunghezza sarebbe di soli 2,3 metri, cioè molto meno di quanto misurato da Slim (e da quanto scritto sul libretto dell'auto). E il tempo cronometrato dal fratello fermo sarebbe quasi il doppio di quello registrato da Slim in macchina. Queste velocità enormi sono molto distanti dalle nostre possibilità tecniche; ecco perché gli effetti della «dilatazione dei tempi» e della «contrazione di Lorentz » (come vengono chiamati questi fenomeni dai fisici) non sono visibili nella vita quotidiana. Se vivessimo in un mondo in cui gli oggetti viaggiano abitualmente a velocità altissime, queste proprietà sarebbero esperite in continuazione e sarebbero cosí intuitive da non richiedere maggiori spiegazioni di quante ne riserviamo al moto apparente degli alberi sul ciglio della strada. Ma il nostro mondo non è cosí. Accettare e capire queste idee richiede un vero rovesciamento della nostra prospettiva. 2. Il principio di relatività Le fondamenta della relatività ristretta stanno in due principi semplici quanto profondi. Uno riguarda la velocità della luce: ne abbiamo già parlato e lo approfondiremo nei prossimi paragrafi. L'altro è piú astratto e riguarda tutte le leggi fisiche indistintamente. Si tratta del principio di relatività. Il suo assunto di base è semplice: quando si parla di velocità (intesa come valore assoluto e come direzione) si deve sempre specificare chi o cosa sta compiendo le misurazioni. La storiella che segue ci aiuterà a capire il senso e l'importanza del principio. L'astronauta George sta fluttuando nel buio assoluto dello spazio cosmico, vuoto e freddo, lontano da pianeti, stelle o galassie. E riparato dalla sua tuta spaziale, su cui è posta una piccola luce rossa lampeggiante. Dal suo punto di vista, George è perfettamente fermo, circondato dall'oscurità. Improvvisamente nello spazio appare una piccola luce verde che si avvicina sempre piú. E la sua compagna Mildred, un'altra abitante dello spazio che fluttua nei paraggi. Gli passa accanto, lo saluta e poi si perde nell'oscurità. Naturalmente, la stessa storia può essere raccontata dal punto di vista di Mildred: si comincia con la nostra astronauta immersa nel buio, poi appare una luce rossa in lontananza, che si scopre essere quella di George, che passa, saluta e scompare nell'oscurità. L'evento è uno solo ma i punti di vista sono due. Entrambi gli osservatori pensano di essere fermi e percepiscono l'altro in movimento. Entrambi i punti di vista sono validi: vista la simmetria tra i due, non c'è alcun modo per stabilire chi ha «ragione» e chi «torto». Questa storia illustra l'essenza del principio di relatività: il concetto di moto è relativo. Possiamo parlare di « moto di un oggetto » solo in relazione con un altro. L'affermazione «George sta passando ai 10 all'ora» è priva di senso se non specifichiamo rispetto a cosa: un enunciato corretto è invece «George sta passando accanto a Mildred ai 10 all'ora», dove Mildred diventa la nostra pietra di paragone. Ovviamente, l'ultima affermazione equivale perfettamente a questa: « Mildred sta passando accanto a George ai 10 all'ora (nella direzione opposta) ». Non esiste alcuna nozione assoluta di moto: il moto è relativo a qualcosa. Un aspetto importante della storia è il fatto che né George né Mildred vengono spinti, tirati o influenzati in altro modo da qualcosa che potrebbe disturbare il loro pacifico stato di moto costante in assenza di forze. « Il moto in assenza di forze», a questo punto, ha senso solo in rapporto ad altri oggetti. E' un punto importante da chiarire, perché le forze causano cambiamenti nella velocità degli osservatori, e questi cambiamenti possono essere percepiti. Se George avesse un paio di razzi sulla schiena e li accendesse, avvertirebbe senz'altro la sensazione di moto. E' una sensazione intrinseca: all'accensione dei razzi, George sa che si sta muovendo, anche se ha gli occhi chiusi e non può fare raffronti con altri oggetti; non può affermare: « Il resto del mondo si sta spostando rispetto a me». Il moto a velocità costante è relativo, mentre cosí non è per il cosiddetto moto accelerato, cioè non costante (ritorneremo su questa affermazione nel prossimo capitolo, quando parleremo di moto accelerato e di relatività generale). Ambientare le nostre storie nello spazio buio e vuoto ci semplifica la vita, perché non dobbiamo fare i conti con cose come strade e palazzi, a cui diamo – anche se non a ragione – la patente di oggetti «stazionari». Ma dello stesso principio possiamo fare esperienza anche in ambienti molto familiari . 1 La presenza di corpi massicci come la Terra complica le cose, introducendo le forze gravitazionali. Poiché ci stiamo concentrando sul moto in direzione orizzontale, e non in quella verticale, possiamo ignorare la presenza dell'attrazione terrestre. Nel prossimo capitolo ci occuperemo in dettaglio della gravità. Immaginate di esservi addormentato sul treno; quando vi svegliate, un altro convoglio passa sul binario accanto. La vista dal finestrino è bloccata dalle carrozze e non avete altri oggetti con cui fare paragoni. Concorderete che ci vuole un po' di tempo per decidere quale dei due treni si stia muovendo (o se lo facciano entrambi). Certo, se il treno su cui siete sta sobbalzando, o se sta curvando, avete la sensazione del movimento. Ma a velocità costante e in assenza di scuotimenti si osserva un moto relativo tra i due convogli senza poter stabilire quale si muova. Facciamo un passo avanti. Sempre sul vostro treno, tirate le tende del finestrino. Senza la possibilità di vedere cosa accade all'esterno, se il treno si muove a velocità costante non potrete determinare in alcun modo il vostro stato di moto. Lo scompartimento in cui vi trovate sembrerà lo stesso sia che siate fermi sia che stiate correndo ad alta velocità. Questa intuizione, formalizzata da Einstein, risale in realtà a Galileo. Siamo arrivati al cuore del principio di relatività: il moto in assenza di forze è relativo e dunque ha senso solo in rapporto ad altri oggetti, anch'essi in assenza di forze. Non c'è modo di determinare il nostro stato di moto senza fare paragoni diretti o indiretti con l'esterno. La nozione di velocità costante «assoluta» non ha semplicemente senso. Einstein si rese conto che il suo principio aveva una formulazione assai piú generale: le leggi fisiche, qualunque esse siano, devono essere assolutamente identiche per tutti gli osservatori in stato di moto costante. Se George e Mildred, oltre a fluttuare nel cosmo, stessero conducendo una serie di esperimenti nelle loro postazioni spaziali, troverebbero risultati identici. A parità di apparati sperimentali, infatti, la situazione è perfettamente simmetrica ed entrambi sono giustificati ad affermare di essere in quiete. Le leggi fisiche che essi deducono sono quindi identiche. Né i loro corpi né gli apparati sperimentali « sentono » (o meglio, nel caso degli apparecchi, «sono influenzati da») il moto costante. Questo semplice concetto è ciò che stabilisce la simmetria tra i due osservatori, ed è parte del principio di relatività. Ne faremo uso tra poco per giungere a conclusioni importanti. 3. La velocità della luce. Il secondo ingrediente di base della relatività ristretta ha a che fare con le proprietà del moto della luce. Abbiamo appena visto che l'affermazione «George sta passando ai 10 all'ora» non ha senso se non specifichiamo rispetto a cosa stiamo misurando la velocità. Ebbene, un secolo di esperimenti ci mostra invece che, secondo tutti gli osservatori la luce viaggia sempre a 300 000 chilometri al secondo, senza che sia necessario specificare altro. Questo fatto ha reso necessaria una rivoluzione nel nostro modo di vedere l'universo. Cerchiamo di capirlo meglio pensando, per contrasto, all'esperienza quotidiana. E' una bella giornata e voi uscite a giocare a tennis con un amico. Per un po' palleggiate senza problemi, con la pallina che viaggia, diciamo, a 8 metri al secondo. Improvvisamente una tempesta elettrica scoppia nel cielo e voi correte a ripararvi. La tempesta passa, ma rientrando in campo vi accorgete che il vostro amico si è tramutato in un folle dai capelli dritti e dagli occhi iniettati di sangue. Con terrore, notate che vi sta lanciando non una pallina ma una bomba a mano. Passata ogni voglia di giocare, vi mettete a correre. La bomba sta viaggiando nella vostra direzione, ma poiché state correndo piú o meno a 5 metri al secondo, sapete che la sua velocità rispetto a voi è di soli (8 – 5) = 3 metri al secondo. Secondo la stessa logica, se in montagna vedete una valanga che sta per investirvi, vi mettete a correre in direzione opposta, perché sapete che cosí ridurrete la velocità con cui il pericolo si avvicina – il che in genere è un bene. Ora mettiamo a confronto le nostre osservazioni su palline, bombe e valanghe con la luce. Per rendere gli oggetti meglio comparabili, pensate alla luce come costituita da tante «palline » chiamate fotoni (ne parleremo al capitolo IV). Quando accendiamo una torcia elettrica, in effetti stiamo sparando un flusso di fotoni nella direzione in cui la puntiamo. Vediamo come appare il moto dei fotoni a un osservatore a sua volta in movimento. Il vostro amico folle ora ha abbandonato le bombe e impugna un fucile laser. Quando vi spara addosso – se siete dotati di appositi apparati di misurazione -trovate che la velocità dei fotoni che vi arrivano contro è di 1.072.000.000 km/h. Pensate di mettervi a correre, come avete fatto per la bomba a mano; per rendere le cose piú eccitanti, immaginate di riuscire a saltare sull'Enterprise e di schizzare via a 150.000.000 km/h. Secondo la fisica newtoniana, poiché vi state allontanando, la velocità dei fotoni che vi stanno venendo addosso dovrebbe per voi ridursi, per la precisione a (1072 – 150 =) 922 milioni di km/h. Ma non è quanto sperimentereste. Oltre che dalle accurate deduzioni dalle leggi di Maxwell, questo fatto è dimostrato da molti esperimenti, i primi dei quali risalgono alla fine dell'Ottocento. Anche se vi state allontanando, la velocità del fascio di fotoni è sempre di 300.000 km/sec. Può sembrare folle a prima vista, dato ciò che sappiamo di palline, bombe e valanghe, ma è così. Sia che scappiate dai fotoni sia che li rincorriate, la loro velocità rispetto a voi sarà sempre la stessa. L'«esperimento» con i fotoni che abbiamo immaginato poc'anzi non può essere eseguito per evidenti limiti tecnologici. Ma ci sono esperienze che invece si possono fare. Ad esempio, nel 1913 il fisico olandese Willem de Sitter pensò di utilizzare le osservazioni sulle stelle binarie piú veloci (stelle doppie che orbitano l'una attorno all'altra) per verificare l'effetto del moto sulla velocità della luce. Tutte le misurazioni eseguite negli anni a venire hanno confermato la stessa cosa: la luce emessa da una stella ferma ha la stessa velocità di quella emessa da una stella in movimento – e questo nei limiti di precisione di strumenti sempre piú raffinati. Tutti gli altri esperimenti condotti in questo secolo (che misurano la velocità della luce in vari modi diretti o indiretti) hanno avuto lo stesso risultato. Se non riuscite a mandare giù questa idea, consolatevi: non siete i soli. Tra Otto e Novecento i fisici cercarono in tutti i modi di confutarla, ma senza successo. Einstein invece abbracciò con gioia il principio della costanza della velocità della luce, perché era quello che gli serviva per risolvere il problema che lo turbava. Possiamo inseguire un raggio di luce finché vogliamo, ma questo si allontana da noi sempre alla stessa velocità: non riusciamo a farlo rallentare neanche un po', né certamente a farlo apparire stazionario. Il caso era chiuso. E c'era di piú: Einstein si rese conto che questo principio era l'inizio della fine della fisica newtoniana. 4. La verità e le sue conseguenze. La velocità misura la distanza che un oggetto può percorrere in un intervallo di tempo fissato: una macchina che va a 100 chilometri all'ora percorrerà 100 chilometri se persiste nel suo stato di moto costante per un'ora. Messo cosí, il fatto sembra banale; perché tutto questo affannarsi con palline, bombe e fotoni? Notiamo però che la «distanza» implica un concetto di spazio e che la «durata» dell'intervallo mette in causa l'idea di tempo. La velocità, dunque, è intimamente connessa con i concetti di spazio e di tempo. Ripensandoci, vediamo allora che un fatto sperimentale che mette alla prova la nostra idea comune di velocità, come la costanza della velocità della luce, ha il potenziale per minare la comune percezione di spazio e tempo. Ecco perché questa stranezza riguardo alla luce deve essere esaminata con attenzione, proprio come fece Einstein per arrivare alle sue straordinarie conclusioni. 5. L'effetto sul tempo, parte prima. Con un piccolo sforzo, possiamo usare la costanza della velocità della luce per dimostrare che l'idea comune di tempo è del tutto sbagliata. Immaginate che i presidenti di due nazioni in guerra, seduti ai lati opposti di un lungo tavolo per le trattative, siano giunti ad un accordo per un cessate il fuoco, ma che facciano i capricci perché nessuno vuole firmarlo prima dell'altro. Al Segretario generale dell' Onu viene un'idea geniale: piazzerà una lampadina a metà del tavolo e quando si accenderà entrambi potranno firmare il trattato. Essendo i presidenti equidistanti dalla sorgente, la luce arriverà contemporaneamente. Il trucco funziona e tutti sono soddisfatti. Inebriato dal successo, il Segretario generale vuole usare lo stesso metodo con altre due nazioni nella stessa situazione. Stavolta, però, il tavolo e i presidenti si trovano su un treno in corsa a velocità costante. Come è giusto che sia, il presidente dell'Avantia siede in direzione del moto, faccia a faccia con quello dell'Indietria. Il Segretario generale conosce un po' di fisica e sa che le leggi non cambiano per tutti gli osservatori in stato di moto costante; può allora eseguire la cerimonia della lampadina. Il trattato è firmato e i presidenti brindano con il loro entourage alla fine delle ostilità. Ma proprio in quel momento giunge la notizia che alcuni uomini delle due nazioni hanno assistito alla cerimonia da terra e che hanno subito ripreso a combattere. I dignitari sul treno sono allibiti nell'apprendere che gli abitanti di Avantia sono convinti di essere stati ingannati, perché il loro presidente ha firmato l'accordo prima che lo facesse quello di Indietria. Sul treno, tutti, da entrambe le parti, concordano sul fatto che la firma è stata simultanea; com'è possibile che gli uomini fuori del treno la pensino diversamente? Vediamo piú in dettaglio il punto di vista di un osservatore fermo. La lampadina è inizialmente spenta; a un certo punto si illumina mandando due raggi di luce verso i presidenti. Per chi è fermo, il presidente di Avantia si sta avvicinando alla luce, mentre quello di Indietria se ne sta allontanando. Questo significa che la luce deve fare meno strada per raggiungere il primo (che le sta venendo incontro) e di piú per colpire il secondo (che le sta sfuggendo). Questa affermazione non riguarda la velocità della luce nei due casi, che abbiamo già visto essere la stessa: stiamo soltanto parlando di distanze. Calcoliamo dal punto di vista dell'osservatore esterno quanta strada deve fare la luce per raggiungere i presidenti. Poiché la distanza verso il lato del presidente di Avantia è minore, e poiché la velocità è costante, la luce arriverà prima da lui. Ecco perché i suoi concittadini pensano di essere stati ingannati. Ora, sul treno, tutti stanno ascoltando il resoconto dell'evento da parte della Cnn. Nessuno crede alle proprie orecchie: la lampadina era ben fissata, esattamente a metà del tavolo, e quindi è ovvio che la luce emessa deve aver percorso spazi uguali nelle due direzioni. Essendo la velocità costante, i passeggeri del treno pensano – anzi, hanno osservato – che la firma sia stata simultanea. Chi ha ragione? Entrambe le osservazioni e le deduzioni sono impeccabili. Quindi tutti hanno ragione, proprio come i nostri astronauti George e Mildred. L'unica differenza, qui, è che le conclusioni sembrano essere contraddittorie: secondo gli osservatori sul treno, i due presidenti hanno firmato contemporaneamente, secondo gli osservatori fermi, il presidente di Avantia ha firmato prima. Eventi simultanei per un gruppo non lo sono per l'altro. Eventy